Nel mondo del lavoro il concetto di etica assume duplice valenza a seconda che si riferisca all’attività di impresa ovvero alla prestazione del lavoratore.
Per quanto concerne il primo caso è opportuno, innanzi tutto, delineare la corretta prospettiva di discussione.
Potrebbe, infatti, sostenersi, e da molti è sostenuto, come il comportamento etico corrisponda al rispetto delle regole, formali e non, poste dalla società e dal mercato alla base dello svolgimento dell’attività economica da parte dell’imprenditore.
Aderendo a tale impostazione si rischia, tuttavia, di confondere l’etica con la legalità ovvero con la morale.
L’etica, infatti, attiene al momento di individuazione delle regole e non al rispetto delle stesse; tale ultimo aspetto riguarda esclusivamente l’onestà dell’imprenditore (morale) o il suo rispetto/timore delle sanzioni previste dalla normativa in caso di trasgressione di norme formali (legalità).
Una prospettiva corretta deve, invece, porre l’etica quale elemento partecipe della fase genetica del sistema , nel momento in cui trovano definizione le regole che consentono al sistema stesso di essere posto in funzione, altrimenti si rischia di svuotare di effettivo significato ogni discussione e proposta indirizzate verso il superamento delle dinamiche conflittuali o, comunque, di sospetto e avversione fra impresa da una parte e lavoratori e consumatori dall’altra.
A tal proposito si impone una riflessione sul rapporto fra etica e profitto.
Quest’ultimo risulta essere, ovviamente, anch’esso elemento essenziale e necessario per lo stimolo e la successiva crescita dell’attività economica e, come tale, non può non essere tenuto nella debita considerazione nella fase di definizione delle regole.
Senza il profitto, o, meglio, senza la garanzia della possibilità di ottenerlo, il sistema economico, nella società attuale, sarebbe assolutamente improduttivo e quindi inutile.
In un sistema eticamente valido, tuttavia, la tutela della possibilità di profitto deve essere finalizzata, non solo verso l’arricchimento individuale, bensì verso l’accrescimento economico e sociale della collettività.
L’elevazione sociale ed economica collettiva rappresenta l’elemento etico da salvaguardare nella fase di definizione delle regole, quale fine ultimo a cui deve tendere il sistema economico complessivo, nel rispetto ed, anzi, attraverso la tutela e garanzia del profitto individuale.
Il profitto individuale, quale propulsore, il “profitto collettivo” quale fine.
Risulta evidente, da una parte, dunque, come le regole poste per la conduzione dell’attività economica, debbano garantire all’impresa la possibilità di profitto, per cui non risultano validi i sistemi in cui una pressione fiscale e contributiva eccessiva mortifichi la produzione ovvero in cui le dinamiche contrattuali non siano effettivamente calibrate sulle possibilità di performance aziendale.
D’altra parte non possono essere considerati eticamente validi i sistemi in cui all’aumentare del profitto di impresa non corrisponda un aumento, anche parziale, della ricchezza collettiva, sia in termini economici che sociali.
A titolo di esempio si ritengono non corretti sul piano etico i sistemi in cui non si preveda un correlato aumento delle retribuzioni, anche non proporzionale, rispetto all’aumento del profitto; i sistemi in cui non si attui il reinvestimento di parte del profitto nella formazione e sicurezza; i sistemi in cui il profitto possa formarsi a spese della imperizia ed inesperienza del consumatore in buona fede.
Per illustrare meglio tale ultimo concetto si riporta un episodio eclatante realmente avvenuto.
L’impresa X decise di costruire un casinò in un’area poco sviluppata del continente africano, che da lì a poco avrebbe subito un processo di forte urbanizzazione ed in cui erano poco conosciuti il gioco d’azzardo e l’alcol.
Tale impresa assunse degli operai locali e fece installare dei chioschi provvisori, muniti di bar e slot-machine, nell’area del cantiere.
Gli operai incominciarono a frequentare tali chioschi, dopo il lavoro, finendo per spendere quasi tutti i soldi guadagnati in alcolici e nel gioco.
In definitiva quella azienda costruì il proprio casinò quasi a costo zero, in quanto i soldi che versava agli operai di giorno tornavano, quasi interamente, nelle proprie casse la sera.
Quello raccontato rappresenta un chiaro esempio di sistema non etico, in cui le regole poste alla base dell’attività di impresa garantiscono sì la formazione del profitto non indirizzandolo, tuttavia, verso il benessere collettivo, bensì a danno dello stesso.
Dal punto di vista del lavoratore il ragionamento sull’etica deve essere inquadrato in una diversa prospettiva.
L’ etica per il lavoratore, infatti, assume valenza, esclusivamente, in relazione ad una effettiva e precedente applicazione dei principi etici al funzionamento del sistema d’impresa, nel momento in cui acquisisce la consapevolezza del contributo del proprio lavoro alla ricchezza collettiva.
Diversamente il suo impegno attiene esclusivamente alla sfera morale e ciò comporta, inevitabilmente, che in sistemi non etici la prestazione lavorativa potrà essere incentivata quasi esclusivamente attraverso mezzi economici.
Poiché, infatti, in tali sistemi, l’eventuale surplus della prestazione produce esclusivamente l’aumento del profitto e non, a sua volta, l’ aumento della ricchezza collettiva, il lavoratore non troverà stimoli diversi da quelli economici per il proprio impegno lavorativo.
La discussione sull’etica nel lavoro, pur potendo sembrare a prima vista quasi un esercizio teorico, risulta essere, invece, di cogente attualità, in quanto solo una riflessione seria sulle regole poste alla base del funzionamento del sistema, può portare a dei processi di miglioramento dei rapporti fra impresa, lavoratori e collettività.