“Lo strappo sospeso” il volume di Valentina Calzavara pubblicato per i tipi di tab edizioni, attraverso una ricca serie di testimonianze, ha approfondito le modalità con cui si è consumata la morte al tempo del Covid. In particolare, i lutti provocati dalla pandemia da Covid-19 si sono dimostrati diversi da tutti gli altri per il fatto di essere stati una sorta di “strappo sospeso”, una morte senza commiato. Per il filosofo Vladimir Jankélévitch : “La morte è un vuoto che si spalanca all’improvviso nella pienezza della continuità; l’esistente, reso a un tratto invisibile come per effetto di un prodigioso occultamento, sprofonda in un istante nella trappola del non essere”.
Le famiglie e la società a livello mondiale sono state violentate dalla portata dolorosa di questo trauma che ha fatto irruzione nell’esperienza dei singoli. Attraverso la cura del linguaggio Valentina Calzavara trasfonde nel lettore alcune esperienze terribili, attraverso il ritmo delle stagioni e delle esperienze che finiamo per credere infinite. «Se penso al rumore del Covid mi vengono in mente le telefonate con mio marito che diventano mute». «Rivedo lui dentro la maschera di ossigeno ma sento, soprattutto, sento».
Un’infinita serie di suggestioni impastate le une alle altre in un calvario della malattia durato ventisette giorni. Il rumore dell’ossigeno sparato dalla maschera con un bip bip assordante che si impossessa della mente coprendo qualsiasi tentativo di rifugiarsi nell’armonia. La melodia di una vita felice che in poche ore diventa stonatura.
Il puro trambusto attraversato da un senso assordante di disperazione che ha bloccato a moltissimi l’aria nel diaframma impedendo ai polmoni di aprirsi. Il silenzio del vuoto che il virus ha seminato nelle comunità, con un ritmo pressante di vittime.
Contrappunto di rumori e di silenzi dell’esperienza vissuta, una composizione di suoni pieni e vuoti che sono rimasti dentro e puntualmente ritornano ad affollare la mente. Per prima cosa il virus ha lasciato il rumore dell’angoscia e del dolore. La pandemia ci ha imposto di fare il punto sulle disfunzioni più evidenti all’interno del microcosmo familiare e a livello del macrocosmo sociale, ci ha obbligato a ripensare al ruolo del lavoro in comunità e a quello della scuola e a rivedere le esperienze di “distacco-distaccamento”, una su tutte il rapporto instaurato dalle giovani generazioni con il mondo virtuale. Tutto il mondo è stato coinvolto da qualcosa che non potrà essere controllabile se non nel tempo: la pandemia.
Una circostanza imprevedibile che ha aperto uno squarcio, acutizzando l’angoscia di morte che è la madre di tutte le angosce umane. Erich Fromm si propose di indagare il concetto di “distruttività” sondando quei fondamenti biologici che gli intellettuali, i medici, gli scienziati, le principali scuole psicologiche e psicanalitiche ritenevano decisivi. E ha dimostrato come intervengano fattori religiosi, culturali, economici, legali, sanitari, politici, storici e sociali a orientare verso il male, i cosiddetti “istinti auto ed eterodistruttivi” degli esseri umani. Facendo di ignobili figure come Hitler un’articolata espressione del contesto che lo ha generato, così come lo contestualizzò nel suo libro “La banalità del male” Hannah Arendt.
Anche per la Pandemia da Covid 19 sarà impossibile la cancellatura come si fa con il bianchetto su un quadernone, andando a riscriverci sopra come se nulla fosse. Se dovessimo allargare il concetto “di perdita”, applicandolo al Covid-19, ci troveremmo più di un senso. Non solo la perdita della vita ma anche la perdita di certezze, possibilità, opportunità che prima davamo per scontate. Traumaticità dell’impotenza umana di fronte alla morte. Una delle maggiori urgenze da affrontare riguarda le solitudini esistenziali che la pandemia ha rimarcato, creando un isolamento e un silenzio che rischiano di diventare fardelli troppo pesanti. Una sofferenza distruttiva, appuntita, che fa male. Rabbia e dolore restano lì, come presenze invincibili. Dei fossili dentro a un blocco di marmo. Intrappolati lì per sempre, tormentati. Siamo stati spesso incapaci di mettere la morte per Covid in preventivo. Anche il concetto di libertà, declinato come il diritto di fare qualunque cosa, è stato messo in discussione, dimenticando che qualunque società, proprio per esistere -,e quella con la pandemia è stata una lotta delle società per l’esistenza- limita le libertà. Nel caso dell’epidemia, visto che la malattia si trasmette, la libertà pura non esiste. Dopo la frattura siamo ripartiti senza colpo ferire, come se nulla fosse accaduto. Ci siamo tolti la polvere dalle spalle e via, come se niente fosse successo, fino alla prossima catastrofe che probabilmente, prima o poi avverrà. Il volume contiene i punti di vista di diversi esperti di fama che Valentina Calzavara è andata a scandagliare con cura e con perizia: Luisella Battaglia, professoressa di Filosofia Morale e Bioetica all’Università degli Studi di Genova e all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Massimiliano Valerii, filosofo, David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, Vera Slepoj, psicoanalista, Roberta Sacchi, psicologa e criminologa, Domenico De Masi, sociologo, Antonella Vezzani, presidente dell’Associazione italiana donne medico, Annalena Benini, giornalista e scrittrice, Lucia Vantini, teologa.
di Carlo Marino
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