Lo storico accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, del 22 settembre 2018, concernente essenzialmente le nomine episcopali e il cui testo integrale è rimasto finora segreto, è in scadenza e dovrebbe essere rinnovato. Per Roma si tratta di una nuova Ostpolitik, diversa da quella portata avanti dal cardinale Agostino Casaroli durante la guerra fredda e, nonostante fonti contrastanti, sembra essenzialmente che i rapporti bilaterali sino-vaticani continuino a migliorare.
Per un Papa gesuita, quale è Francesco, la Cina ha sicuramente un significato e delle implicazioni particolarmente suggestive. Furono i gesuiti ad entrare in Cina, e ad installarvisi in permanenza, dopo circa tre secoli dalla prima missione cristiana nel Celeste Impero.
Il XVI secolo vide, infatti, susseguirsi in Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo eventi storici, che influirono in maniera decisiva sull’espansione del Portogallo verso l’Oceano Indiano e i mari dell’Asia Orientale.
Dopo la caduta delle colonie franche della Siria e le vittorie degli Ottomani si verificò il crollo del tradizionale commercio dell’Europa con il mondo islamico, dovuto al tramonto di Venezia. Tale situazione spinse i commerci ad intraprendere la circumnavigazione del Capo di Buona Speranza e, con la via aperta da Vasco da Gama, i portoghesi furono i primi europei a solcare, agli inizi del XVI secolo, i mari dell’Asia Orientale. I portoghesi si introdussero nel grande commercio del pepe e delle altre spezie, divenuto di enormi proporzioni nel corso del XVI secolo, interessando Cina, Giappone, Filippine, Indonesia e penisola indocinese ed esercitando talvolta anche la pirateria.
E fu proprio verso la fine del XVI secolo che i primi missionari gesuiti giunsero in Cina in concomitanza con l’inizio dell’espansionismo commerciale dell’Occidente, con l’epoca delle scoperte marittime, della Riforma protestante e del risveglio del pensiero scientifico.
Significativi contatti tra Cina ed Europa ebbero inizio, durante la seconda metà della dinastia Ming (1368-1644). La Cina cominciò ufficialmente a commerciare con i portoghesi nel 1557, e poco dopo i gesuiti europei iniziarono a stabilire una presenza a Macao, prima di poter accedere in territorio cinese nei primi anni ottanta del Millecinquecento. I gesuiti, dotati di un livello culturale elevato, erano curiosi e generalmente rispettosi della cultura e dei costumi cinesi (anche dei riti religiosi e del confucianesimo), e i governi imperiali dei Ming e dei Qing, in linea di massima, stimarono in maniera favorevole la presenza di questi missionari cattolici, tanto da arrivare a consentire anche nei tribunali la presenza dei gesuiti, in qualità di consiglieri giuridici. L’imperatore della Dinastia Qing, Kangxi (nato nel 1654 e che regnò dal 1662 al 1722) emise persino un editto imperiale nel 1692 a sostegno dei convertiti cinesi al cattolicesimo.
Il fatto che i primi gesuiti tentassero di penetrare in Cina in un momento in cui infuriava la pirateria, e fossero stati preceduti da mercanti portoghesi senza scrupoli, i quali si erano rivelati dei veri e propri filibustieri incuranti dei precetti delle leggi cinesi, non agevolò la loro missione, dato che gli stranieri ispiravano diffidenza ed erano sottoposti ad un controllo molto severo da parte delle autorità.
Le prime missioni si insediarono lungo la strada che collegava Macao a Pechino: a Canton, Shaozhou, Nanxiong, ultima città del Guangdong prima del passo di Meilinguan, a Ganzhou, Nanchang, Nanchino, Huaian nel Jiangsu, Jinan nello Shandong.
Per entrare nel Guangdong i gesuiti dovettero ricorrere all’astuzia, liberandosi degli abiti, che li facevano sembrare buddisti (allora non certo ben visti) e indossando gli abiti dei letterati cinesi.
Dopo essere penetrati in Cina essi riuscirono ad addentrarsi, attraverso il passo di Meilinguan, nel Jiangxi e ad insinuarsi fino alla corte di Pechino, entrando nelle grazie di alcuni alti funzionari e della famiglia imperiale.
Quando l’italiano Alessandro Valignano (Chieti, 15 febbraio 1539 – Macao, 20 gennaio 1606) giunse a Macao nel 1577, la sua missione segnò un nuovo corso per l’attività dei gesuiti. L’atteggiamento positivo del Valignano nei confronti del popolo cinese e delle sue tradizioni era in contrasto con le opinioni dei suoi contemporanei europeo-cristiani, che ritenevano impossibile convertire la Cina a meno che non si fosse presa una posizione combattiva.
Valignano si avvicinò in maniera deferente alla civiltà cinese e formò una nuova missione, che fece ogni sforzo per integrarsi e adottare la cultura cinese, abbandonando la mentalità e i metodi europei dei missionari che lo avevano preceduto. Facendo riferimento a una delle pratiche impiegate dai missionari gesuiti con i loro convertiti cinesi a Macao (una città occupata da molti commercianti portoghesi e utilizzata come stazione commerciale), il Valignano ordinò l’abbandono della politica del “portogallizzare” i convertiti. I cristiani cinesi dovevano rimanere cinesi.
Invece di ” portogallizzare”, i missionari dovevano “sinizzare” sé stessi.
Mentre Valignano si sforzava di raggiungere i cinesi utilizzando una logica nuova, nella sua missione fu trasferito un giovane gesuita, che sarebbe diventato il pioniere dell’impegno cristiano in Cina e l’italiano di certo più famoso fino ad oggi, noto con il nome sinizzato di LiMadou.
Grazie alla sua acuta intelligenza ed un’umile disposizione, che gli consentì di guadagnarsi l’ammirazione degli studiosi e dei funzionari cinesi con i quali si intrattenne, Matteo Ricci (1552-1610) riuscì in una grande impresa. Era arrivato a Macao nel 1582 e nel 1585 raggiunse la valle della Guan, nel Jianxi, installandosi a Nanchang, la capitale della provincia.
Ricci era ispirato da un forte desiderio di apprendere la cultura e le tradizioni cinesi. Con l’aiuto di abili studiosi, il gesuita acquisì una grande comprensione dei classici cinesi riuscendo ad entrare a corte al servizio dell’imperatore Wan-li nella capitale Pechino: una grande aspirazione dei gesuiti, che credevano che la tolleranza della Cina nei confronti del cattolicesimo, così come la sicurezza dei missionari, dipendesse dal riconoscimento da parte di istruiti leader cinesi.
Attraverso il suo apprezzamento per la cultura cinese e la diligenza nello studio, Ricci favorì il legame tra la Cina e la Compagnia di Gesù, convertendo con successo molti cittadini cinesi al cattolicesimo.
Tre anni dopo essere giunto a Nanchang, Matteo Ricci fu autorizzato a soggiornare per due mesi a Pechino, dove ritornerà nel 1601 per rimanervi fino alla morte avvenuta nel 1610. Possedendo già una vasta conoscenza delle arti, delle scienze e della geografia occidentali, Ricci sviluppò una grande comprensione dei classici confuciani, della psicologia cinese e della cultura cinese in generale.
Come risultato dell’ideologia “confuciana” del Ricci, i missionari gesuiti consentirono ai convertiti cinesi di continuare certi riti o pratiche confuciane, che non furono ritenute apertamente superstiziose. La tradizione annuale di venerare i propri antenati, per esempio, fu consentita perché nell’interpretazione di Ricci, i cittadini cinesi non adoravano i morti, ma onoravano la loro memoria. Agli occhi di Matteo Ricci le offerte di cibi e bevande erano solo doni simbolici per ricordare e non potevano essere considerati di natura idolatra. Egli acconsentì anche all’abitudine di tenere un altarino di famiglia con i nomi degli antenati incisi su di esso.
Adattando la fede cattolica alla cultura cinese, Ricci cercò di legare la dottrina cristiana al confucianesimo, che non considerava una religione ma una filosofia di carattere pratico, ovvero una linea guida per vivere.
Un altro modo in cui Ricci e i gesuiti si adeguarono alle consuetudini confuciane fu di dare al Dio cristiano un titolo cinese. I termini usati furono t’ien (paradiso), t’ien-chu (signore del cielo) e shangdi (signore in alto), tutti presi dai classici confuciani. Ricci adottò tali titoli confuciani solo per denotare l’Essere universale e supremo, collegandolo all’unico Dio cristiano.
Sebbene il Ricci fosse sicuro delle sue traduzioni della terminologia divina, altri gesuiti e missionari cattolici non furono convinti e credettero, che applicare tali termini al cristianesimo fosse improprio. Dopo Ricci il cristianesimo perse una grande occasione per entrare in Cina.
Papa Francesco sicuramente non vorrà perdere l’occasione storica che gli si prospetta.
di Carlo Marino