LE MANI NELLE TASCHE DEI PENSIONATI ITALIANI

Il Governo sostiene di avere mantenuto l’impegno programmatico di porre al centro della sua azione la tutela del potere d’acquisto delle famiglie, non “mettendo le mani nelle tasche degli italiani”; l’opposizione contesta, ascrivendo alla maggioranza la responsabilità di un aumento della pressione fiscale.
Fatto sta, che nessun argine il Parlamento ha voluto o saputo erigere per frenare almeno la marcia dei pensionati verso l’indigenza, subdolamente pianificata con la soppressione dell’aggancio delle pensioni alla dinamica retributiva decisa con la prima riforma del sistema previdenziale, aggancio sostituito da un solo parziale adeguamento automatico al costo della vita a protezione decrescente del valore della pensione, sottovalutato nei suoi effetti distortivi del principio di bilanciamento tra le necessità di bilancio e le esigenze dei lavoratori dipendenti attivi e dei pensionati, defraudati del “salario differito” accantonato in decenni di pesante contribuzione previdenziale.
Inutili le ripetute raccomandazioni della Comunità Europea sul diritto dei lavoratori al mantenimento dello standard di vita dopo il pensionamento con la garanzia del potere d’acquisto dell’originario trattamento previdenziale.
Il pervicace rifiuto del nostro Paese a recepire nella legislazione interna tale garanzia fondamentale ha superato ogni limite di sopportazione dei pensionati per la crescente ingiustizia loro imposta, mentre continuano a cadere nel ridicolo – se non fosse una tragedia economica di tante famiglie – i contorsionismi della Corte Costituzionale, capace solo di emettere sentenze ripetitive e superficiali, nel farisaico tentativo di scagionare la perequazione automatica dalla sua intrinseca irragionevolezza con l’alibi dell’insostenibilità della spesa per la Finanza pubblica.
In sostanza, il disinteresse del Governo, la colpevole inerzia parlamentare e la collusione del monopolio sindacale confederale di colore insensibile al problema, bloccano la domanda di ripristino dell’equità previdenziale, rivendicazione primaria della CISAL.
La condizione in cui versa il mondo dei pensionati è attuale, pressante e molto più grave del pericolo di dissesto paventato per le future insufficienti pensioni dei giovani – basterebbe un’avveduta riforma del sistema previdenziale – ma verso questo pericolo conviene di più all’informazione di massa dirottare l’attenzione della pubblica opinione per distrarla dai problemi dell’oggi, pur risolvibili con decisioni che i detentori del potere politico non vogliono adottare per non perdere il consenso delle classi di elettori che lo sostengono.
La traslazione del potere d’acquisto dalle classi economiche medio-basse – e tra queste dei pensionati da lavoro dipendente – a favore del ristretto mondo degli affari, della speculazione finanziaria e immobiliare, improduttiva per la Nazione ma fonte d’illecito e suo fin troppo facile arricchimento, sta conducendo alla distruzione del tessuto sociale e alla decadenza della scala dei valori, oltre che alla caduta dei consumi del mercato interno.
Le risorse economiche del nostro Paese sono quelle che sono; ma mentre avanza inesorabile il rastrellamento di ricchezza da parte di pochi furbi, privi non solo d’ogni etica, ma oltretutto di qualsiasi merito acquisito con il lavoro o la professione, per una sorta di convergenza occulta delle forze parlamentari, imprenditoriali e sindacali, il principio costituzionale di giustizia distributiva si affievolisce sempre di più.
Questa spirale va spezzata anche in materia previdenziale, sollecitando – come da tempo fa la CISAL – l’attenzione delle forze politiche e sindacali su due emergenze dell’oggi: quella dell’indigenza progressiva che assilla i pensionati e quella in cui versano i lavoratori pubblici ancora attivi, sforniti della tutela previdenziale integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria, soppressa da un improvvido legislatore e non sostituita contestualmente dalla previdenza complementare.