Eravamo molto giovani quando ci siamo conosciuti, io e Massimo. Parliamo di fine anni 60, entrambi assunti all’INAIL (per concorso) io nel ’65 e lui nel ‘66.
Io sposato da poco, lui bel giovanotto, di quelli romani simpatici, “piacioni”, sempre apprezzato dalle ragazze per la presenza, lo stile, l’affabilità, il sorriso, l’eloquio, la battuta pronta, la disponibilità al dialogo, fino a quando non ha avuto la fortuna di essere “catturato” da Roberta, l’amore della sua vita, che ha sposato dopo un breve fidanzamento.
E’ cominciata in quegli anni la nostra amicizia divenuta fraterna e durata fino ai nostri giorni. Entrambi travolti dalla passione sindacale che ha contrassegnato le nostre vite per oltre quaranta anni. Anni difficili a ridosso del sessantotto, con battaglie sindacali dure, condizionate da un clima politico rovente e da ideologie radicali con esplosioni di lotte, stragi e terrorismo.
Entrambi ci ritrovammo a svolgere attività sindacale sui posti di lavoro, quelli di prima istanza, più diretti e spontanei, con un riscontro quotidiano di chi ti affida un mandato: una attività un po’ dimenticata che è forse la causa del lassismo e del distacco dei lavoratori dal sentire sindacale.
Solo che, entrambi, facemmo la scelta più difficile, forse la più scomoda, scegliemmo di abbracciare l’idea di un Sindacato autonomo, il nostro Sindacato Autonomo nato proprio nell’Inail nell’immediato dopoguerra e tuttora in prima linea dopo oltre settant’anni.
Un Sindacato libero dai condizionamenti ideologici. Un Sindacato dei Lavoratori e di nessun altro.
Una scelta difficile, dicevo, fatta di sacrifici, di bocconi amari, di battaglie dure a volte vinte a volte perse ma sempre in salita, contrastati dallo strapotere di chi intendeva (e ancora intende) gestire in regime di monopolio la vita sindacale di questo Paese e l’arroganza della burocrazia e della cattiva politica.
Insieme abbiamo percorso e abbracciato l’attività sindacale in ambito aziendale, di Federazione e di Confederazione.
Siamo stati testimoni e perchè no anche protagonisti delle vicende del nostro Ente, l’Inail, perennemente e ciclicamente assaltato dai poteri forti e di quanti ne hanno sempre auspicato lo scioglimento. Ne abbiamo sempre difeso la funzione non riuscendo comunque a salvaguardarne i capisaldi finanziari ed economici sui quali si regge l’equilibrio per la garanzia delle prestazioni, in ragione di una politica dissennata che ha stravolto le fondamenta sulle quali poggia il sistema infortunistico pubblico. Oggi ne vediamo i risultati con il progressivo smembramento dell’importante funzione di vigilanza. La scelta di Massimo e di tanti altri amici che hanno condiviso l’idea di un sindacato fuori dal coro è costata anche in termini di risultati, di carriera che se per altri è stata agevole e facile, per gli altri è stata difficile e contrastata.
Fu per Massimo un passaggio difficile il rientro in servizio per andare a dirigere prima la sede di Terni e poi la più grossa sede di Roma e, infine,la Vice direzione della Regione Lazio fino al pensionamento.
Per quanto fosse impegnativa la funzione dirigenziale non ha mai mancato di dare il suo apporto ed il prezioso contributo per l’attività sindacale mantenendo un legame stretto con tutti gli amici con i quali ha vissuto una parte rilevante della sua vita che lo hanno sempre guardato con rispetto e simpatia.
Potrei riempire pagine intere per parlare di Massimo, delle tante battaglie vissute insieme ma anche dire delle nostre vite private, del suo grande trasporto e affetto per la famiglia, i genitori, i due fratelli, la moglie Roberta, i figli Enrico e Riccardo cresciuti assieme ai miei figli.
Potrei ricordare le fantastiche ferie che per molti anni abbiamo trascorso insieme ai nostri ragazzi, in montagna o al mare.
Potrei dire delle nostre passioni per il tennis o per il calcio, lui della Lazio io della Roma. Quanto potrei dire.
Il male maledetto lo ha colto quando stava raccogliendo i frutti di una vita di lavoro dedito alla famiglia e alla sua amata Roberta.
Ha affrontato il male e il dolore con grande dignità senza mai dare segni di sconforto e anzi cercando di attenuare con un sorriso il dolore che a volte lo assaliva.
Con lui ho perso un punto prezioso di riferimento, un amico fraterno che porta con se una parte del mio cuore. Un grande uomo: Massimo Cesarini.
Ciao Massimo!