Nelle scorse settimane, in Kazakistan, la normalizzazione è stata annunciata pubblicamente dal presidente Kasym-Žomart Tokaev, che ha parlato di sconfitta del terrorismo e di ripristino dell’ordine costituzionale. A questo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) fare seguito il graduale ritiro del contingente filogovernativo, composto di militari russi, bielorussi, armeni, kirghizi e tagiki, nazioni alleate del paese asiatico e tutte vicine a Mosca. L’intervento a reti unificate del capo dello Stato risponde certamente a finalità internazionali, ma pure di prestigio interno del successore del padre della patria, Nursultan Nazarbaev (al quale è stata intitolata la nuova capitale), unanimemente considerato il fondatore del Kazakistan indipendente dopo la fine dell’URSS; ad avviso di molti osservatori ancora oggi, ad ottant’anni suonati, sarebbe lui il vero padrone della nazione. Il ritiro del contingente straniero, inoltre, ammesso che si realizzi in tempi brevi, ha il fine di far credere che il paese non abbia subito una sorta di invasione e/o commissariamento, bensì semplicemente ricevuto aiuto e sostegno dai suoi alleati, tacitando così le voci di un’invasione russa mascherata. Chiaramente l’obiettivo finale – sicuramente concordato con Putin – è quello di dare a vedere che il Kazakistan sia stato in grado, col supporto degli alleati, di scongiurare ogni pericolo di infiltrazioni straniere, sulla falsariga dell’Ucraina, sull’onda di quella presentata gli occidentali come la “rivolta colorata”. Molti analisti restano convinti che il ritiro non sarà così repentino e che al più interesserà gli alleati minori, non certo i russi, destinati a fermarsi ancora per diverso tempo. La Russia considera da sempre i paesi confinanti dell’ex area sovietica come un proprio baluardo e barriera di protezione, da tenere al di fuori di ogni tentativo d’intromissione degli occidentali, americani in primis. Agli occhi di Mosca, la “rivoluzione colorata” non era null’altro che il pericolo di una nuova Ucraina. Non dimentichiamo, inoltre, che la Russia ha interessi strategici in Kazakistan, come la struttura aerospaziale decisiva ai fini della nuova corsa al controllo dello spazio. Nella questione kazaka, Mosca ha potuto contare sul pieno appoggio di Pechino, che ha offerto piena disponibilità a presidiare con le sue forze il territorio, col proposito – neanche troppo celato – di mettere le mani sulle preziose risorse naturali del Kazakistan (gas, petrolio e uranio), senza contare il fatto che la nazione costituisce uno degli snodi fondamentali della nuova via della seta. Con questi presupposti è estremamente improbabile che ogni cambio di governo nello stato ex sovietico possa aver luogo senza il placet dei russi (e forse dei cinesi): non è certo un caso se in una recente dichiarazione dei vertici della diplomazia russa si legge che i rapporti con la Cina non sono mai stati così stretti.
di Paolo Arigotti