La storia del nostro Paese non finisce mai di sorprenderci con le biografie di uomini straordinari e iniziatori di feconde strade di conoscenza.
Il medico carpigiano Bernardino Ramazzini appartiene a queste figure di studiosi e accademici e a lui si deve l’inizio della medicina del lavoro. Nato nella cittadina modenese nel 1633, Ramazzini, dopo gli studi all’università di Parma, esercitò la professione medica nel ducato di Castro e poi a Modena. Recentemente la città di Carpi ha voluto dedicare una mostra in suo onore, che ne ha ricostruito il personaggio ed il contesto storico, sociale e culturale della sua epoca attraverso documenti d’archivio, ma soprattutto con l’esposizione del suo più noto trattato medico. Il De morbis Artificum Diatriba è l’opera che ha reso famoso Ramazzini e che costituisce l’inizio di una branca della medicina così importante per il benessere dei lavoratori. La prima edizione del trattato fu pubblicata nel 1700 a Modena ma quella definitiva, arricchita da supplementi, venne alla luce a Padova nel 1713. Nella città veneta lo studioso era stato chiamato all’insegnamento all’Università per la fama acquisita nell’esercizio della medicina. Il testo fu scritto nell’arco di un decennio e terminato dopo quarant’anni di pratica medica, durante la quale Ramazzini annotò le sue osservazioni sulle condizioni di lavoro e salute dei lavoratori da lui incontrati.
Straordinaria è proprio la metodologia empirica che Ramazzini affina nei primi anni della sua pratica, quando fu medico condotto nel Ducato di Castro e dove ebbe inizio il suo interesse per le malattie che colpivano la gente più misera e le varie categorie di lavoratori. L’osservazione costante di uomo e ambiente, il dialogo con pazienti e lavoratori per chiarire le cause dei loro disturbi, l’ispezione dei luoghi di lavoro, sono di per sé elementi di grande innovazione, che a ragione rendono Bernardino Ramazzini precursore anche della valutazione di quello che oggi definiremmo il rischio epidemiologico. Come egli stesso racconta, nel corso delle sue indagini fu colpito dalla situazione dei vuotatori di fogne e proprio da tale gruppo prese l’avvio di una esperienza di scienza senza precedenti che lo condusse ad occuparsi di molte altre categorie di lavoro. Dopo coloro che si occupavano dei pozzi neri, fu la volta di stampatori, scrivani, copisti, i confezionatori nelle botteghe degli speziali, i tessitori e le tessitrici, gli affilatori di rasoi e lancette, marinai, rematori, ramai, falegnami, fabbricanti di saponi. Attraverso l’indagine della popolazione lavorativa e l’anamnesi del singolo, Ramazzini mise appunto un metodo che lo condusse a comprendere l’associazione tra ambiente e salute, il sospetto dell’origine ambientale di ogni patologia e la necessità di raccoglie la storia lavorativa e l’annotazione dei danni riscontrati sulla salute.
Sono tutte procedure che ci appaiono oggi scontate ma eccezionalmente moderne e lungimiranti nell’epoca dei salassi e degli untori. Bernardino Ramazzini nel De Morbis enuncia i risultati del suo metodo standardizzato. Anzitutto descrive il ciclo lavorativo e le modalità di esecuzione delle mansioni, poi indaga le tecniche e la natura delle materie prime utilizzate, riferisce le osservazioni cliniche compiute non solo sui lavoratori presi in esame ma anche su quelli che in precedenza avevano praticato lo stesso mestiere. Ma sembrano ancora più geniali le conclusioni alle quali perviene: “longe praestantius est praeservare quam curare”.
Prevenire piuttosto che curare è la lezione che lo studioso di Carpi trae dal suo lavoro. Per primo quindi Ramazzini teorizza che i danni che provengono dai diversi mestieri, di cui coglie l’origine nell’ambiente di lavoro e nelle sue modalità di esecuzione, possono essere discusse e rimosse. La malattia che si origina dal lavoro non è un destino ma un evento che si può eliminare o almeno attenuare. Dobbiamo molto all’impegno scientifico e al dovere sociale che Ramazzini espresse nella sua opera e va reso un giusto merito anche da noi lavoratori contemporanei ad una mente lucida e umana come la sua.
di Rosaria Russo