Indubbiamente il nostro Paese ha vissuto anni di pausa, dopo l’entrata in vigore della Costituzione che per quel periodo era considerata tra le più avanzate a confronto delle altre, nell’ambito europeo. In essa si riscontra a tutt’oggi un programma di riforme che per la gran parte è ancora non realizzato, e ciò per il fatto che il Parlamento italiano continua a discutere prevalentemente legislazione secondaria non conciliabile con la politica strutturale che si rende necessaria, aggiungendosi anche la costante violazione del dettato costituzionale specie per quanto attiene agli articoli 36, adeguamento della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro, e 39, riconoscimento della personalità giuridica dei sindacati in proporzione ai propri iscritti con divieto assoluto di atti discriminatori intesi a limitare la loro libertà.
A tale proposito, vorrei richiamare i nostri lettori ad alcune affermazioni espresse sempre su questo periodico, nel lontano 1977.
“Nel passato si è chiesto un intervento crescente nell’economia, ma non ci si è preoccupati di porre rimedio al processo di deterioramento dello Stato, Enti Locali, Parastato, per una migliore efficienza amministrativa. Vi è da dire al riguardo che nella tradizione storica italiana lo Stato e la sua amministrazione sono stati sempre considerati come una cosa estranea al cittadino, avulsa dal Paese, che governa per delega… Abbiamo un sistema tributario con accertamenti scadenti e privo di imposte strutturate in maniera moderna; le assicurazioni sociali con un forte onere sui salari, senza che offrano una contropartita di servizi effettivi e una gestione efficiente; la burocrazia con una bassa produttività e una forte irrazionalità nei suoi criteri retributivi; gli enti locali con una finanza squilibrata sottratta ai controlli e alla guida dello Stato che non possiede i meccanismi idonei. Si è governato con il compromesso quotidiano: il disordine amministrativo e la corruzione hanno costituito una prassi normale che lascia tutti indifferenti”.
E riferendoci alla riforma della pubblica amministrazione: ” A questo punto ci preme rilevare che occorre sottrarre l’elaborazione di tale riforma ai burocrati ministeriali, affidandola ad economisti, tecnici estranei all’organizzazione, capaci di esaminare il problema senza pregiudizi. Occorrerebbe un piano di riforma scientifico, nel quale accertare il numero dei lavoratori che operano nella pubblica amministrazione, quante sono le pratiche che ciascuno tratta, quanto lavoro si dovrebbe impiegare per ciascuna pratica, quali sono i tempi medi che le pratiche impiegano dalla fase iniziale e nelle varie fasi, quanto è il costo per pratica, quanto è il costo degli addetti per ora di lavoro, quanto elevato il grado di utilizzo del personale e delle attrezzature, quanto il risparmio che si potrebbe ottenere accrescendo l’utilizzo del personale…….Altro aspetto patologico della burocrazia pubblica è quello dell’inflazione dei gradi alti. Spesso la velocità e facilità delle promozioni crea un surplus di funzionari di alto livello per i quali si debbono inventare funzioni fittizie. Ciò finisce col creare molte volte posizioni di privilegio per i più scadenti a scapito del buon rendimento amministrativo. Per sanare questa situazione occorrerebbe assegnare i posti con criteri oggettivi, scegliendo le persone in base alle esigenze dei posti e non viceversa”.
Nello stesso articolo ci si è poi soffermati su altri aspetti degenerativi del medesimo problema, che è inutile riportare perché facilmente intuibili. Comunque, ci sembra che se a distanza di trent’anni niente é cambiato, ciò dimostra che i nostri politici hanno interamente disatteso il compito loro assegnato per quanto riguarda non soltanto il rigoroso rispetto dei principi costituzionali, ma anche l’applicazione degli stessi specie in relazione ai provvedimenti attuativi di rinnovamento.
Oggi ci sembra che il nuovo Governo voglia affrontare con dovizia di informazioni mediatiche tali problemi: riforma della contrattazione del lavoro, riforma della pubblica amministrazione, nella pienezza di tutti gli aspetti connessi quali la produttività, la meritocrazia, l’assenteismo, il codice di disciplina, l’etica professionale, la responsabilizzazione dei dirigenti mediante una maggiore autonomia decisionale, la riduzione degli organici per limitare la spesa pubblica, ecc. Sono tutte questioni queste che bisogna ovviamente risolvere al più presto, per riportare il paese nella condizione di rivalutarsi nei confronti delle altre democrazie presenti in una Europa unita, di cui noi pur facendone parte non abbiamo raggiunto quei vertici di modernizzazione che altre nazioni componenti già annoverano nel loro progressivo e costante sviluppo.
Quindi un plauso va rivolto a questi riformatori che si affacciano alla ribalta, se gli intenti corrispondono alle effettive esigenze, che sono ormai bisognose di essere risolte per non affondare del tutto nella crisi che viviamo. Ma c’è un vecchio detto, con il quale si afferma che le nozze non si possono fare con i fichi secchi. E’ appunto di questo abbiamo giustificato timore, considerato che di tutto si parla tranne che delle risorse finanziarie, occorrenti per definire il piano di rifondazione. Anzi ciò che viene ribadito, sono i consistenti tagli che si vogliono attuare. Ma a forza di tagliare, non si rischia di rimanere a brandelli ?