Lo scrittore Augusto Roa Bastos definì il suo paese un’isola circondata dalla terra, per il suo isolamento in termini geografici, ma soprattutto per la netta linea di demarcazione rispetto a quanto accadeva in America latina e nel mondo durante la dittatura di Stroessner. La colonizzazione europea dell’attuale Paraguay risale al sedicesimo secolo, quando l’esploratore spagnolo Juan de Salazar y Espinoza fondò la città di Asunción (15 agosto 1537), destinata a diventare la capitale dello stato indipendente. La città sarebbe divenuta un centro di missioni religiose, in particolare gesuite, per effetto dell’espulsione degli appartenenti all’ordine decretata dalla Corona spagnola nel 1767: a causa di tale retaggio storico, ancora oggi molti dei territori paraguayani vengono chiamati misiones. Le missioni religiose ebbero un ruolo decisivo nel trasformare in stanziale la popolazione seminomade autoctona, pur rispettando sempre la cultura locale, ancora oggi fortemente radicata specie nelle aree rurali. Al pari di molti paesi del centro e sud America, il Paraguay si rese indipendente dalla Spagna agli inizi del XIX secolo, precisamente il 14 maggio 1811. La storia del nuovo stato si caratterizzò fin da subito per una profonda instabilità politica interna e per contrasti con le nazioni vicine, tensioni sfociate in diversi e sanguinosi conflitti.
Uno dei più lunghi fu quello combattuto tra il 1864 e il 1870 con la triplice alleanza Brasile-Argentina-Uruguay: a scatenarlo il presidente paraguaiano Francisco Solano López, che sferrò per primo l’attacco contro la città argentina di Corrientes, per quanto altri storici individuino la causa della guerra nel trattato argentino-brasiliano del dicembre 1857. La guerra fu un’ecatombe per la popolazione paraguayana, passata in un quinquennio da circa 525mila abitanti a meno della metà (221mila), appena 28mila gli uomini sopravvissuti. A questo dovettero aggiungersi le perdite territoriali in favore di Argentina e Brasile. Tra il 1932 e il 1935 una nuova guerra oppose il paese alla Bolivia, detta del Chaco dal nome del territorio all’origine della disputa (il Chaco Boreal), ritenuto di importanza strategica per la presunta esistenza di ricchi giacimenti di petrolio: un altro scontro sanguinoso, conclusosi stavolta a favore del Paraguay. Si trattò, però, della classica vittoria “mutilata”, in quanto i giacimenti furono successivamente rinvenuti nella parte del Chaco (circa un terzo) assegnata alla Bolivia. A livello politico interno, in Paraguay si contò una crisi dietro l’altra. Tra il 1904 e il 1954 si insediarono ben trentuno presidenti, quasi tutti per effetto di sommosse o colpi di stato. La Seconda guerra mondiale vide il paese schierato a fianco degli alleati, con un riavvicinamento a Brasile e Stati Uniti in cambio di aiuti economici. Le contestazioni contro la politica del dittatore Higinio Morinigo (al potere dal 1940) scatenarono nel 1947 una guerra civile, promossa da liberali, forze di sinistra ed esercito, che si concluse con 30mila morti e la caduta dell’ennesimo tiranno. Le nuove elezioni presidenziali (1949) assegnarono la vittoria a Federico Chaves (conservatore), che, condividendone gli ideali di giustizia sociale, si avvicinò all’Argentina di Juan Domingo Peron. Questa scelta politica avrebbe segnato la sua fine. Allarmati da tali propositi i militari organizzarono un golpe il 4 maggio 1954, guidato dalla comandante delle forze armate generale Alfredo Stroessner, figlio di un emigrato tedesco e veterano della guerra del Chaco, che assunse così il potere assoluto; Stroessner venne formalmente elevato, pochi mesi dopo, alla carica di Capo dello Stato grazie ad elezioni presidenziali dove era stato l’unico candidato, prendendo il posto di Tomás Romero Pereira che aveva assunto la presidenza provvisoria dopo il golpe. Nei successivi trentacinque anni sarebbe stato sempre rieletto alla suprema carica grazie a votazioni controllate dal regime, divenendo il padrone assoluto del Paraguay e dando vita al più longevo dei regimi militari nella storia recente dell’America Latina. Tutti i partiti di opposizione furono sciolti (il pluripartitismo sarebbe stato ripristinato formalmente nel 1962), il Parlamento venne di fatto esautorato e il partito colorado (conservatore) fu inquadrato nel regime, costituendo assieme alle forze armate e di sicurezza lo strumento per il consolidamento e la preservazione del potere. Profondamente conservatore e nazionalista, con importanti appoggi militari ed economici da parte degli USA, Stroessner si sarebbe garantito la permanenza al potere grazie ad un sapiente intreccio tra repressione politica, corruzione, relazioni internazionali e politiche sociali ed assistenziali a favore delle masse più povere (ritenuto tra i più avanzati per l’epoca). Le istituzioni preposte alla previdenza ed assistenza pubblica divennero, in particolare, un efficacissimo strumento di propaganda, grazie ad una fitta rete di funzionari e personale sanitario fiancheggiatori del regime. Stroessner si premurò sempre di conservare all’estero un’immagine di rispettabilità per il suo regime, incaricando i suoi ambasciatori di presentarlo sotto la miglior luce possibile: questi ultimi, in particolare, dovevano citare spesso le provvidenze sociali del regime, mentre per darsi una parvenza di legalità e legittimazione popolare, il dittatore organizzava periodicamente elezioni generali, formalmente pluraliste. Stroessner mantenne sempre ottime relazioni di amicizia e di affari coi colleghi dittatori di varie nazioni latinoamericane, come il cileno Augusto Pinochet o il boliviano Hugo Banzer Suarez. Altrettanto buoni i rapporti con il Sudafrica dell’apartheid, proprio mentre tutto il mondo voltava le spalle al regime razzista. Il sistema autoritario che resse le sorti della nazione per più di tre decenni fu battezzato stronista (stronismo) dal nome del tiranno, oggetto di un autentico culto della personalità. La militanza nella guerra del Chaco sarebbe stata utilizzata dalla propaganda per fare di Stroessner l’emblema dell’eroe della patria, che aveva combattuto sul campo per difenderla, e che ora la proteggeva da un altro pericolo, quello comunista. Un complesso apparato normativo, fondato sui valori del nazionalismo e del militarismo, serviva a tenere a freno ogni forma di dissenso interno, qualificando come criminali e/o traditori (e perseguendoli come tali) chiunque si discostasse dalla linea ufficiale. La pervasività dell’apparato repressivo è comprovata dal numero delle vittime: 500 desaparecidos, decine di migliaia coloro che furono incarcerati, torturati e/o esiliati (espatriò circa un terzo della popolazione). Ancora oggi non esiste, però, certezza sul numero esatto delle vittime del regime, i dati disponibili sono stati raccolti dalla Comisión Verdad y Justicia de Paraguay. A differenza di quanto avveniva in altri regimi latinoamericani retti da “colleghi” di Stroessner, in Paraguay il terrorismo di stato non era affatto segreto, al contrario le istituzioni deputate operavano alla luce del sole, a cominciare dalla Dirección Nacional de Asuntos Técnicos para la represión del Comunismo (Direzione Nazionale Affari Tecnici contro la Repressione del Comunismo- DNAT), più nota come la “Tecnica”, istituita nel 1956, responsabile di torture, sparizioni e assassinio degli oppositori. L’apparato del terrore si avvaleva, inoltre, di una fitta rete di delatori, detti pyragues. Tutti sapevano cosa succedeva negli uffici della polizia politica, collocati volutamente in edifici molto centrali, deputati ad applicare le misure contenute nelle leggi speciali 294 del 1955 e 209 del 1970, che davano una nozione talmente vaga di crimine contro lo stato e sobillazione di stampo comunista (per esempio si poteva essere accusati per “attentato alla pace pubblica”) da prestarsi ad ogni genere di abuso; l’art. 79 della costituzione approvata nel 1967, inoltre, consentiva all’autorità governativa di procedere ad arresti e detenzioni senza nessuna limitazione. Gli archivi dell’organismo deputato alla violenza di stato, rinvenuti nel 1992, documentano il carattere programmatico e premeditato delle azioni criminali, molte delle quali compiute in esecuzione delle volontà espresse dallo stesso dittatore: la corposa documentazione è oggi custodita nel museo istituito presso il palazzo di Giustizia di Asuncion (pj.gov.py/contenido/132-museo-de-la-justicia/334). La scoperta degli stessi archivi è servita anche per far emergere la famigerata Operazione Condor, un’iniziativa voluta dall’amministrazione e dall’intelligence statunitense per favorire e promuovere regimi politici in funzione antisocialista nel sud America degli anni Settanta; tra gli aspetti più inquietanti, la collaborazione tra i vari regimi militari per realizzare lo scambio e la persecuzione dei diversi rifugiati politici. A metà anni Settanta, salvo poche eccezioni, gran parte dei paesi dell’America Latina erano retti da regimi dittatoriali, che portarono a compimento la cosiddetta Doctrina de Seguridad Social in funzione anticomunista (in pratica ogni genere di violenza e brutalità contro gli oppositori veri o presunti). Sul fronte internazionale il clima della guerra fredda e il titolo auto conferitosi di campeón mundial del anticomunismo garantirono a Stroessner il costante appoggio politico ed economico degli USA, che – come per tanti altri regimi dell’area – chiusero tutti i due gli occhi su crimini e corruzione del nuovo alleato nella crociata contro il marxismo; il fatto di aver contrastato con successo, agli inizi degli anni Sessanta, il tentativo di alcuni gruppi di guerriglieri filocomunisti di penetrare nel Paese regalarono al regime ulteriore credito presso l’amministrazione americana. Non fu certo un caso se la CIA installò, nei pressi del dipartimento statale di sicurezza di Asuncion, uno dei più importanti uffici dell’America Latina e se diversi suoi uomini cooperarono con gli apparati repressivi del regime. Un discorso a parte merita la Chiesa cattolica che si oppose sempre alle violenze di stato, denunciando costantemente abusi e sopraffazioni, commesse a danno di oppositori ed autoctoni. A tal proposito, uno dei peggiori crimini imputati al regime sarebbe stato il rapimento dei bambini indigeni e la loro vendita come schiavi; per allentare un poco la tensione interna Stroessner decise di distribuire ai contadini una parte dei terreni orientali. Tra le ombre più fosche, l’aver offerto protezione e rifugio ai criminali nazisti in fuga, tra i quali il famigerato Joseph Mengele, fatti che indussero la stampa estera a soprannominare quello di Stroessner come il “regime nazista del povero”. A partire dalla metà degli Settanta vi avrebbero trovato rifugio anche ex dittatori in esilio (come il nicaraguense Anastasio Somoza) ed esponenti della destra eversiva e fascista italiana (a cominciare da diversi membri di Ordine Nuovo), i quali si trasferirono in Paraguay dopo aver abbandonato Grecia e Portogallo, a seguito della caduta dei regimi dittatoriali che governavano quei paesi; va aggiunto che gli stessi uomini hanno conservato una buona posizione nel paese pure dopo la fine del regime stronista. Il regime perseguì un orientamento clientelare e personalistico in politica economica il che, associato ad una corruzione endemica, rallentò lo sviluppo del settore privato, inducendo molti operatori economici ad abbandonare il paese. Il contrabbando, grazie alla posizione strategica del Paraguay tra Brasile, Argentina e Bolivia, produsse un flusso di denaro sporco, alimentando le casse del regime (e i conti personali di molti dei suoi esponenti): i prodotti smerciati illegalmente andavano dalla droga, all’alcol, al tabacco, agli animali esotici. Il degrado economico e il progressivo isolamento internazionale prodotto dal regime diedero nuova linfa all’opposizione interna, assieme ad una presa di distanza da parte degli USA, avviata durante la presidenza di Jimmy Carter. Il punto di riferimento dell’opposizioni era divenuto il leader del partito liberal-radicale (PLRA) Domingo Laino, che si contrapponeva al partito Colorado di Stroessner. Esiliato dal regime nel 1982, rientrò nel paese – dopo un inutile tentativo l’anno prima – nel 1987, con l’appoggio determinante degli statunitensi che manifestarono così un nuovo ed importante segnale di rottura rispetto al tradizionale appoggio a Stroessner; nel mutamento di indirizzo politico influì certamente la distensione con l’URSS di Gorbaciov: allo stesso tempo gli americani ridussero ulteriormente i finanziamenti erogati in favore del paese, già tagliati da Carter. Le opposizioni organizzarono varie manifestazioni di protesta, spesso nelle zone rurali, duramente represse dagli squadroni governativi: diversi esponenti furono arrestati con l’accusa di sedizione e riunioni illegali. Nel febbraio 1988 il regime assestò l’ultimo colpo di coda contro i dissidenti, facendo arrestare 48 esponenti del coordinamento nazionale, tra i quali lo stesso Laino, ma questo non impedì pubbliche manifestazioni di piazza poco prima delle ultime elezioni “pilotate”. I contrasti cominciarono a insinuarsi perfino all’interno del partito Colorado, al punto che la stessa informazione controllata dalla censura dovette darne conto. Alla fine dell’anno rimanevano fedeli a Stroessner soltanto alcune entità economiche, rette da elementi vicini al presidente, come la IBR (Instituto de Bienestar Rural) e la INC (Industria Nacional de Cemento). L’anno successivo, ai primi di febbraio, Stroessner venne rovesciato da una fazione interna ai colorados, guidata dal generale (e suo consuocero) Andrés Rodríguez. Stroessner fu immediatamente mandato in esilio in Brasile (precisamente nella capitale Brasilia), nel 1997 sarebbe stato condannato in contumacia per crimini contro l’umanità dal tribunale dell’Aja. Morì di polmonite in esilio il 16 agosto 2006, a 93 anni. Il golpe interno al fronte conservatore permise a queste forze di mantenersi al potere per altri vent’anni. A seguito della deposizione di Stroessner, Rodríguez si autoproclamò presidente provvisorio, annunciando il ripristino della democrazia, ponendo così fine ad una delle ultime dittature rimaste al potere nell’area (l’anno seguente sarebbe toccato al Cile di Pinochet). Il primo maggio 1989 Rodríguez stesso fu eletto presidente, nelle prime elezioni libere, con il 74% dei voti. La permanenza al potere del partito del dittatore fu vista da molti osservatori come la principale causa del mancato sviluppo del paese e la permanenza di una serie di importanti criticità. La nuova costituzione, adottata nel 1992, pur garantendo formalmente le libertà politiche e personali, ha lasciato sostanzialmente immutati gli assetti di potere e gli elevati livelli di corruzione. Diversi esponenti del partito colorado, spesso in contrasto tra di loro per questioni di potere, si sono succeduti alla guida del paese, così come sono rimasti al loro posto molti degli uomini legati al passato regime. In effetti, solo nell’aprile del 2008 un candidato progressista, l‘ex vescovo Fernando Lugo, fu eletto per la prima volta presidente del Paraguay, prevalendo col 41% dei voti sul candidato conservatore Blanca Ovelar, fermatasi al 31. I conservatori, tuttavia, continuarono ad avere la maggioranza nella Camera bassa del Parlamento, tanto che il 30 giugno 2012 avviarono una procedura per la messa in stato d’accusa di Lugo, per via della morte di otto poliziotti e nove contadini in uno scontro seguito all’esecuzione coattiva di una procedura di sfratto. Lugo non fu messo nelle condizioni di organizzare una efficace difesa – ebbe poche ora per prepararsi – e deferito al Senato (anch’esso a maggioranza conservatrice), riunito in alta corte di giustizia, venne destituito dalla carica. Presidente ad interim divenne il vicepresidente Federico Franco (liberale). Nelle successive elezioni il partito colorado tornava al potere, eleggendo alla presidenza Horacio Cartes. Ancora oggi, nonostante siano trascorsi più di trent’anni dalla fine del regime e la scomparsa del dittatore, il paese conserva importanti criticità, anzitutto sul terreno politico, che spinge molti osservatori a ritenere che non si sia ancora veramente fatto i conti col passato stronista. Basti dire che l’attuale Capo dello Stato è Mario Abdo Benítez (eletto nel 2018), esponente del partito colorado, figlio del braccio destro di Stroessner (era stato il suo segretario personale). Se si eccettuano taluni membri delle forze di sicurezza, non si sono mai celebrati processi per le uccisioni e le torture degli oppositori e solo nel 2016 sono iniziate le procedure di identificazione dei desaparecidos. Il Governo, in occasione del trentennale della fine del regime, non ha organizzato nessuna manifestazione ufficiale e Abdo Benítez ha pronunciato un discorso di condanna sui crimini commessi solo dopo essere stato aspramente criticato per i suoi silenzi. Il 3 febbraio 2019, i cittadini hanno organizzato una marcia per il centro di Asunción, chiedendo il giusto castigo per i responsabili dei crimini passati (al grido di “memoria, juicio y castigo”), mentre le opposizioni denunciavano la corruzione, il clientelismo e le disuguaglianze sociali come un tragico lascito dello stronismo, unitamente alle complicità latenti con elementi del crimine organizzato. All’origine della protesta, inoltre, la discriminazione in favore dei ceti più ricchi e degli immigrati brasiliani, all’origine di ulteriori diseguaglianze, frutto ancora una volta di assegnazioni clientelari fatte durante i lunghi anni della dittatura. I retaggi del vecchio regime si possono, purtroppo, riscontrare nei dati che fotografano il contesto economico e sociale. Il Paraguay si caratterizza ancora oggi per un’economia sommersa che riguarda un quarto della popolazione attiva (soprattutto piccoli imprenditori ed addetti nel settore terziario), specialmente nelle aree urbane. Per l’FMI il valore dell’economia sommersa arriverebbe al 70 per cento del PIL nazionale. Tale situazione può essere ricondotta ad una sorta di gestione para mafiosa dell’apparato statale maturata durante lo stronismo, attraverso un connubio, per un reciproco vantaggio economico e di potere, tra il regime e varie organizzazioni criminali (pensiamo solo al contrabbando di cui è discorso). Un’importante crescita economica, in termini di PIL prodotto, si è registrata nel 2010 (+14,5 punti in più), il che però non ha affatto risolto le gravi diseguaglianze economiche (circa il 38 per cento degli abitanti versa tuttora in condizioni di povertà), ed un tasso di disoccupazione stimato al 26,5 per cento. I settori trainanti dell’economia restano agricoltura e allevamento, tanto che la gran parte delle industrie presenti nel paese sono dedite ad attività di trasformazione dei prodotti del settore primario (producendo meno di un quinto del PIL complessivo). Le gravi disparità economiche sono rese evidenti dalla proprietà dei terreni coltivabili (rapporto Oxfam 2017): poco più dell’un per cento dei proprietari possiede circa l’80 della superficie coltivabile (8 milioni di ettari). La concentrazione della proprietà terriera deriva dalla prassi del regime di comprare il favore dei suoi sostenitori (a cominciare dagli alti ufficiali e stranieri compiacenti) con generose assegnazioni, che nessuno ancora oggi mette in discussione, forse per timore di un nuovo golpe. A partire dagli inizi del nuovo millennio, approfittando della manodopera a basso costo, si sono insediate in Paraguay nuove industrie per la trasformazione di prodotti stranieri destinati all’export (cd. Maquiladoras), alimentando traffici illegali e sfruttamento dei lavoratori; gli autoctoni, inoltre, spesso vengono cacciati dalle loro terre per far posto agli immigrati brasiliani dediti a coltivazioni più redditizie, come grano e soia. Nel paese sono presenti due enormi impianti idroelettrici, le dighe di Yacyretá e di Itaipú (la American Society of Civil Engineers, nel 1994, l’ha inserita tra le sette Meraviglie del mondo moderno; rappresenta oggi l’impianto più grande del mondo), che paradossalmente servono più l’export e i paesi vicini (Brasile e Argentina, che ne hanno beneficiato ben più del Paraguay), destinando ai consumi interni meno di un quinto dell’energia prodotta. I servizi pubblici sono ancora oggi di livello pessimo, a cominciare da sanità ed istruzione; è significativo che nei programmi scolastici lo stronismo continui a restare un argomento tabù. Il Parlamento ha rimandato sine die il disegno di legge per impedire la deforestazione in corso nel Chaco, all’origine di gravissimi danni a livello umano ed ambientale, ancora una volta per favorire gli interessi di latifondisti e imprese straniere le quali, attraverso il diboscamento, si prefiggono di incrementare le coltivazioni di soia per l’esportazione, praticamente senza quasi pagare tasse allo stato. Ancora oggi l’opinione pubblica è fortemente divisa sul periodo stronista, tra chi nostalgicamente propende per il famoso adagio “si stava meglio quando di stava peggio” e coloro che ne parlano come dell’epoca più buia nella storia del paese. Quel che è certo è che la propaganda e il sistema educativo inocularono nella mente dell’uomo comune l’idea che il regime tutelasse veramente il progresso e il benessere della nazione, e il convincimento che tale risultato occorreva pagarlo col prezzo della violenza e della corruzione (el precio de la paz). Il Paraguay ha sicuramente fatto molti progressi sul terreno del rispetto dei diritti e libertà democratiche, da più di trent’anni tutti i presidenti sono stati eletti democraticamente, eppure molto resta ancora da fare sul fronte sociale. Il Padre gesuita Francisco de Paulo Oliva, strenuo difensore dei diritti umani, parlando del Paraguay ha detto che “viviamo in una democrazia tutelata, controllata dal partito che portò Stroessner al potere e che governa il paese da 65 anni, con l’intervallo dei quattro anni di Lugo come presidente.” La cultura della illegalità e della corruzione sono ancora molto presenti nel tessuto sociale e nel comune sentire, e solo facendo i conti con il passato sarà possibile andare oltre.
di Paolo Arigotti