Carlo Marino: Sei una poetessa, presentati.
Sonia Giovannetti è poetessa, scrittrice, saggista e critica letteraria. Fa parte di molte associazioni promotrici di arte e letteratura, è membro e Presidente di Giuria a Premi letterari nazionali e internazionali. Vincitrice di molteplici concorsi letterari tra i più ambiti nel panorama contemporaneo. Le è stato conferito il Premio Accademico dall’Accademia Internazionale di Arte Contemporanea e il Diploma di “Poeta della Città ideale” dal Centro di Studi Danteschi. L’Università Pontificia Salesiana le ha assegnato il Premio assoluto “Certamen Apollinare Poeticum 2019” e “Spoleto Festival Art Letteratura il premio “per i meriti e risultati ottenuti come scrittore e letterato”.Ha pubblicato di narrativa:
“Le ali della notte” Armando Curcio Editore (2014); di poesia: “Ho detto alla luna” Editore Aletti (2012); “Tempo vuoto” Edizioni Tracce (2013); “Un altro inverno” KairòsEditore (2015) “Dalla parte del tempo” Genesi Editrice (2018).
• Quando e come hai iniziato a fare questo lavoro?
Per dirla con Marguerite Yourcenar: “la mia prima patria sono stati i libri”.
Mi hanno fatto sempre compagnia, sin dalla giovane età. Le pagine scritte sono state il mio rifugio, scelto con cura. Sono riuscita, con la lettura, a studiare anche ciò che amavo, nonostante gli studi tecnici iniziali, grazie alle pagine dei molti buoni maestri frequentati nelle lunghe notti di veglia.
La scuola si ostinava a parlarmi d’altro e assai poco di quello che mi ha veramente insegnato a capire l’arte, ad amare la filosofia, il sapere. Devo molto ai Grandi, a quei giganti che mi hanno introdotto sulla strada che volevo percorrere. Avevo 18 anni quando morì Montale e in quella circostanza lessi l’intera raccolta “Ossi di seppia” innamorandomi perdutamente dei versi della poesia “I limoni”. Credo che sia stato quello il momento in cui ho iniziato a scrivere poesie. Era affascinante per me quel linguaggio che, ancorato alla quotidianità, indagava sulla condizione umana. Quel suo particolare modo di raccontare la semplicità e insieme la complessità delle cose, alimentava il mio fascino riportandomi anche ai versi di Ungaretti e di Leopardi. Riempivo cassetti di fogli, di appunti, di poesie scritte di getto e che tenevo gelosamente per me, fino al giorno in cui una persona mi spinse a inviare una poesia ad un concorso nazionale “Poeti in Sanremo” e lo vinsi. Da quel momento non mi sono più fermata. Ebbi la certezza – sulla mia pelle – che la parola non appartiene più a chi la scrive, ma può diventare di tutti e che il poeta, in particolare, ha il “compito” di scrivere anche per contrastare la paura, l’odio e le differenze tra gli uomini.
• Quali difficoltà hai trovato?
Ho avuto la fortuna di vivere – di sentire – la poesia e non considerarla mai un lavoro. Scrivo non per inseguire la fama ma per conoscere l’animo umano, me stessa e il mondo che mi ospita. Con questo approccio è difficile trovare difficoltà. Si scrive e basta. Franco Fortini diceva: “Scrivere non serve a niente, ma scrivi!” Io scrivo e studio seriamente, con fatica certo, perché è un impegno e una grande responsabilità, ma dona felicità. La felicità consiste nella ricerca di un linguaggio che non maltratti la parola e non la renda banale, ovvia o, ancor peggio, sdolcinata. Forse è questa la difficoltà che avverto se volgo il mio sguardo intorno, soprattutto nel capo della comunicazione on-line: vedere la parola poetica svilita e calpestata. A me piace pensare alla poesia come a quell’“ascia che rompe il mare di ghiaccio che è dentro di noi”, per dirla con Kafka e che non può essere solo ispirazione del momento, a volte anche sgrammaticata, legata al soggetto e a quell’Io troppo presente, che non coinvolge e non riesce a diventare universale.
• Cosa significa per te scrivere e vivere da poeta?
La poesia è una compagna di vita, oltre ad essere la mia ispirazione per eccellenza. Quello che dico può sembrare esagerato, ma non lo è se si pensa alla poesia come ad uno sguardo sul mondo. Un sentire il mondo prima di scriverlo.
Prima di essere poeti, prima di usare un linguaggio poetico abbiamo a che fare con “un essere” che vive dentro di noi e che vuole uscire allo scoperto.
Vivere e scrivere poesia significa, quindi, sentire quell’essere, quel “movimento” inteso come moto interiore, come emozione irresistibile da cui la poesia ha origine.La poesiaèil modo in cui l’uomo cerca la bellezza. È distanza dall’effimero, dalle pressioni del quotidiano, dall’angoscia del vivere. È ascolto, silenzio e anche consolazione.
La poesia è importante perché consente a ciascun uomo di esprimere sé stesso, anche a coloro cui non è sempre concesso il diritto di parola, a coloro che non trovano ascolto.Essa costituisce una sfera di libertà.Grazie ad essa ho l’impressione di poter superare i limiti e di poter attingere per intuizione, meglio che con qualunque altro mezzo, il mistero dell’essere, pur senza mai riuscire davvero a infrangere l’insondabilità.
Significa sentirsi perennemente in viaggio. Un viaggio insieme alla parola e nella parola, in cui ci si perde per ritornare prima o poi a sé stessi, toccando la grande sfera della libertà.
Posso dire, azzardando, che poeti si nasce, ma poi lo si deve diventare davvero e su questo non c’è azzardo. Ne sono convinta. Non si può improvvisare nulla. Gli strumenti sono fondamentali, quanto l’ispirazione. La scrittura non capita semplicemente, la scrittura si forma.
• Quali gli argomenti che ti hanno ispirato di più: il tempo, la vita, l’amore, la morte o altro?
Il tempo sicuramente, almeno in poesia. L’ultimo mio libro “Dalla parte del tempo” è un libro sul tempo. Mi affascina la tematica. Sono arrivata alla conclusione che si tratti di una mia piacevole “fissazione”. Me ne sono occupata anche in narrativa e in saggistica ma scrivere del tempo in poesia mi permette, però, di umanizzarlo, di dargli una dimensione più familiare. Nell’ultimo libro lo affronto in tre “tempi”: “il Tempo dell’io”, che raccoglie le tracce di una memoria soggettiva intenta a ricostruire gli eventi e il loro fluire; “il Tempo del noi” dove l’io si apre al mondo e alla storia facendosi memoria plurale, tutt’uno con gli eventi storici e civili del mondo; “il Tempo dei luoghi” che fonde insieme, tra loro, il tempo e lo spazio, nella rivisitazione di luoghi cari. Temi nel tema, dunque, ma sempre con l’obiettivo di volermi in ogni caso schierare “dalla parte del tempo”, come in una sorta di riappropriazione, di ritorno a un tempo più umano. Un tempo “ritrovato”, direbbe Proust, in un’epoca che non sembra assecondare questa dimensione, ossessionati come siamo dalla velocità, dal virtuale e dalla tecnologia, fattori indubbiamente vantaggiosi, ma che tolgono tempo all’ascolto della nostra e dell’altrui interiorità.
In narrativa con il libro di racconti “Le ali della notte” i temi affrontati sono diversi. I luoghi, innanzitutto. Credo che ogni scrittore in genere racconta ciò che conosce o che vuole conoscere meglio attraverso i luoghi che ama o che desidera. La mia città è Roma, quindi è stato naturale parlarne, così come Bologna la città che ho frequentato per lavoro, o i luoghi collinari della mia infanzia. Poi c’è il mare, culla introspettiva di ogni mio momento libero. Anche l’amore è protagonista in questo libro e non mi riferisco solo all’amore che si può provare verso un’altra persona, ma anche e forse soprattutto a ciò che ha riempito di amore la mia vita: l’impegno sociale, le idee, la politica, la letteratura.
• Chi devi ringraziare? (soprattutto tra i poeti)
Coloro che mi hanno trasmesso l’amore per il sapere. Montale mi ha influenzato molto e i filosofi. Ho sempre amato la filosofia, fa parte dei miei interessi e del mio bagaglio culturale pur non essendo io un filosofo. I grandi pensatori mi hanno sempre affascinato e anche formato. Per brevità ne cito soltanto alcuni. Di Hegel mi affascina l’intuizione della realtà come “movimento” delle cose, che non sono mai solo quello che appaiono con immediatezza nella percezione che ne abbiamo. Di Nietzsche amo la concezione circolare del tempo e della vita, e il senso, molto poetico, dell’“eterno ritorno”: nulla muore definitivamente, ma tutto è destinato a tornare. I versi di Pavese e dello stesso Montale, inoltre, hanno illuminato buona parte della mia vita, ho sempre sentito dentro me l’odore dei “limoni”, a cui accennavo prima, che è “la nostra parte di ricchezza”. La “solarità” intravista da “un malchiuso portone” è ciò che alimenta e dà speranza ai miei giorni.
• Come vedi il mondo dei premi letterari?
I concorsi letterari, intendo quelli veri, seri e importanti, sono un’ottima occasione di divulgazione dei propri versi. Io stessa sono stata “scoperta” grazie ai premi letterari, non frequentando e non conoscendo nessuno, che mi introducesse nel campo della poesia. Ero del tutto ignara del mondo poetico e delle sue dinamiche, che a volte mi sono sembrate poco chiare. Sono stata felice, quindi, di essermi sottoposta al “giudizio” di persone competenti, di studiosi e di poeti importanti. Ci vuole coraggio per mettersi in gioco, per affidarsi, per essere un “numero” insieme a tanti partecipanti, ma ripaga se vieni scelto solo per quello che hai scritto e non per altro. I tanti premi vinti mi hanno convinto a continuare. Grazie a questa esperienza, a quello che ha significato per me e per quello che è il mio intendimento di vita uso la stessa responsabilità, selezione e onestà nel decretare vincitrici le poesie nei concorsi, che mi trovano come giurata nei premi letterari.
• Sei stata appena tradotta in lingua spagnola, cosa significa per te leggerti in una lingua sorella dell’italiano?
I poeti spagnoli mi hanno sempre affascinato e mi emoziona vedere le mie poesie tradotte nella loro lingua, che è la seconda più parlata al mondo e che contiene una grande musicalità.
E’un privilegio questa traduzione e mi rende felice il senso che essa rappresenta, pensare che la mia intera opera poetica abbia avuto tanto interesse da essere tradotta in un’altra lingua. Dà valore a tutto ciò in cui credo e per cui mi adopero.
La poesia rappresenta l’azzardo oltre il limen, oltre la siepe che delimita il confine del nostro essere, di quello del proprio spazio territoriale e di tutti quei “muri” eretti per la paura dell’altro, per chi è “lontano”.
Nei poeti c’è l’aspirazione di trovarsi “Oltre il muro”, per citare il titolo di una mia poesia, che fornisce l’impressione di poter superare tutti i limiti, dove l’io si esprime in maniera universale, costituendo una sfera di libertà comune in cui ci si possa riconoscere come membri della condizione umana. Con la poesia questa sorta di riappropriazione risulta possibile. Una sorta di “percorso del dire” (sempre per citare i miei versi) che parte dal centro dell’essere e che può esprimersi in tutte le lingue del mondo, oltrepassare i confini e unire i popoli, perché l’uomo abita un’unica terra; lo gridò anche Yuri Gagarin: “Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini.”
• Per chiudere mi scriveresti qualche verso appena creato?
Tra presente e passato cerchiamo il prato
di quel Noi che fummo e che piantammo,
a marzo, nel ventre del mondo.
Il sentiero di foglie, ammucchiate dal vento
sferzante, indica la strada.
Tra bene e male si coltiva questo andare
e non esita la luna a chinarsi
sul canto lontano di un bambino. (da “La strada”)
di Carlo Marino