LA DITTATURA DEL PENSIERO UNICO TRA POST -VERITA’ E OMISSIONI

La rivolta mondiale dei ceti medi impoveriti mette finalmente a rischio i piani di dominio del sistema finanziario. Previdenza, lavoro, riforma della Pa non fanno eccezione: come il debito pubblico è causato dal sistema monetario e non dai popoli, così sulla spesa pensionistica e sul pubblico impiego l’errore (indotto) imperversa.

E’ ormai chiaro che l’apparato mediatico non vuole o non può vedere e rappresentare la verità dei fatti, condannato all’incomprensione di cosa realmente accade.
Professionisti della comunicazione e del sapere, increduli quanto i loro sondaggisti, hanno assistito attoniti alle vittorie della Brexit e di Trump, non a caso da noi ampiamente previsti. Asserragliati nelle ovattate redazioni, nei cenacoli accademici, nei “think tank” foraggiati da fondazioni bancarie e fondi speculativi, lontani anni luce dai problemi reali che attanagliano le moltitudini relegate nelle sterminate periferie europee o nel “Midwest” americano, i privilegiati con attico ai Parioli o a Manhattan non possono neanche lontanamente immaginare il disagio economico e sociale causato dalle loro strategie errate.
Strategie messe in atto da un ceto politico asservito all’alta finanza e inebetito dai luoghi comuni del politicamente corretto.
In Italia l’agenda politica è rimasta per mesi inchiodata su temi marginali, quali i diritti “di genere” e i matrimoni “gay”, che i ceti popolari sentono lontani ed estranei. Così come sentono ipocrita e nemico il buonismo dell’accoglienza indiscriminata, utile a ingrassare chi ci specula e a fornire nuovi schiavi sottopagati a imprenditori incapaci di stare sul mercato.
Senza contare che le politiche di rigore imposte dalla Unione europea hanno screditato, forse irreversibilmente, il sogno stesso dell’Europa.
Se non si attua una decisa inversione di tendenza, nel segno degli investimenti pubblici per la crescita (seguendo lezioni di Keynes e di Beneduce) e di politiche sociali inclusive, il declino del vecchio continente sarà inevitabile.
L’inettitudine della politica e il parassitismo delle cinque famiglie industriali dominanti dal dopoguerra hanno sempre impedito l’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, quello sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d’impresa, ed impedito quell’alleanza tra capitale e lavoro che ha fatto le fortune della Germania, disattendendo peraltro una delle rare direttive comunitarie lungimiranti e non punitive.
Intanto la litania della spesa pensionistica italiana “più alta d’Europa” viene recitata acriticamente – come un mantra degno di un dogma sacro – da politici, giornalisti, professori (bocconiani e non), esperti laureati o con laurea inventata. L’errore è strutturale e discende da un bilancio dello Stato che scarica impropriamente sull’Inps, invece che sulla fiscalità generale, i costi delle partite assistenziali e carica gli importi delle pensioni anche delle tasse che in realtà sono trattenute alla fonte. Un equivoco che danneggia tutto il mondo del lavoro. A pagarne le conseguenze sono innanzitutto i pensionati (ancor più quelli futuri) che hanno dovuto subire – da Dini alla Fornero – riforme draconiane.
La riduzione delle pensioni a sussidi da fame e l’allungamento dell’età pensionabile, divenuta la più elevata d’Europa, segnano il fallimento di un intero ceto politico.
A pagare inoltre sono i giovani, che col sistema contributivo pieno non avranno neanche diritto al trattamento minimo di pensione.
Ammesso e non concesso che riescano ad entrare in un mondo del lavoro intasato dai lori padri e dai loro nonni, costretti a lavorare fino alle soglie dei settant’anni.
Sovrastimare la spesa pensionistica al 16,5% (quando in realtà si attesta, come dimostriamo all’interno, a non più del 10,6%) è un equivoco che nasce in Italia e viene rilanciato come una verità rivelata da Ocse, Fondo Monetario ed Eurostat per chiedere ai governi di intervenire su di una spesa “insostenibile”.
Altro luogo comune da sfatare, strillato ossessivamente dai facitori d’opinione e acriticamente penetrato nella convinzione generale, è quello sui pretesi “privilegi” del pubblico impiego. Dapprima Pavlov e G. Le Bon, poi, più di recente, J. P. Overton hanno insegnato come manipolare le coscienze fino a cambiare il costume e la mentalità. Oggi le opinioni pubbliche accettano come scontate e naturali cose che, solo pochi decenni prima, sarebbero state improponibili.
Dalla libertà di licenziamento alla povertà come destino, per limitarci al campo sociale, fino ai pubblici dipendenti “fannulloni e privilegiati”, compresi quelli che ti salvano la vita e che vigilano sulla tua sicurezza sociale e fisica.
Dimostriamo, all’interno, che è esattamente il contrario, e che ad essere discriminati, quantomeno nel campo della previdenza complementare, sono proprio i vituperati pubblici dipendenti.
E cosa dire della guerra inter generazionale, tra poveri, che si tenta periodicamente di innescare teorizzando un trasferimento di risorse dalle pensioni ai giovani?
Che poi si tratti di trasferimenti solo nominali lo dimostrano gli esiti del cosiddetto “Jobs Act” di Renzi e Poletti, visto che i benefici – sotto forma di sgravi – sono finora andati alle aziende e gli effetti sull’occupazione si sono esauriti nel giro di un anno. Non comprendere che il problema dell’occupazione giovanile si può risolvere solo adottando una seria politica industriale e infrastrutturale e riportando l’età pensionabile almeno nella media europea significa vivere – e governare, o fare accademia – fuori dalla realtà.
Gli argomenti scomodi per i poteri forti, seppur scientificamente inoppugnabili e di forte impatto, sono semplicemente ignorati dall’apparato mediatico o dalla politica e da certo sindacato di comodo. La “congiura del silenzio” (Chomsky) è una delle tecniche più subdole, ma il mondo orwelliano preparato dalle oligarchie finanziarie e dai loro reggicoda è entrato ugualmente in crisi.  Sta a noi cercare, veicolare e rappresentare la verità dei fatti.
Il vento sta cambiando. I popoli oppressi si sono svegliati. Un futuro migliore è possibile.