Questa è la nuova anacronistica realtà!
Da un po’ di tempo i ristoratori e non solo si affannano nella faticosa ricerca di personale, anche avventizio, da collocare all’interno delle proprie attività.
Una conseguenza immediata ed inevitabile, in parte legata alla storia del dramma occupazionale.
Per svariati decenni molti lavoratori sono stati sfruttati dimenandosi, faticosamente alla ricerca di un’occupazione stabile e duratura, permeata dalla speranza di ottenere un corretto inquadramento contrattuale, meta invano raggiunta da tanti, agognata da tutti.
La carenza di personale, qualificato e non, è collegata a quella piccola sicurezza economica, giusto il minimo per sopravvivere, visto che non tutti sanno che la somma che lo stato elargisce serve principalmente per pagare l’affitto, le utenze domestiche e fare la spesa, sicurezze che lo Stato è riuscito a garantire a chiunque, in possesso dei requisiti reddituali, si trovi sprovvisto di occupazione.
L’erogazione a macchia d’olio del Rdc (Reddito di cittadinanza) è oggi la principale causa dell’infruttuosa ricerca di personale da parte della classe imprenditoriale, che fino ad un paio d’anni fa, a fronte del vilipendio delle risorse umane e vitali del lavoratore, in taluni casi, forse non erogava nemmeno quello che oggi, a tutela della dignità della persona, eroga lo Stato.
Ma come sempre, non tutto avviene per caso fortuito!
Non possiamo e non dobbiamo dimenticare i tempi in cui specialmente nel corso dello svolgimento delle attività stagionali, e non solo, una flotta di lavoratori (con le dovute eccezioni) veniva usurata allo strenuo delle forze, senza ribellarsi perché non aveva valide, immediate alternative, risultando di fatto sprovvista di vitale energia positiva, che conferisse forza propulsiva alla sua lotta, per contrapporsi al potere datoriale e ristabilire la parità delle parti contrattuali, nel rispetto di un sano principio di equità, nello svolgimento di un lavoro che non conosceva né notte, né giorno, né riposo, né ferie e purtroppo neanche la retribuzione.
Tutto il tessuto occupazionale pareva svolgersi in contrasto con i dettami contenuti nel corpo costituzionale, ragione per la quale da più parti del continente il grido di lamento, di sgomento e di disperazione era talmente forte da cozzare contro ogni legge vigente e preesistente prevista a tutela dei lavoratori: si percepiva una forma di ingiustizia sociale contro la quale si poteva intervenire ben poco a tutela del povero lavoratore indifeso.
E quindi tornando al passato, ma si assiste anche oggi a lacunose ed ignobili forme di sfruttamento, il lavoratore gridava giustizia verso uno Stato che percepiva assente, per quanto ciò non fosse ma, purtroppo gli stessi controlli statali non riuscivano a debellare il fenomeno vista la drammatica ampiezza assunta nel tempo, rispetto al lacunoso scenario dello svilimento del personale, il più delle volte mal retribuito.
Oggi, la situazione sembra essersi rovesciata a nocumento di quella fascia della classe imprenditoriale, che per anni ha strumentalizzato il potere datoriale per trarre il massimo profitto, a totale discapito di chi necessitava di un’occupazione per poterne trarre basilari mezzi di sostentamento per sé e la famiglia, ragioni di vita che davano forza alla resistenza passiva, consentendo al lavoratore di sopportare ogni forma di angheria.
Tuttavia, è pur vero che lo sfruttamento, per chi è incardinato nel mondo del lavoro privato è ancora troppo diffuso, è un male troppo cristallizzato, perché si possa ritenere totalmente sradicato.
Il Rdc ha sicuramente abbassato il piatto della bilancia in favore dei lavoratori a totale detrimento della classe imprenditoriale che oggi, paradossalmente, si arrampica, verso l’infruttuosa ricerca di personale da collocare all’interno del proprio organigramma per sostenere lo svolgimento delle proprie attività, incrementarle di linfa produttiva e vederle crescere.
L’assenza e la vacuità della ricerca è maggiormente avvertita per quelle attività, che necessitano di personale per brevi periodi occupazionali, anche in virtù della breve durata temporale di alcune aziende, che lavorano solo in alcuni periodi dell’anno, come avviene nel periodo estivo o durante le stagioni sciistiche invernali, settori in cui lo sfruttamento ha sempre maggiormente proliferato.
Oggi, la frammentarietà occupazionale è maggiormente sentita, perché in tanti si percepisce la comodità e l’agio o meglio l’adagiarsi su un’entrata sicura, che consente di avere quel minimo vitale per potersi sostenere dignitosamente.
E intanto la lotta impari continua a più non posso e ciò da almeno un biennio, verosimilmente da quando il Rdc è entrato a pieno regime.
È chiaro che non può pensarsi di poter reggere una nazione su queste basi all’infinito, tant’è che sono in corso, unitamente ai controlli da parte degli organi di competenza per verificare la correttezza dei dati dichiarati e la veridicità e conformità alle vigenti norme a tutela del Bilancio dello Stato, una serie di attività comunali tese all’inserimento lavorativo dei percettori del reddito di cittadinanza, con la logica conseguenza che in caso di rifiuto del percipiente è già prevista, in assenza di una reale causa che legittimi il rifiuto, la perdita del beneficio.
Ma cosa diversa è la circostanza che si possa ipotizzare un ritorno al passato, un rientro dell’arroganza di quella classe imprenditoriale, che per decenni ha solo sfruttato il lavoratore, violentandolo spiritualmente e violando tutte le regole, contravvenendo ad ogni forma di rispetto, principalmente della dignità.
di Angela Gerarda Fasulo