Il congedo di paternità obbligatorio, è sancito dall’articolo 27-bis del D.Lgs. n. 151 del 2001 che espressamente prevede che “Il padre lavoratore, dai due mesi precedenti la data presunta del parto ed entro i cinque mesi successivi, si astiene dal lavoro per un periodo di dieci giorni lavorativi, non frazionabili ad ore, da utilizzare anche in via non continuativa. Il congedo è fruibile, entro lo stesso arco temporale, anche in caso di morte perinatale del figlio”.
La disposizione, inizialmente prevista per la madre, è attualmente stata estesa negli stessi termini al padre in congedo parentale.
È previsto un ampliamento del periodo di congedo fino a 20 giorni in caso di parto plurimo.
In tale periodo, tuttavia, è previsto un generale divieto di licenziamento, come da chiarimenti contenuti nella circolare INPS n 122 del 27 ottobre 2022.
Per altro verso, nei casi di accesso all’indennità di disoccupazione NASpI sono previste delle particolari limitazioni, nei casi in cui il lavoratore intenda procedere a consegnare dimissioni volontarie dal rapporto di lavoro dipendente, limite applicabile fino al compimento di un anno di età del bambino.
Vi è un generale divieto di licenziamento e di dimissioni.
Chi fruisce del congedo parentale ha diritto ad ogni indennità di legge e contrattuale in caso di licenziamento.
Tali disposizioni sono volte a garantire la continuità del rapporto di lavoro precludendo in capo a chi detiene il potere datoriale la possibilità di apporre limitazioni all’esercizio delle facoltà e dei diritti collegati allo status di padre.
In passato, non infrequentemente, si è assistito a ricatti occupazionali che il più delle volte hanno ristretto il campo occupazionale alle risorse produttive prive di figli.
In altri casi si è assistito alla perdita del rapporto di lavoro in concomitanza con la nascita dei figli, limitando fortemente il diritto a divenire genitori ed a poter garantire un’esistenza libera e dignitosa e nuocendo sulla stessa produttività familiare.
di Angela Gerarda Fasulo