Il nuovo anno è cominciato per i dipendenti pubblici con un passo decisivo per il rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL). Dopo la firma della preintesa a fine dicembre 2021, il 5 gennaio scorso è stata, infatti, firmata l’ipotesi di accordo per il contratto delle Funzioni centrali (che come sempre fa da apripista) e che entrerà in vigore a breve, dopo i controlli da parte del Dipartimento della funzione pubblica, MEF e Corte dei conti. Proprio quest’ultima, nell’adunanza del 4 maggio 2022, ha certificato positivamente l’ipotesi relativa al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale del Comparto Funzioni Centrali – Triennio 2019/2021, con le osservazioni e le raccomandazioni.
Il percorso per il rinnovo del contratto per i dipendenti pubblici era cominciato il 10 marzo 2021, con la firma a Palazzo Chigi del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale introducendo molti elementi di novità, tra cui la revisione dell’ordinamento professionale e la regolamentazione del lavoro agile, e rappresenta un tassello fondamentale per realizzare una riforma della PA basata non su una legge complessa, ma su interventi specifici, che rilanciano appunto la contrattazione, le assunzioni e l’aggiornamento delle competenze dei dipendenti pubblici.
Ovviamente, le amministrazioni devono saper utilizzare al meglio le risorse che hanno a disposizione, non c’è una regia centrale che può gestire tutto. E la riforma della PA non è solo fatta dal contratto per i dipendenti pubblici, quello è uno strumento, è poi necessario che le singole amministrazioni svolgano un ruolo attivo nel ripensare il proprio modello organizzativo, individuare i fabbisogni interni in ottica di reclutamento e competenze, e definire l’organizzazione delle risorse umane.
Le sfide e gli obiettivi che abbiamo davanti ci dovrebbero far capire che abbiamo bisogno di culture nuove e professionalità dotate di competenze trasversali (comunicazione efficace, empatia, flessibilità, problem solving, capacità di fare squadra, etc.) e non solo specialistiche, che il mercato del lavoro italiano offre. Non occorrono solo tanti giovani laureati, poiché non hanno esperienza lavorativa, ma rafforzare la consapevolezza di quali competenze servono e di cosa c’è sul mercato, la PA dovrebbe raccogliere più informazioni attraverso i bandi di concorso sul mercato del lavoro di riferimento e su quello potenziale, per capire chi è interessato a lavorare per l’amministrazione pubblica: se ha mai lavorato, quali lavori ha svolto e per quanto tempo, le attitudini, se è disoccupato o neet e da quando.
Ritornando un attimo al contratto 2019 – 2021, abbiamo la disposizione contenuta all’art. 3 del dl 80/2021 che prevede che la contrattazione collettiva debba individuare un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione e la previsione dell’art. 2 dello stesso decreto-legge che consente, con uno specifico fondo alle pubbliche amministrazioni, di poter attivare specifici progetti di formazione e lavoro per l’acquisizione, attraverso contratti di apprendistato anche nelle more della disciplina dei rispettivi contratti collettivi nazionali di lavoro, di competenze di base e trasversali, nonché per l’orientamento professionale di diplomati e di studenti universitari. L’accesso in un’organizzazione come la PA e quindi l’Inps, inoltre, non si esaurisce nel concorso, c’è molto prima, in termini di campagne di promozione, analisi del mercato, verifica delle competenze necessarie e progettazione dei test, e molto dopo, in termini di periodo di prova, formazione di ingresso, il reclutamento, infine, dovrà essere inderogabilmente di qualità.
Quindi, se dedichiamo grande importanza al reclutamento di nuove competenze, non possiamo inoltre dimenticare il personale in servizio. Oltre 3 milioni di dipendenti distribuiti tra migliaia di amministrazioni, molto diverse tra loro.
In un’organizzazione spesso “trascurata” come la PA, abbiamo diverse fattispecie organizzative che non possono essere sintetizzate solo in termini di età e genere o territorialità. Se dedichiamo grande importanza al reclutamento di nuove competenze, non possiamo dimenticare e trascurare il personale esistente già in servizio, il quale è naturalmente eterogeneo ma che è frutto inevitabile della tipologia del reclutamento (ha fatto un concorso serio!) e dei percorsi lavorativi (ha lavorato presso o con).
Dobbiamo imparare ad occuparci del personale in servizio e considerarlo “capitale umano”, imparando a investire e a mantenerlo abile e qualificato. Per questo dobbiamo innanzitutto imparare a conoscerlo, verificando periodicamente il grado di conoscenze e competenze acquisite anche per colmare il gap registrato tra le competenze richieste e quelle presenti.
di Sossio Moccia