La decisione della Russia di interrompere – a far data dallo scorso 21 maggio – le consegne di gas alla Finlandia è stata letta e interpretata dai media occidentali come una prima ritorsione avverso la decisione del paese scandinavo di domandare ufficialmente l’ingresso nella NATO.
Per quanto la coincidenza temporale non sia trascurabile – la decisione di Mosca segue di appena due giorni l’annuncio del governo di Helsinki e si riallaccia alle minacciate ritorsioni della Russia a fronte di una simile decisione – in realtà, l’interruzione delle forniture scaturisce dal più generale quadro delle sanzioni imposte a Mosca per effetto dell’invasione dell’Ucraina. Il Cremlino, come noto, facendo seguito alle sanzioni imposte da molti governi occidentali, ha prescritto che il pagamento delle forniture gasiere avvenga esclusivamente in rubli, pena l’interruzione delle stesse. Ebbene, la compagnia finlandese statale Gasum ha rifiutato di adeguarsi a tale opzione, dichiarando di voler ricorrere ad un arbitrato per dirimere le controversie; la stessa compagnia ha rassicurato – per bocca dell’amministratore delegato – che questo non comporterà nessuna sospensione nelle forniture per i suoi clienti, grazie al ricorso a fonti alternative, come il gasdotto Baltic Connector, che collega le reti finlandesi con quelle della vicina Estonia. Mosca è pienamente consapevole dell’importanza del suo gas (per esempio, in Italia oltre il 40 per cento del fabbisogno viene attualmente soddisfatto con le importazioni russe) e in questo senso non c’è alcun dubbio che ne voglia fare uno strumento di pressione contro l’Occidente. Tale potenziale arma di pressione potrebbe essere, pertanto, impiegata anche con la Finlandia, ma su questo occorre fare alcune importanti precisazioni, che differenziano di molto la situazione del paese scandinavo rispetto a quello di altre nazioni europee, come Polonia e Bulgaria (che si sono viste tagliare il gas per le stesse ragioni). La Finlandia, è vero, importa la maggior parte del gas dalla Russia (circa il 68 per cento), ma tale fonte rappresenta meno di un decimo del consumo energetico totale, mentre le esportazioni della Federazione russa costituiscono circa il 3 per cento del mix energetico complessivo; aggiungiamo, quali ulteriori elementi, il fatto che il gas russo copre circa il 5 per cento del fabbisogno energetico complessivo di Helsinki e viene utilizzato per appena l’1 per cento dell’elettricità prodotta. Se la Polonia dipende per il 55 per cento dalle forniture gasiere russe, la Finlandia ha una situazione ben diversa e numeri nel complesso assai più contenuti. Il merito di questa condizione di maggior favore è costituito dalle politiche di decarbonizzazione e differenziazione delle fonti di approvvigionamento energetico perseguite da diversi anni, anche e soprattutto in un’ottica di rispetto dell’ambiente e di riduzione delle emissioni di gas serra: la Finlandia, ad esempio, è uno dei primi paesi al mondo per utilizzo di rinnovabili (come la bioenergia), che già oggi rappresentano circa il 40 per cento dei consumi e che si vorrebbe portare ad oltre il 50 entro la fine del decennio. Bioenergia a parte, tra le fonti utilizzate ricordiamo i combustibili provenienti dalle rigogliose foreste e dai rifiuti urbani e industriali, il legno, l’idroelettricità, l’eolico e il geotermico. In sostanza, se in molti paesi europei la decisione di sganciarsi dalla dipendenza energetica dalla Russia rappresenta al momento, al più, una dichiarazione d’intenti o di buone intenzioni, la Finlandia già da anni è impegnata in una politica energetica ispirata all’autonomia e al rispetto dell’ambiente. In attesa di realizzare pienamente tali ambiziosi obiettivi, la Finlandia ha avviato il progetto per un nuovo rigassificatore, che permetterà di fruire, quale ulteriore risorsa, del GNL di provenienza statunitense.
di Paolo Arigotti