Lo scoppio della pandemia Covid-19 ha cambiato l’Europa ed il mondo in un batter d’occhio. Essa avrà un impatto duraturo sul modo in cui viviamo e lavoriamo insieme ed è arrivata in un momento in cui l’Europa stava già attraversando un periodo di profondi cambiamenti demografici e sociali.
La crisi ha messo in luce molte vulnerabilità, alcune delle quali sono legate al profondo cambiamento demografico, che già colpisce le nostre società e comunità in tutta Europa. Questa doppia sfida deve aiutare a modellare il modo in cui pensiamo in fatto di assistenza sanitaria, welfare, budget pubblici e vita pubblica nei prossimi decenni. Deve aiutarci ad affrontare questioni come l’accesso ai servizi, l’assistenza alla comunità e persino la solitudine. Tutto ciò riguarda in definitiva il modo in cui viviamo insieme.
Per questo la Commissione europea ha adottato la sua prima relazione sull’impatto del cambiamento demografico. Il rapporto, pubblicato il 17 giugno 2020, mostra le tendenze demografiche, le differenze tra i paesi dell’UE e la necessità di affrontare l’impatto del cambiamento demografico su crescita e sostenibilità, occupazione, salute e assistenza a lungo termine in diverse parti d’Europa.
In apertura, nella fotografia della popolazione attuale scattata dai ricercatori di Bruxelles, si alternano luci e ombre, con le seconde che però guadagnano rapidamente terreno oscurando le prime. La buona notizia è che “gli Europei vivono più a lungo e mediamente sono in buona salute per più tempo”. Dal 1960 a oggi, l’aspettativa di vita è aumentata di 10 anni, e continuerà ad aumentare nei prossimi 50 anni. Un uomo europeo nato nel 2018 ha in media davanti a sé 78,2 anni di vita, nel 2070 ne avrà 86,1; una donna parte oggi da 83,7 anni di aspettativa di vita media e arriverà a 90,3 nel 2070. Non solo: già oggi un cittadino dell’UE vive per circa 64 anni in buona salute. Ad avere oltre 65 anni d’età oggi è un europeo su cinque, nell’arco di cinquant’anni sarà quasi un europeo su tre.
Primo grande problema: tali magnifiche sorti e progressive saranno riservate in futuro ad un numero sempre minore di Europei. Il tasso di fecondità medio infatti, cioè il numero medio di figli per donna, è pari a 1,55 nell’Unione europea, decisamente sotto il valore di 2,1 richiesto per mantenere stabile una popolazione (in assenza di immigrazione). In alcune regioni – il rapporto cita tra le altre la Sardegna – il dato addirittura scende a 1,25. È dal 2012 che, nei 27 Stati dell’Unione, i decessi superano ogni anno le nascite. Finora però l’immigrazione (crescente) ha impedito che la popolazione complessiva declinasse. “Negli ultimi 35 anni l’Europa è stato un continente di immigrazione netta. Dalla metà degli anni ‘80, le persone che si sono trasferite all’interno dei confini europei sono sempre state di più di quelle che ne sono uscite”. I cittadini europei convivono da tempo con flussi migratori intensi: ai 21,8 milioni di immigrati regolari provenienti dai Paesi terzi ed oggi residenti nell’Ue, si aggiungono i 13,3 milioni di cittadini dell’Ue che vivono in un Paese Ue diverso da quello di nascita. Nonostante ciò, e visto che i nuovi arrivati tendono col tempo ad assumere i comportamenti riproduttivi degli autoctoni, la popolazione europea potrebbe già aver raggiunto il picco numerico della sua storia secolare: oggi nell’Ue a 27 ci sono 447 milioni di residenti, diventeranno 449 milioni tra cinque anni, poi inizieranno a diminuire tra dieci anni, e la previsione è che – nonostante l’immigrazione – scendano a 424 milioni tra cinquant’anni.
In futuro, se le tendenze demografiche appena descritte non cambieranno, è dunque statisticamente certo che saranno sempre meno gli Europei in grado di godersi vite sempre più lunghe. Non solo. Il secondo problema di fondo indicato dal Rapporto della Commissione è che anche gli Europei “rimasti”, incontreranno crescenti difficoltà a mantenere gli odierni standard di benessere, a meno di un radicale ripensamento del modello attuale di welfare state. Gli effetti del mutamento demografico sull’economia europea infatti sono silenziosi ma dirompenti. Il primo riguarda la forza lavoro: “La popolazione in età lavorativa si sta restringendo da un decennio a questa parte, e si prevede una contrazione del 18% da qui al 2070”. Oggi gli Europei di età compresa tra i 15 e i 65 anni sono 265 milioni; nel 2050, diventeranno 230 milioni; nel 2070, 220 milioni. Già quest’anno, però, potremmo aver raggiunto in Europa il record numerico di lavoratori, secondo la Commissione. Dal prossimo anno il numero di occupati inizierà a scendere inesorabilmente; la pandemia ed i suoi effetti negativi sull’economia accelereranno la tendenza, avverte l’esecutivo comunitario. Da qui i suggerimenti di Bruxelles per attenuare l’impatto della demografia cangiante sulla forza lavoro: aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, accrescere la conciliazione tra lavoro e vita privata (nel 2019 il tasso di occupazione per le donne con figli di meno di 6 anni d’età era di 14 punti inferiore rispetto a quello delle donne senza figli), coinvolgere più anziani nel mondo del lavoro, accrescere il tasso di occupazione di disabili e immigrati (curiosamente la Commissione non fa nessun riferimento a incentivi diretti alla natalità). Allo stesso tempo sarà decisivo incrementare la produttività dei lavoratori, visto che “secondo le proiezioni della Commissione, stabilizzare la crescita del Pil all’1,3% fino al 2070 richiederebbe un aumento della produttività del lavoro dell’1,5% in media ogni anno. Tuttavia la produttività è in calo da tempo, e comunque inferiore all’1% già prima che iniziasse l’attuale crisi”.
Sempre la pandemia ha dimostrato ancora una volta che una popolazione mediamente più anziana è anche più fragile in termini di salute e richiede nuovi tipi di cure sanitarie. “Attualmente all’incirca 50 milioni di cittadini europei soffrono di due o più patologie croniche, e la maggior parte di queste persone ha più di 65 anni”, si legge nel rapporto. Adeguare strutture sanitarie e servizi sociali a una simile sfida non è semplice. Soprattutto, ha un prezzo. “Prima della crisi, il costo complessivo di tutto ciò che è legato all’invecchiamento nell’Ue si stimava che sarebbe arrivato a pesare quanto il 26,6% del Pil nel 2070”. Tale fardello graverà sulle spalle di un numero sempre minore di persone: “Nel 2019 c’erano in media 2,9 persone in età lavorativa per ogni persona over 65, mentre nel 2070 questo rapporto sarà di 1,7 a 1”. Tra le conseguenze: “La povertà diffusa tra gli anziani probabilmente costituirà una fonte di preoccupazione sempre più grave col procedere del mutamento demografico”. Meno siamo, meglio stiamo? Col sistema attuale di welfare pubblico europeo non è così, a giudicare dai dati della Commissione.
di Sossio Moccia