E’ passata una generazione dalla riforma del sistema previdenziale così detta “Amato” fondata su un presunto sostegno aggiuntivo della previdenza complementare volontaria da fornire alla sempre più traballante previdenza obbligatoria, e – come al solito nel nostro Paese, regno dell’improvvisazione e dell’impreparazione di una classe politica e burocratica sorta a metà del secolo scorso sotto il segno del consociativismo sindacale – qualcuno scopre l’acqua calda.
Il secondo pilastro previdenziale non solo é nato gracile in quanto appena un quinto dei lavoratori dipendenti e autonomi (meno di sei milioni di iscritti) ha aderito ai Fondi complementari, ma è già avviato sulla strada della disfunzione per mancanza d’ossigeno.
I rendimenti attesi non potranno essere conseguiti e fallirà in larga parte lo scopo di copertura aggiuntiva dal rischio indigenza che la riforma aveva supposto.
Calano, infatti, progressivamente i versamenti contributivi volontari e i conti individuali degli iscritti; anzi, molti di loro ricorrono alla richiesta di anticipo degli accantonamenti per far fronte alle esigenze economiche prodotte dalla diminuzione del reddito da lavoro.
Lo riferisce la COVIP “Commissione di vigilanza sui fondi pensione” nella sua “Relazione annuale sullo stato della previdenza complementare nel nostro Paese” del 10 giugno 2013 (testuale): “Preoccupa l’elevato tasso di sospensione dei versamenti ai fondi pensione: si tratta di un milione e duecentomila iscritti, centomila in più dell’anno precedente”.
La frase, nella sua sinteticità, esprime (non sappiamo se anche nelle intenzioni degli estensori) molto di più di una denuncia dell’erosione del secondo pilastro previdenziale.
Essa assume, nel contesto economico attuale, il significato di una dichiarazione di morte annunciata del meccanismo compensativo escogitato da funzionari ministeriali e presunti tecnici a supporto d’impostazioni politiche della riforma previdenziale dei primi anni novanta e degli infiniti aggiustamenti successivi, mancanti di ogni idea sistematica di effettiva protezione sociale dei lavoratori da disegnare e costruire con il risparmio del loro salario differito.
E così, mentre le più o meno future generazioni di anziani si rifugiano nella rassegnazione di un’irrimediabile indigenza programmata per la vecchiaia, che viene imposta loro dalla “imprevidenza” dell’assicurazione generale obbligatoria, svanisce nel nulla o quasi lo strumento ipotizzato per rimediarvi con un risparmio previdenziale aggiuntivo incanalato in un meccanismo incapace di reggere all’impatto di una crisi economica.
Quale considerazione possiamo svolgere su questa ennesima dimostrazione d’inettitudine e mancanza di ogni avvedutezza offerta dal vigente sistema previdenziale complessivo, per di più di fronte alla fuga generalizzata dei cittadini persino dal dovere di scegliere i propri legislatori e governanti, che caratterizza l’attuale crisi di valori civili e sociali che ci attanaglia?
Siamo costretti a ripetere ai lavoratori questa dura verità: nessuna forza politica al Governo del Paese ha mai tentato di risolvere, in materia di riforma del sistema previdenziale e dell’assistenza sociale, il problema di garantirne l’indispensabile sostenibilità e adeguatezza.
Lo pretendano i lavoratori da partiti e sindacati con programmi e azioni finalizzate a tale scopo ad iniziare dalla separazione tra previdenza ed assistenza e delle risorse gestionali necessarie, come prevede la nostra Costituzione.
Non sarebbe il caso di lasciare all’INPS la sola amministrazione redditizia della retribuzione differita dei lavoratori trasferendo ad un Ministero del Welfare, unificato dalla soppressione delle strutture direzionali dei Ministeri del Lavoro e Politiche sociali, della Salute e dell’Interno, la gestione delle risorse da reperire con il gettito fiscale per finanziare l’assistenza sociale?
E perché non creare subito un’Amministrazione controllata per mettere ordine ed evitare il fallimento del sistema?
Che magnifica “spending review” si realizzerebbe!