Assieme al disastro dell’Isola del Giglio, la questione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori è diventato il tormentone mediatico di tutti gli italiani sul quale sta “campando” di rendita tutta l’informazione televisiva e della carta stampata nonché tutti i “salotti buoni” della politica e del sindacato.
In riferimento al linguaggio sindacalese e a quello politichese che sta animando le discussioni sull’argomento, vien da chiedersi se e quanto i comuni cittadini hanno potuto comprendere il senso del problema e delle riflessioni che ogni giorno (e ad ogni ora) vengono loro abbondantemente elargite.
D’altra parte la riforma del mercato del lavoro, dopo le prime due manovre “salvifiche dell’Italia” era nell’agenda del Governo tecnico o, meglio, del Governo dei professori; un problema certamente difficile perché fortemente condizionato dai vincoli ereditati dal precedente Governo e imposti dalla lettera della BCE.
Una questione spinosa questa dell’articolo 18 che, nei 42 anni dalla sua nascita, ha subìto ripetuti attacchi dal mondo dell’imprenditorìa, della finanza e da gruppi politici a queste collegati, ritenendolo un vincolo nella gestione delle imprese ed un freno per gli investitori esteri.
Di converso non ha avuto successo il referendum celebratosi qualche anno fa per estenderne l’applicazione anche alle aziende che avevano meno di 15 dipendenti.
Ad onor del vero un primo segnale per la modifica della normativa di che trattasi venne dato da Sacconi, Ministro del lavoro del Governo Berlusconi, accentuando la già evidente spaccatura del mondo sindacale con CISL e UIL da una parte e la CGIL dall’altra.
In questi giorni i ragionamenti sembrano giunti al termine e c’è grande attesa per sapere quale sarà l’esito del confronto. Ma soprattutto quale tesi prevarrà tra quelle poste sul tavolo per una radicale modifica che, ad avviso di una parte, consentirebbe una maggiore agibilità e flessibilità nella gestione del personale e nell’organizzazione aziendale e, inoltre, favorirebbe gli investitori esterni, oppure, al contrario, chi ritiene assolutamente pretestuose le motivazioni poste a base del problema e, anzi, le considera come un vero e proprio attacco ad una norma di alto valore etico e sociale.
E’ evidente che siamo in presenza dell’ennesimo conflitto tra il capitale ed il lavoro, tra le teorie keynesiane e quella marxista, entrambe, forse, superate dalla realtà della globalizzazione, dalla protervia della speculazione finanziaria, dal divario tra nord e sud, tra la divaricazione sempre più accentuata tra i ricchi più ricchi e i poveri più poveri.
La Ministra Fornero, con il convinto sostegno del Presidente del Consiglio Monti, pur con qualche sbavatura dovuta all’inesperienza, sta premendo le parti sociali per una chiusura della discussione per approdare ad una decisione – c’è da augurarsi non più soltanto sull’articolo 18 ma sul più generale problema del mercato del lavoro e del rilancio dell’occupazione – entro il prossimo mese di marzo, quando verranno a scadenza i primi impegni assunti con la BCE, per rafforzare l’immagine del nostro Paese nei confronti dei partners europei e degli investitori finanziari.
I continui richiami del Capo dello Stato a tutte le parti sociali ed al senso di responsabilità, ci inducono a non polemizzare (anche con questo Governo), sulle modalità del confronto Governo-Sindacati che vedono, ancora una volta, escluse quelle componenti autonome, considerate fuori dal coro, mentre con il beneplacido di Confindustria e CGIL, CISL e UIL si è dato spazio all’UGL, di chiara provenienza politica e meno rappresentativa della CISAL che, proprio per il richiamo al senso di responsabilità, ha fatto comunque pervenire alla professoressa Fornero le sue proposte e valutazioni.
L’auspicio quindi è che si giunga presto ad una decisione e si passi dalla teoria alla pratica perché tra il capitale ed il lavoro non prevalga il terzo fattore, dominante ed incontrollabile : il tempo !