Il prossimo 25 settembre oltre 46 milioni di cittadini italiani (circa 4,8 i residenti all’estero) saranno chiamati alle urne per rinnovare le due Camere del Parlamento. Ricordiamo che, in base all’art. 58 della Costituzione, sono elettori tutti i cittadini titolari dei diritti civili e politici che abbiano compiuto i 18 anni di età alla data di convocazione dei comizi. I tecnicismi dei meccanismi elettorali vigenti (disciplinati dalla legge 3 novembre 2017, n. 165 – cd. Rosatellum, dal nome del relatore Ettore Rosato), che condurranno alla scelta dei 400 deputati e dei 200 senatori – numeri ricalibrati per effetto della riduzione dei parlamentari operata con la legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 – non sono semplicissimi, specie per coloro che sono digiuni di sistemi politici e affini. Vediamo di fornire qualche breve chiarimento. In astratto, esistono due modelli di sistema elettorale, quello maggioritario nel quale prevale il candidato che ottiene più voti e quello proporzionale, dove ciascuna lista consegue un numero di seggi corrispondente alla percentuale dei voti: è bene precisare che tali metodi conoscono numerose declinazioni di ordine pratico, per cui si tratta di una distinzione teorica, che deve necessariamente essere calata nelle singole realtà politiche. Del resto, moltissimi paesi hanno adottato sistemi elettorali che costituiscono un mix dei due, anche nel tentativo di prevenire le critiche che suscitano i due metodi: il maggioritario viene contestato perché penalizzerebbe la rappresentatività delle minoranze, come le piccole formazioni politiche, mentre il proporzionale – per le ragioni specularmente opposte – è oggetto di critica perché favorirebbe la frammentazione politica, rendendo difficoltosa la formazione di maggioranze stabili. Non a caso, col Rosatellum è stata compiuta una scelta di compromesso. Premesso che il sistema elettorale è – salvo eccezioni di scarso rilievo – sostanzialmente analogo per Camera e Senato, useremo come paradigma quello per la scelta dei deputati. L’Italia viene suddivisa in 147 collegi elettorali uninominali, che coprono l’intero territorio nazionale. In ciascun collegio si presentano, contraddistinti dalla lista di appartenenza, un certo numero di candidati, il cui nome e cognome è indicato sulla lista consegnata all’elettore, che farà la propria scelta barrando il simbolo o il nominativo del candidato: in questo caso vige il maggioritario “secco”, in quanto nel singolo collegio prevarrà il candidato che si aggiudicherà anche un solo voto in più rispetto ai suoi avversari (difatti, si parla di collegio uninominale: un collegio, un eletto). Vengono così individuati 147 dei 400 deputati. Gli altri 253, invece, vengono scelti, con metodo proporzionale: 245 eletti in Italia e i restanti 8 nella circoscrizione estero (dove si vota con metodo proporzionale e collegi plurinominali). In pratica, ogni partito (o coalizione) eleggerà tanti parlamentari quanti saranno i voti conseguiti a livello nazionale, nell’ambito di una ripartizione del territorio in collegi plurinominali (che talvolta comprendono una o più regioni), disegnati in rapporto al numero degli abitanti. In questo secondo caso, l’unico voto possibile è quello per la lista, mentre – questione assai contestata – non è possibile esprimere alcuna preferenza per il singolo candidato. Questo significa che i candidati verranno eletti solo ed esclusivamente in funzione dei voti ricevuti dalla lista e nel rispetto dell’ordine in cui sono inseriti nella stessa (si parla, in tal senso, di listino bloccato); per capirci, se un determinato partito (o coalizione) consegue un numero di voti che gli attribuiscono in quel determinato collegio, poniamo, due deputati, saranno eletti i primi due nominativi della lista. Per il Senato vige lo stesso principio, solo con numeri dimezzati: 74 senatori vengono eletti nei collegi uninominali, 122 nei collegi “plurinominali”, cui si aggiungono i 4 della circoscrizione estero. L’unica differenza, in applicazione dell’art. 57 della Costituzione, è la distribuzione dei seggi su base regionale, e non nazionale. Infine, ricordiamo che per poter partecipare all’assegnazione dei seggi, tanto a Montecitorio che a Palazzo Madama, al fine di evitare una eccessiva frammentazione politica, la legge prevede delle soglie di sbarramento, vale a dire una percentuale minima di voti (fissata al 3 per cento per i singoli partiti e al 10 per le coalizioni), salvo alcune eccezioni in favore dei partiti regionali e delle minoranze linguistiche.
di Paolo Arigotti