Da secoli, in Italia, è tradizione che al figlio si trasmetta il cognome del padre, o se non è riconosciuto, quello della madre. Inoltre, la Legge consente eccezionalmente, con un iter burocratico lunghissimo, di cambiare cognome, quando si tratti di un cognome che risulti ridicolo o vergognoso o che riveli origine naturale, oppure la possibilità di aggiungerne un altro al proprio. Le regole per tale iter sono dettate dagli artt. 89 ss. del DPR 396 del 2000, che prevedono una specifica richiesta al Prefetto al fine di sostituire il cognome o il nome.
Il 27 aprile u.s. la Corte Costituzionale ha definito, con storica decisione, illegittimo l’automatismo del cognome paterno, che attribuisce al figlio di una coppia solo il cognome del padre e ne ha dato notizia, prima della pubblicazione della sentenza, con un comunicato nel quale ha spiegato che tale regola è stata giudicata discriminatoria e lesiva all’identità del figlio, sottolineando che la principale motivazione è che la vecchia norma violava il principio di eguaglianza, in particolare gli articoli Costituzionali n. 2, 3 e 117 (primo comma), in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, posti a tutela del diritto alla vita privata e familiare e del divieto di discriminazioni fondate sul sesso.
Alla luce della suddetta decisione entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul cognome dei figli. Le nuove regole si applicheranno ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio ed ai figli adottivi.
Ovviamente la legge non è retroattiva, quindi non ha effetto automatico per il passato, oltretutto, riflettendo, sarebbe veramente un lavoro gravoso dover cambiare tutti i Codici Fiscali in essere. Ciò non toglie che se qualcuno volesse aggiungere il cognome della madre al proprio da oggi potrebbe farlo. La suprema Corte ha lasciato al legislatore il compito di regolare tutti gli aspetti della decisione assunta, si sa, comunque, che in Senato già da tempo ci sono ben cinque disegni di legge depositati in Commissione Giustizia, al fine di equiparare il cognome del padre e della madre.
Il primo effetto in assoluto della decisione della Suprema Corte è quello del decadimento dell’art. 262 del Codice Civile, che detta le regole per il cognome da assegnare al figlio fuori dal matrimonio, assegnando il cognome del primo genitore che lo riconosce, o se è riconosciuto da entrambi assume il cognome del padre.
Ma com’ è nata la storica decisione? Da una questione di legittimità costituzionale inoltrata a novembre del 2021 dalla Corte d’Appello di Potenza, in Basilicata: la fattispecie coinvolgeva una coppia di Lagonegro (PZ) che voleva dare al proprio figlio il solo cognome della madre, per uniformità coi primi due figli, avuti prima del matrimonio e che la madre aveva riconosciuto per prima (i primi due figli avevano quindi mantenuto solo il suo cognome). L’opposizione del Comune alla richiesta, che però concedeva al figlio la possibilità di assumere entrambi i cognomi dei genitori, ha stimolato ambedue a rivolgersi al Tribunale, che alla fine aveva emesso sentenza di inammissibilità del ricorso. Quindi, i coniugi si presentarono davanti alla Corte di Appello di Potenza che ritenne, contrariamente al Tribunale, il ricorso fondato, accogliendolo e subito dopo ha inoltrato il caso alla Corte Costituzionale che si è espressa con la decisione storica.
Si attende ora la pubblicazione della sentenza con le motivazioni più specificate rispetto al comunicato stampa della Suprema Corte, che, intanto, a Pesaro il 27 aprile u.s. è stato immediatamente applicato per la prima volta, con l’accoglimento della richiesta di una madre che reclamava per il figlio di aggiungere al suo cognome quello del padre, che però non era d’accordo e si opponeva. Il Decreto del Tribunale di Pesaro è stato già depositato.
È una svolta storica, che ha diviso la politica e la popolazione italiana, è stata acclamata da molti e criticata da altrettanti, ma che dà un colpo di piccone alla secolare tradizione del diritto che prende il suo fondamento dal Diritto Romano.
Con questa sentenza la Suprema Corte ritorna ad usare gli aggettivi paterno e materno, in alternativa alla proposta politica di cancellazione, anonimizzando le figure, cercando di introdurre nuovamente la dicitura genitore 1 e genitore 2 nei documenti.
Un’immagine della memoria collettiva torna alla mente quella della battaglia sostenuta da Filumena Marturano, figura della grande commedia di Eduardo De Filippo, che costringe ad un finto matrimonio, ovviamente nullo, Don Mimì, per fargli riconoscere tutti e tre i figli che ha avuto, di cui uno solo è il suo. Alla fine, Don Mimì, dopo aver cercato di capire quale fosse suo figlio, si sente chiamare contemporaneamente papà da tutti e tre i ragazzi e commosso decide di sposare finalmente Filumena, riconoscendoli tutti e dando loro il proprio cognome.
di Francesca Caracò