L’ ipoacusia , ovvero la riduzione della sensibilità uditiva, rappresenta una patologia che colpisce il 10% della popolazione (circa 7 milioni di persone solo in Italia) .
Caratteri maggiormente preoccupanti presenta la presbiacusia ovvero l’ipoacusia che subentra con l’avanzare dell’età e del fisiologico invecchiamento del sistema uditivo.
Appare, pertanto, tanto più importante affidarsi ad una visita ORL(otorinolaringoiatrica) specialistica per rilevare l’eventuale presenza dell’ipoacusia, quantificarne l’entità e valutare la migliore soluzione terapeutica. Il responsabile della filiale Amplifon di Benevento, in una recente intervista, sul punto, ha precisato che nella stragrande maggioranza dei casi di accertata “presbiacusia”, e di tutti gli altri disturbi dell’udito che insorgono a causa di altre patologie dell’organismo (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia) o come semplice conseguenza di esposizione prolungata al rumore, viene consigliata la riabilitazione tramite utilizzo di protesi acustiche, ma, nonostante la stessa risulti essere l’unica soluzione, spesso ne viene sottodimensionato il ruolo e, quindi, viene rimandata per molti anni.
“Vero è che molte persone si prendono cura del loro udito facendo il consigliato controllo annuale, ma è altrettanto vero che in molti casi le persone che entrano nel nostro centro richiedono un controllo dell’udito solo in seguito a grave peggioramento della loro condizione che si protrae da anni oppure in seguito a continui attriti con familiari per le incomprensioni dovute alla difficile comunicazione: è frequente la circostanza che l’utente in tali casi non sia nemmeno interessato al controllo ma lo richieda solo per “accontentare” qualcun altro”.
Questa reticenza è causa del ritardo nell’intervento terapeutico e ovviamente avrà conseguenze nel percorso di riabilitazione. Per fortuna in numerosi casi l’incoraggiamento esterno permette di entrare in un centro acustico per fare un esame audiometrico, esporre le proprie esigenze acustiche, prendere atto della condizione e, infine, affidarsi a tecnici audioprotesisti per iniziare il percorso di riabilitazione acustica. Il percorso è lento e progressivo e coinvolge l’intera individuale sfera sensoriale, ivi compresa quella emozionale e relazionale perché porta l’utente alla rivalorizzazione delle personali attività quotidiane, ad un miglioramento della comprensione del linguaggio, verso una più attenta percezione di suoni (un clacson per strada, un rumore improvviso in casa, lo squillo del telefono e tutto il meraviglioso mondo esterno che si mobilità a livello relazionale attraverso gli impulsi sonori ,che, tuttavia, se non percepiti tempestivamente possono addirittura costituire un pericolo per la vita stessa dei non udenti). Nel corso dell’intervista è stato anche ribadito che “la prevenzione alla sordità, di cui ci occupiamo quotidianamente effettuando controlli gratuiti dell’ udito, risulta fondamentale, perché ci consente di mettere il cliente a conoscenza della propria situazione e di informarlo sulle soluzioni più adatte a migliorarla. Prima si inizia con il recupero delle funzioni uditive e migliori saranno i risultati e, quindi, la soddisfazione del cliente. Una protesizzazione tardiva provoca deficit cognitivi notevoli che difficilmente possono essere, diversamente, recuperati in maniera soddisfacente. Per questo è molto importante supportare e mantenere efficiente il proprio sistema uditivo; prendendosene cura, infatti, si riuscirà ad evitare un generale degrado cognitivo che porta nel tempo perdita di memoria, difficoltà di attenzione ed isolamento sociale. La perdita dell’udito svolge un ruolo fondamentale nell’insorgenza della demenza senile. Ne consegue che quando noi Audioprotesisti iniziamo un percorso di riabilitazione acustica con un cliente abbiamo un compito molto importante, oltre alla responsabilità sul recupero delle capacità uditive, dobbiamo tener conto del lato psicologico che, a volte, rappresenta un grosso ostacolo da superare per la presa in carico del cliente. In tempo di Covid, l’introduzione dell’obbligo di utilizzo della mascherina ha rappresentato un importante ostacolo alle attività relazionali. La mascherina chirurgica attenua il suono di circa 4 decibel mentre le mascherine FFP2 possono addirittura ridurlo di 12 decibel. Inoltre attraverso il tessuto, le labbra e la mimica non sono facilmente riconoscibili, il che non consente più di leggere ed interpretare il labiale. La distanza minima di 1,5 metri aumenta la distanza con l’interlocutore e contribuisce a ridurre il volume della voce. Anche le barriere in plexiglas costituiscono un’ulteriore fonte d’irritazione. Se per una persona normo-udente il fastidio della mascherina si limita all’appannamento degli occhiali o al dolore dietro alle orecchie percepito dopo diverse ore di utilizzo, per le persone ipoacusiche il discorso è molto più complesso. Tutto questo si traduce in una nuova forma di isolamento umano, sociale e spirituale: essendo venuti meno i prodromici meccanismi di supporto all’ascolto, ivi compresa l’espressività dell’interlocutore, non si è più in grado di compensare la riduzione della sensibilità uditiva. Per questo molte persone che probabilmente avevano accantonato il personale, anche parziale, deficit acustico per molti anni, hanno riscoperto l’interesse per le protesi per poter ripristinare le relazioni sociali e ritrovare il contatto umano che Covid-19 ha praticamente annullato.
di Angela Gerarda Fasulo