Fermo restando il potere della contrattazione collettiva di prevedere un trattamento più favorevole ed ulteriori condizioni, lo St. Lav. riconosce ai lavoratori il diritto di riunirsi in assemblea (dentro e fuori il luogo ed orario di lavoro) per discutere di materie di interesse sindacale e del lavoro.
L’ARAN (con nota del 27/5/2004) affrontando il tema dell’oggetto delle convocazioni assembleari, parla di questioni ed argomenti in linea con gli obiettivi del soggetto che indice l’assemblea e comunque di materie che abbiano riflessi, anche indiretti, sulla condizione di lavoro.
Il nuovo CCNL Funzioni centrali (triennio 2016 – 2018) regola all’art. 10 il diritto di assemblea, limitandosi in pratica ad un rinvio alla disciplina di cui al CCNQ vigente. Gli altri accordi di comparto non ne fanno menzione, rinviando tacitamente anch’essi alla disciplina generale; unica eccezione il CCNL istruzione per la sezione Scuola – art. 23 – dove si pongono, per esigenze di tipo funzionale, alcuni limiti circa il preavviso e le ore di partecipazione su base mensile.
Il diritto di assemblea è stato qualificato dalla suprema Corte come strumento di definizione e verifica della linea politica per i sindacati, modalità di libera manifestazione di pensiero per il lavoratore (Cass. Sez. Lav. 5/7/97, n. 6080).
Ciò premesso, l’assemblea non costituisce un’assise decisionale, pertanto ogni valutazione e decisione in merito alla linea “politica” rimane prerogativa delle organizzazioni sindacali, le quali, di regola, ricorrono all’indizione delle stesse per esaminare (ex ante o ex post) una piattaforma contrattuale e/o una vertenza.
In caso di violazione di linee ed orientamenti emersi durante un’assemblea, le sanzioni, pertanto, potranno avere natura squisitamente “politica” (come, ad esempio, in occasione del rinnovo delle cariche sindacali o elezioni RSU).
Le ore di assemblea sono retribuite nei limiti del monte annuo previsto, pure per garantire la più ampia partecipazione (così la Cass. 4934/1986); il numero di dieci previsto dall’art. 20 St. Lav. è stato in genere elevato dalla contrattazione collettiva.
Va precisato che i dirigenti sindacali (compresi i componenti della RSU) che prendano parte all’assemblea in qualità di lavoratori hanno diritto ad imputare al monte ore le relative assenze.
Come chiarito dall’Aran, le ore di assemblea sono da considerarsi prestazione lavorativa a tutti gli effetti, anche ai fini della fruizione del buono pasto; unica condizione è che la stessa si svolga temporalmente nell’ambito dell’orario ordinario di lavoro.
Come del pari chiarito dall’agenzia, l’assemblea che si protragga oltre quest’ultimo non comporta, per la parte eccedente, decurtazione del monte ore individuale.
Il potere di indizione dell’assemblea è riservato – come già accennato – alle RSU ed organizzazioni sindacali di categoria rappresentative, che abbiano sottoscritto i contratti integrativi, per il tramite dei rispettivi dirigenti (individuati dall’art 3 del CCNQ 4/12/2017); possono coinvolgere la totalità del personale e/o singoli gruppi o uffici.
L’ARAN esclude tale prerogativa (nei luoghi di lavoro) in capo alle confederazioni sindacali, così come in capo alle organizzazioni della dirigenza, al di fuori del personale non appartenente a tale qualifica.
Stesso discorso vale per associazioni ed organizzazioni non munite del requisito della rappresentatività (dirigenziali e non); così pure associazioni, gruppi ed organismi comunque denominati e diversi da quelli espressamente abilitati ai sensi della richiamata normativa non possono indire assemblee ex art. 4 del CCNQ 2017.
In via di principio, le assemblee di personale appartenente a qualifiche diverse (p. es. dirigenti e non) devono avvenire separatamente, salvo convocazione congiunta (ad opera dei soggetti legittimati) su materie di comune interesse.
Le convocazioni dell’assemblea da parte della Rappresentanza sindacale unitaria devono avvenire congiuntamente (previa approvazione della maggioranza dei componenti della RSU), in quanto prerogativa riconosciuta all’organismo unitario e non ai suoi singoli componenti; ne deriva che non possono essere “autorizzate” assemblee richieste da singoli membri (Cass. sez. lav. 16/2/2005 n.3072; nota ARAN 27/5/2004).
La Cassazione con due recenti pronunce (una delle sezioni unite) ha riaffermato il potere di convocazione in capo alla RSU quale organismo collegiale (che delibera a maggioranza), escludendo che nel pubblico impiego possano valere le differenti regole in vigore per il privato, dove il potere di convocazione spetta pure ai singoli componenti (Cass. SU n. 13978 del 2017 e Sez. Lav. n. 3095 del 2018).
La Corte di Cassazione (sezione Lavoro), con la citata sentenza n. 3095 del 8/2/2018, occupandosi del diritto di assemblea, ha riconosciuto il carattere di specialità della disciplina recata dagli art. 42 e 43 del TU rispetto allo Statuto dei lavoratori, anche in merito ai requisiti di rappresentatività e diritto alla costituzione della RSU: ne deriva che nel pubblico impiego sono le disposizioni contrattuali (cui le medesime norme danno rinvio) a fissare tali regole (sulla stessa linea l’ordinanza n. 14061 del 23/05/2019 della Suprema Corte – sezione lavoro).
Ponendo l’accento sulle differenze tra settore pubblico e privato, pure in ordine al computo del monte ore annuale (Cassazione SU 13978/2017)1, in sostanza la Cassazione ha ribadito un orientamento più volte espresso, escludendo tale diritto in capo ai singoli componenti (vedi anche la Cassazione, sezione Lavoro, 16/2/2005, n. 3072).
Questo orientamento è stato sposato da diversi contratti di comparto, i quali hanno esplicitamente riconosciuto il potere di indire l’assemblea alla RSU nel suo complesso (p. es. art. 2 CCNL sanità 20/9/2001, art. 12 CCNL agenzie fiscali 28/5/2004, art. 2 CCNL ministeri 16/5/2001).
Può essere questa un’utile occasione per anticipare, che lo stesso principio maggioritario vale per ogni altra delibera della RSU, non ultimo la sottoscrizione di eventuali accordi.
Nel settore privato, come si accennava, del tutto diverso è l’indirizzo della Suprema Corte (Cass. n. 15437 e 17458 del 2014) recepito con la citata Sentenza delle S.U. n. 13978 del 6/6/2017 (ma vedi anche Tribunale Torino 2/1/2015) – riconoscendosi il diritto di convocare l’assemblea pure ai singoli componenti della RSU, purché eletti nelle liste di un sindacato munito del requisito della rappresentatività.
Ulteriore onere previsto nel pubblico impiego (non sempre nel privato) è quello di fornire preventiva comunicazione (con un anticipo di almeno tre giorni lavorativi) della convocazione dell’assemblea alla parte datoriale (l’ufficio del personale, così prevede il CCNQ), indicandone data, orario, luogo ed ordine del giorno.
È prevista la possibilità di partecipazione da parte di dirigenti sindacali esterni, con l’unico onere della previa comunicazione alla parte datoriale.
Essendo escluso qualunque potere autorizzativo in merito, l’Amministrazione può tuttavia chiedere uno spostamento dell’assemblea, con comunicazione da indirizzare ai soggetti promotori entro 48 ore prima; tale istanza può essere collegata esclusivamente a “condizioni eccezionali e motivate”, che dovranno essere dettagliate per evitare ogni tipo di contestazione, specie in sede giudiziaria (art. 28 St. lav.).
Come regola generale, l’assemblea (“di norma” dice il CCNQ) dev’essere convocata all’inizio o fine del turno di lavoro; debbono in ogni caso essere salvaguardate le prestazioni indispensabili (da erogarsi in regime di continuità), nel rispetto delle previsioni dei singoli contratti di comparto o categoria.
Nel caso in cui l’assemblea si protragga oltre l’orario originariamente previsto, l’Amministrazione non può interromperla (Cass. Sez. Lav. 6080/1997), ma i soggetti sindacali hanno l’obbligo di informarne l’amministrazione il più rapidamente possibile, specificando le ragioni della necessità della prosecuzione (Pret. Bologna 04/03/1985 e Pret. Parma 12/05/1992).
Tali accorgimenti debbono ritenersi validi anche qualora l’assemblea abbia una durata inferiore a quella originariamente prevista.
La rilevazione dei partecipanti (e numero ore fruite) deve avvenire a cura dei responsabili dell’unità organizzativa e comunicata agli uffici del personale, ai fini della corretta imputazione al monte ore annuo individuale.
In caso di superamento di quest’ultimo, le eventuali ore di assenza dal servizio in eccesso dovranno essere giustificate ad altro titolo e/o recuperate dalla retribuzione.
Al datore di lavoro, peraltro, è preclusa ogni forma di controllo circa l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’assemblea, pena la censura a titolo di condotta antisindacale (Cass. Sez. Lav.6442/2000 e 24670/2014).
In questo senso, va ribadito che la rilevazione delle ore di presenza, lungi dall’essere operata con finalità di controllo, assolve unicamente lo scopo di una corretta imputazione al monte ore individuale (Cass. Lav. 6442/2002)
Sempre al fine di evitare la censura per comportamento antisindacale, al datore di lavoro è precluso sia convocare assemblee che parteciparvi (salvo espresso invito a prendervi parte, così Cass. n. 3038/1975).
Si ritiene, comunemente, che la partecipazione di dirigenti sindacali esterni richieda il consenso della parte datoriale, a differenza di quanto previsto per la loro partecipazione a trattative (art. 20 St. Lav.).
Qualora l’assemblea si svolga nel luogo di servizio, è onere del datore pubblico mettere a disposizione locali idonei; qualora quest’ultimo requisito non fosse ritenuto assolto, le associazioni sindacali potranno solo adire le vie legali, essendo preclusa ogni azione di forza in autotutela (così Cass. 2035/1981); l’eventuale fornitura di locali non idonei (sotto il profilo spazio temporale) può comportare censura per condotta antisindacale (Cass. 3837/2016).
La previsione che l’assemblea debba tenersi in idonei locali concordati con l’Amministrazione, non prevista nel settore privato, può comportare precise responsabilità in capo al datore di lavoro pubblico, anche in caso di sede tecnicamente o logisticamente non in linea con tale parametro; da notare che analoga previsione riguarda la messa a disposizione dei locali a favore dei soggetti sindacali aventi titolo (art. 6 CCNQ 4/12/2017).
La Cassazione ha anche stabilito (11352/1995) che i lavoratori possano riunirsi, all’interno dei locali aziendali, pure durante l’attuazione di uno sciopero, senza che impedimenti possano essere frapposti dal datore di lavoro.
La Commissione di garanzia ha ribadito (delibera 1/4/2004) che l’assemblea che si svolga nel rispetto delle prescrizioni della contrattazione collettiva non soggiace alle regole della legge 146/90, ferma restando la salvaguardia dei servizi minimi essenziali (che va garantita dagli accordi collettivi).
L’Aran pronunciandosi sulla questione di assemblee convocate all’aperto, ha ritenuto che la stessa debba aver luogo in locali idonei concordati con l’Amministrazione, onde evitare un utilizzo surrettizio delle ore assembleari per altre e differenti azioni sindacali.
Tenuto conto di quanto fin qui esposto, cosa avviene qualora la richiesta di assemblea fosse carente dei requisiti prescritti?
Si possono formulare diverse ipotesi.
Qualora il soggetto non fosse legittimato (ai sensi dell’art. 4 CCNQ 2017), la richiesta andrebbe respinta dall’Amministrazione; analogamente in caso di assemblea estranea alle motivazioni per le quali può essere convocata.
Diverso il caso di mancata indicazione degli elementi prescritti (data, orario, ordine del giorno), nel qual caso sarebbe auspicabile – in una logica di correttezza delle relazioni sindacali – una richiesta di integrazione rivolta ai soggetti che l’hanno convocata.
Altro profilo è quello del mancato rispetto del termine minimo di preavviso: a rigore la richiesta dovrebbe essere rigettata, salva diversa valutazione di parte datoriale (sempre in una logica di buone relazioni sindacali).
Inutile aggiungere che ogni comunicazione in merito deve essere resa in forma scritta e motivata.
1 Infatti, un ulteriore elemento di distinguo con il settore privato, è che nel pubblico impiego il monte ore di assemblea (fissato a livello annuale in dieci ore, ma elevabile ad opera della contrattazione collettiva) è stabilito pro capite per il singolo lavoratore, mentre nel privato è stimato in misura complessiva, con la conseguenza che non si rende necessario – come nel pubblico – una rilevazione della partecipazione da parte del singolo.
Esaurito il monte ore, difatti, nel privato l’indizione e la partecipazione all’assemblea è automaticamente preclusa, mentre il monte ore annuale (riferito all’unità produttiva nel suo insieme) viene decurtato a seguito della celebrazione della stessa.
di Paolo Arigotti