Con la conversione del decreto legge “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati” – un bel titolo da impostori – si é conclusa sotto il solleone la prima tappa del lungo viaggio dell’Italia verso il taglio della spesa pubblica.
La seconda tappa di fine estate è già pronta, ma ciò che non s’intravede è l’inizio di un percorso di riforma, con l’obiettivo del rinnovamento sociale ed economico del sistema-Paese.
Esso non é stato individuato né dal Parlamento, né dal Governo dei professori, né dalle forze politiche e tanto meno possono auspicarlo i cittadini, avviati come sono non sul cammino della speranza, ma verso l’unica certezza del rattrappimento dell’organizzazione sociale e la disperata incertezza delle condizioni di vita presenti e future.
La ragione é semplice nella sua tragicità; manca il disegno di un nuovo Stato e un progetto di modifica costituzionale degli apparati della nostra Repubblica democratica, fondata certamente non più sul lavoro – purtroppo tradotto nella subdola economia sociale di mercato – ma non si sa ancora su che cosa di diverso: il liberismo garantista, la solidarietà collettiva o l’autonomia federale?
Tra un semestre si terranno le elezioni politiche, ma non c’è forza di partito o di coalizione che abbia delineato un qualche programma di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, indicandone lo scopo finale al Paese o al Governo che procede imperterrito, senza una linea guida, ad una restrizione della spesa pubblica che non é finalizzata a realizzare un nuovo modello di società o per lo meno ad individuarne una prospettiva con un riordino razionale delle funzioni pubbliche centrali e territoriali, ma sopprime soltanto una loro parte, lasciando inalterata la pletorica compagine nella confusione dei poteri decisionali.
Non si tratta qui di dare giudizi sui provvedimenti dell’Esecutivo in campo economico e sociale che, avallati dal Parlamento, hanno sensibilmente ristretto il tenore di vita di lavoratori e pensionati, aggravando la recessione dell’economia e provocando la diminuzione dei consumi delle famiglie, ma conservando nei fatti integra l’estesa zona franca dell’alta finanza e della fuga dei capitali all’estero.
Sul versante sindacale, parlano le bocciature inflitte al Governo dalle nostre Organizzazioni Autonome dei lavoratori pubblici e le iniziative di lotta da esse assunte.
Ciò che si vuole qui porre in risalto é che in tutto il vortice di provvedimenti di legge degli ultimi Governi, in cui sono stati gettati cittadini ed operatori pubblici, manca uno scopo finale e di qui sorge la domanda che attende risposta: verso quale futuro il legislatore vuole che vada la nostra comunità nazionale?
Quale articolazione amministrativa é consona alla dimensione naturale del suo territorio, alla dislocazione evolutiva dei suoi abitanti o delle aree di sviluppo e come é conveniente strutturarla?
Con quali funzioni definite in un modello stabile, il nostro Paese é in grado di esercitare al meglio dell’efficacia e dell’economicità, i servizi e i compiti che dalla legge dovrebbero essere demandati all’amministrazione governativa o devoluti alle autonomie locali, in quanto compatibili con le risorse pubbliche a disposizione per realizzare gli obiettivi economici e sociali preordinati?
Dove devono essere collocati i centri di costo e dove deve stare ciascuno dei livelli delle responsabilità politiche, distinte da quelle dirigenziali di gestione e dal controllo di efficienza?
Non bastano misure di risparmio o inasprimenti fiscali, quando manca il progetto di un sistema sociale che deve sostituire quello esistente, se é vero com’é vero che quest’ultimo è giunto fino al preavviso europeo di fallimento e all’amministrazione controllata della politica!
La prima decisione che assume un’impresa gravata da sovrastrutture, con l’obiettivo di diventare un’azienda corta per ridurre la spesa di esercizio, é la preventiva rideterminazione degli organismi decisionali, finalizzata alla riorganizzazione delle linee di produzione.
Ma purtroppo non procede così il Governo con la sua “spendig review” imposta al nostro Paese a tappe forzate ma priva di una meta, che ci ha suggerito – per dire ai lettori le cose come stanno – l’espressione romanesca usata nel titolo: “Ando’ vai se la riforma non ce l’hai?”
E allora, restando nei bei dialetti italici, rivolgiamo – questa volta alla napoletana – un invito al Governo, che si serve di un inglesismo per imbrogliare i cittadini: “Parla come t’ha fatto mammeta!” e per rispetto della trasparenza, dici: “Riduzione dei servizi pubblici” e non “Riduzione della spesa pubblica a servizi invariati”.