Buongiorno Lidia e grazie del tempo che ci hai voluto dedicare. Puoi raccontarci qualcosa su di te, per farti conoscere ai nostri lettori?
Buongiorno a tutti e grazie, Paolo, per avermi invitata, è davvero un piacere.
Per quel che mi riguarda, sono un medico psichiatra e psicoterapeuta. Dopo una decina d’anni in cui ho lavorato in un centro per le tossicodipendenze, ho deciso di esercitare la libera professione come psichiatra e come psicoterapeuta, cosa che faccio a tutt’oggi. Sempre come psichiatra ho lavorato anche in Francia, per sei anni: è stata una bellissima esperienza, anche se faticosa poiché dovevo gestire da sola sei strutture, 250 pazienti e parecchio personale fra infermieri, psicologi ed educatori. Ma ne è valsa la pena dal punto di vista professionale quanto umano.
In parallelo porto avanti la mia attività di scrittrice. Sono essenzialmente una romanziera. Qualche giorno fa facevo un po’ di conti sugli anni che dedico alla scrittura, e mi sono resa conto che sono ben 19, anche se, dalla prima pubblicazione nel 2002 a quella successiva nel 2009, sono intercorsi sette anni in cui non ho pubblicato nulla, non per mancanza di materiale ma perché era un periodo difficile per l’editoria. Dopodiché ho pubblicato praticamente tutti gli anni.
Leggo moltissimo e di tutto purché sia buono, credo che la lettura, confrontarsi coi mondi di altre persone, sia fondamentale per crescere e aprire la mente. Oltre che per fare esperienza, che altrimenti si ridurrebbe al quotidiano.
Infine posso dire che sono una viaggiatrice. È qualcosa che fa parte di me e ho iniziato davvero presto. Tendo a viaggiare da sola e nel modo meno turistico possibile per avere maggiori possibilità di conoscere le persone ed entrare meglio nella personalità di un luogo.
La pandemia ha avuto effetti gravi e devastanti, tra i quali importanti riflessi sulla salute e sul benessere psicologico delle persone. Per la tua esperienza professionale che riscontri hai avuto?
Nel corso di quest’anno, dall’inizio della pandemia a oggi, psicologicamente parlando le cose sono cambiate parecchio. Nei mesi di marzo, aprile e maggio del 2020 c’è stata molta paura, diffidenza verso le informazioni che venivano date, ma in linea di massima c’è stata una buona accettazione. Anche se si sapeva poco sul coronavirus a la Covid, i numeri hanno spaventato molto ed è stato più facile accettare la momentanea limitazione della libertà. Poi c’è stata l’estate e la libertà quasi incontrollata, cui è seguito un autunno disastroso che ha colto tutti di sorpresa: le persone si aspettavano che fosse finita, invece si sono ritrovate nuovamente recluse. E più il tempo passava, più pesava la solitudine, la coercizione, la mancanza delle piccole abitudini quotidiane, soprattutto di quelle senza pretese. È stato nella seconda metà del 2020 sino ai tempi più recenti, che ho visto la solitudine trasformarsi in depressione, ansia e attacchi di panico. Indipendentemente dall’età. È come se, agli occhi delle persone, la vita avesse perso colore. C’è stata una maggiore consapevolezza del problema e sono fiorite ipocondrie e fobie, anche una sorta di ribellione interiore con sensazione di impotenza. L’impossibilità a cambiare le cose ha agito da cappa che soffocava sempre più. Poi i vaccini, nonostante i timori e l’azione terroristica nei loro confronti, hanno riacceso la speranza. Attualmente c’è molta fretta di vivere, di recuperare il tempo che si percepisce come perduto, ed è questa la fase più delicata perché sta dando luogo a comportamenti meno prudenti. Negare l’esistenza di un problema vuol dire nuocere agli altri e posticipare la ripresa. Non ho rilevato grosse differenze secondo le fasce di età, piuttosto rispetto alla personalità dell’individuo.
Dopo la disperazione dei primi mesi, relativa alla situazione catastrofica di morti e ambulanze che erano l’unica voce delle città, le persone hanno finalmente fatto appello alle proprie risorse, alla propria creatività. E veramente hanno fatto di tutto, musica, teatro, letture, disegno, ginnastica… In questo sono stati sicuramente d’aiuto le tante iniziative online, assolutamente gratuite, che hanno aiutato a scoprire dimensioni che neanche si credeva che esistessero. C’è stato un vero rifiorire di tante attività definite secondarie e che hanno aiutato a sopportare la chiusura, ma anche a imparare che c’è altro oltre il correre e il consumismo sfrenati.
Quali sono stati i disturbi, clinici o meno che essi fossero, più frequenti? I problemi hanno riguardato solo persone con problematiche e/o patologie pregresse?
A parte la depressione e uno stato d’ansia più o meno concretizzato in attacchi di panico, ho assistito ad aspetti “meno” sospettabili. La pandemia e la conseguente limitazione della libertà, a cui si è aggiunto lo smart working e le scuole chiuse, hanno portato i vari membri delle famiglie a trascorrere più tempo insieme. Coniugi e figli che, sino a pochi giorni prima, si incontravano solo a pranzo a cena, a volte neppure in quei momenti, si sono ritrovati a passare molto più tempo insieme, spesso anche in spazi non grandissimi. Mi sono capitate situazioni, poche, in cui la maggiore vicinanza e il pericolo hanno ricucito distanze e dissidi, ma nella maggior parte dei casi si è sviluppata l’intolleranza. Senza arrivare alle situazioni più gravi di violenze, ho assistito a crisi coniugali importanti, in cui uno solo o entrambi i membri della coppia si sono dovuti rendere conto che la relazione era fragile e che si basava su una reciproca sopportazione facilitata dalla lontananza. Molte coppie si sono trovate in crisi perché si sono rese conto che non c’era più niente che le unisse. Per quel che riguarda i più giovani, sicuramente l’impossibilità di sperimentare propria della loro età, li ha portati a uno stato di apatia, svogliatezza, incapacità di proiettarsi nel futuro. Ma bisogna anche ricordare che i più giovani sono anche quelli che hanno più tempo davanti a loro e che hanno una capacità di recupero superiore, capacità che si perde con gli anni.
Tali problematiche, vuoi psichiatriche, vuoi psicologiche, hanno avuto ripercussioni sia sulle persone con patologie pregresse perché più fragili e che si sono trovate improvvisamente sole e in balia di un nemico sconosciuto e invisibile, sia in persone senza patologie. In tutti però, la paura della Covid e il senso di precarietà hanno creato grossi problemi. Pensiamo per esempio ai più giovani che il virus non ha interessato direttamente, ma che magari lo sono stati indirettamente, trovandosi anzi tempo a fare i conti con la perdita di persone care e importanti. Non solo i più giovani, naturalmente.
Quali consigli ti sentiresti di dare a una persona che abbia avuto uno di questi problemi?
Due consigli sono secondo me fondamentali.
Il primo è far leva sulla propria creatività, su quel che abbiamo sempre avuto voglia di fare o scoprire senza magari averne mai avuto il tempo. Ormai c’è una quantità di corsi online che coprono tutti i campi, basta avere la pazienza di cercare e i prezzi sono modici, in genere alla portata di tutti. Questo dà non solo la possibilità di appassionarsi a cose nuove che danno soddisfazione e fiducia in sé stessi, permettono anche di conoscere persone affini, con interessi simili, e con cui magari stabilire relazioni amicali. A me è successo. Avevo fatto un corso di teatro on line che mi ha permesso di riavvicinarmi a una vecchia passione, di divertirmi e di stringere amicizie durature.
Per i casi più difficili con sintomatologie palesi e un disagio interiore più profondo, consiglio di rivolgersi a uno psicoterapeuta, psichiatra o psicologo che sia.
Talvolta i farmaci possono rivelarsi utili, soprattutto nei casi in cui la sintomatologia sia importante, sennò il confronto e un sostegno sono sufficienti. In ogni caso, in base alla mia esperienza, le cose si risolvono in un paio di mesi. Soprattutto nelle persone più giovani che hanno una capacità di recupero eccellente.
Per chiudere, un tuo pensiero per i nostri lettori.
Situazioni aliene come quella legata al Coronavirus e alla conseguente Covid, ci dovrebbe far ancora di più e in modo più sano amare la vita, il mondo e le persone, in maniera più schietta priva dell’eccesso di competizione della società attuale. Capire quanto sono inutili e barbare le guerre tra poveri. L’unione, l’alleanza, sono le forze che ci fanno progredire, non la guerra. Possono farci riflettere sul fatto che esistono modi di relazionarci con gli altri, noi stessi e l’ecologia che ci garantirebbero una vita e una crescita migliori.
Grazie Lidia per il tuo prezioso lavoro e ti aspettiamo ancora per parlare altri di temi interessanti. Ricordo che Lidia Petrulli è anche una scrittrice ed ha recentemente pubblicato un nuovo romanzo, intitolato Uno scialle sul fiume Temo, Pluriversum edizioni 2021, preceduto nel 2019 da Il Volo della libellula, edizioni Ensemble.
di Paolo Arigotti