Il “Nuovo ordine internazionale” proposto dalla Cina

La Repubblica Popolare Cinese ha visto negli ultimi anni, oltre alla sua crescita economica, anche l’aumento del suo prestigio in campo internazionale. L’ascesa economica, politica e militare della Cina sta avendo un impatto importante sulla politica internazionale odierna principalmente per la sua visione propria dell’ordine internazionale, molto diversa da quella promossa dagli Stati Uniti e dai suoi alleati occidentali. Tale visione si fonda su concetti quali sovranità, autodeterminazione, su un forte ruolo dello stato nell’economia, oltre che su una nuova centralità politica e strategica cinese in Asia. Rinegoziare l’ordine internazionale, cioè il modo in cui gli Stati sono disposti in relazione gli uni agli altri e l’insieme dei principi di un’organizzazione che regola in modo intellegibile tali loro relazioni, riguarda diverse dimensioni: sicurezza, economia, ideologia e i rapporti con gli alleati.

La più recente versione di tale insieme di principi fu codificata nel 1945, nel momento in cui si scelse di adottare la Carta delle Nazioni Unite, che stabilisce i principi fondamentali delle relazioni internazionali e costituisce la pietra miliare dell’ordine internazionale contemporaneo. Non è realistico pensare che l’ascesa pacifica della Repubblica Popolare Cinese debba corrispondere in tutto e per tutto con l’approvazione entusiasta delle procedure e delle regole stabilite dagli USA per la gestione dell’ordine internazionale. Partecipazione significa anche possibilità di influenzare gli esiti dei processi storici e la Repubblica Popolare Cinese sostiene a chiare lettere che il suo obiettivo ultimo è quello di contribuire a rendere più giusto ed equo il sistema delle relazioni tra Stati. Quanto alle Nazioni Unite come tali, il cuore di ogni proposta di riforma non è l’Assemblea Generale ma naturalmente il Consiglio di Sicurezza, che infatti è il meno democratico-liberale di tutti gli organi esistenti, in quanto ancora oggi è l’espressione delle forze in campo vincitrici alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

La capacità di promuovere soluzioni efficaci e legittime a problemi collettivi quali la cooperazione economica, la governance globale e regionale e la riduzione della conflittualità internazionale sono centrali per il futuro ruolo degli Stati Uniti d’America e della Repubblica Popolare Cinese la cui competizione non è solo una sfida per il primato economico e militare.

Vista dall’Occidente la Cina del XXI sec. non si lascia definire facilmente: “ha il capitalismo senza la democrazia”; lo sviluppo economico senza “libertà politiche”; unisce la modernizzazione cosmopolita e il nazionalismo; conserva nel linguaggio ufficiale elementi di ideologia socialista ma al suo interno si allargano le diseguaglianze. Com’è possibile che la più grande economia di mercato esistente al mondo, una superpotenza in ascesa nell’era di Internet e della globalizzazione, venga ancora governata da un partito unico?”. Queste sono le questioni che in Occidente non riescono ad essere spiegate facilmente.

Solo gli esperti di politica cinese sanno che il progetto di ordine internazionale della Repubblica Popolare costituisce il risultato di una articolata elaborazione ideologica e politica, influenzata da diverse tradizioni politiche. Il “nazionalismo post-coloniale”, che vede la politica internazionale come competitiva e mette in risalto la memoria dei “Cent’anni di Umiliazione Nazionale (in mandarino 百年国耻 Bǎinián Guóchǐ)”, durante il quale la debolezza cinese ha permesso alle potenze europee e al Giappone di sottomettere, dividere e sfruttare la Cina. Da tale punto di vista, il ruolo del Partito comunista è quello di proteggere il paese, rendendolo moderno, opulento e forte. La Repubblica Popolare incoraggia le relazioni con i paesi del Sud globale, che condividono con essa un passato coloniale e sono considerati come partner naturali. Ciò si traduce anche in una forte enfasi sui Principi di coesistenza pacifica, ovvero il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità, il non allineamento e la non interferenza nella politica interna di altri stati.

La seconda tradizione è quella marxista-leninista. Nella Cina contemporanea, la “lotta di classe” non costituisce più il sistema attraverso il quale la leadership interpreta la politica internazionale. Tuttavia, il marxismo-leninismo rimane importante e si traduce soprattutto in due principi: il ruolo essenziale del Partito comunista e il principio per cui lo scontro con le forze che si oppongono alla Cina è parte integrante della politica internazionale, per quanto non si debba necessariamente tradurre in conflitto militare.

La terza tradizione fondamentale è quella neo-confuciana, che si basa su principi quali il merito, l’armonia, la gerarchia e il rispetto per l’autorità. A livello domestico, i dirigenti del Partito si presentano come amministratori saggi e meritevoli, in grado di fornire prosperità e stabilità. Anche a livello internazionale, la Cina di Xi Jingping recupera il pensiero confuciano, nel quale l’Impero celeste era il centro del mondo e garantiva agli stati che riconoscevano la sua autorità un’egemonia benevola, oltre che stabilità, prosperità, e armonia, ovvero, la cooperazione nel rispetto delle differenze.

La Repubblica Popolare Cinese, dopo avere di recente rilanciato il dialogo fra Iran e Arabia Saudita, dialogo che contribuirà a stabilizzare quell’area che partendo dalla Siria arriva allo Yemen, passando per il Libano, ha lanciato anche un piano di pace per l’Ucraina. Va detto che si tratta dell’unico atto concreto prodotto nei più di tredici mesi di guerra.

La Repubblica Popolare è vista in determinati ambienti europei come la superpotenza che punta a costruire un ordine post-occidentale e post-liberale nel quale sovranità e non interferenza hanno priorità.

In tale contesto, Pechino si propone come leader benevolo, in grado di offrire “soluzioni cinesi” ai problemi globali ed è teso alla costruzione di una “comunità di destino comune”. La maggioranza delle iniziative concrete cinesi si concentrano nei settori dello sviluppo, degli investimenti e delle infrastrutture. Nei primi anni della sua leadership, il Presidente Xi Jingping ha promosso la Belt and Road Initiative (Bri, o Nuova Via della Seta) e la Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture (Aiib). Nel 2022, si è aggiunta la Global Development Initiative (Gdi), che punta a rafforzare il ruolo cinese nella cooperazione allo sviluppo e nella lotta alla povertà. Il G20, il summit dei Brics, e la Shanghai Cooperation Organization (Sco) costituiscono forum importanti per Pechino per cercare consensi per la propria proposta politica. Mentre gli stati occidentali considerano sempre di più la Cina come un “rivale sistemico”, l’enfasi su sviluppo e cooperazione economica, unite a non interferenza e sovranità attraggono numerosi consensi tra i paesi del Sud del mondo.

Il Presidente Xi Jingping ha ridefinito il ruolo internazionale della Cina, descritto come quello di costruire “comunità di destino condiviso per tutta l’umanità”. Tale concetto sottolinea la necessità di inclusione e rispetto per la diversità politica per i paesi che non hanno sistemi democratici di tipo occidentale e pone un forte accento sul primato dello sviluppo economico e sui diritti dei singoli. Inoltre, implica una nuova centralità di Pechino nella costruzione di un ordine giusto e stabile. La Cina non intende più essere vista come un paese che deve integrarsi nell’ordine internazionale a guida occidentale. Al contrario, essa rivendica uno status di potenza guida in un contesto globale sempre più plurale e sostiene la possibilità di offrire “soluzioni cinesi” per i problemi politici ed economici del mondo contemporaneo.

L’Ambasciatore cinese in Italia e San Marino Jia Guide

La “comprehensive security” comprendente la sicurezza alimentare, la lotta al terrorismo, l’assistenza umanitaria in caso di disastri, la cybersecurity, il cambiamento climatico e la sicurezza energetica e il concetto di “indivisible security”, originariamente coniato dall’Atto Finale di Helsinki del 1975 – ripreso sia da Mosca sia da Pechino negli ultimi anni per criticare l’espansione della NATO e la crescente cooperazione tra alleati e partner degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico- sono declinati insieme a una rinnovata enfasi sul ruolo delle Nazioni Unite. Dal punto di vista cinese, infatti, promuovere la sicurezza indivisibile significa considerare “la sicurezza di ogni paese come inseparabile da quella degli altri Paesi della regione e mai a scapito di quella di un’altra”.  Ciò è presentato in contrasto con il presunto “egemonismo” e la “mentalità da guerra fredda” (ovvero polarizzazione tra alleati democratici e avversari autoritari), proposta dagli Stati Uniti.

Sembra essere giunto il momento di passare ad un sistema dove viga il multipolarismo senza più il ruolo di potenze egemoni esercitato soltanto da parte di alcuni Stati, mentre nel contempo  l’autorità e l’autorevolezza del diritto internazionale deve tornare al centro del sistema dei rapporti internazionali, come descritto dalla Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 2625 (XXV Sessione) del 24 ottobre 1970, in particolare, per il punto relativo al principio dell’eguaglianza sovrana degli Stati. Da un punto di vista teorico e di nuova creazione di diritto internazionale le proposte cinesi potrebbero avere un buon grado di successo, soprattutto tra i paesi del Sud del Mondo, che spesso si sentono sottorappresentati dalla governance globale attuale e non si riconoscendosi nell’ordine internazionale liberale. Il successo della proposta alternativa cinese potrebbe però essere rallentato da una serie di tensioni geopolitiche tra Cina e Stati Uniti. Infine, le proposte cinesi hanno indotto l’Occidente a promuovere una serie di nuove iniziative, cercando di sfidare Pechino sul terreno della cooperazione allo sviluppo e della governance globale, tramite iniziative quali, il Build Back Better World promosso dal G7 e il Global Gateway dell’UE.

di Carlo Marino

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