Quando a volte capita di guardarci indietro, da un punto di vista prettamente sindacale, dobbiamo fermarci un attimo per non cadere preda di confusione. Sigle sindacali, pezzi di storia, storie di uomini e di donne che si sono spesi negli anni con confronti anche duri con le varie amministrazioni, si muovono su uno scacchiere apparentemente incomprensibile. Movimenti magmatici di associati, fusioni a freddo, sigle sindacali che scompaiono e riappaiono, vecchie che resistono, nuove che vengono, insomma una situazione caotica. E allora, per capire, dobbiamo partire da un po’ più lontano.
Per molto tempo, i pubblici dipendenti sono stati soggetti a contratti di categoria anche molto differenti tra di loro. Per la precisione c’erano 11 Comparti Pubblici, ed ognuno aveva un suo contratto che rispecchiava mondi, storie e norme di riferimento diverse.
Analogo discorso per la Dirigenza, per le categorie professionali, per i Medici, etc. Nel 2009 fu approvata la Legge (che porta il nome dell’allora Ministro Brunetta) che introdusse una norma che riduceva, in occasione del futuro rinnovo contrattuale, i Comparti di Contrattazione Pubblica (ed i conseguenti CCNL – Contratti Collettivi Nazionale di Lavoro) a quattro: Funzioni Centrali dello Stato, Istruzione e Ricerca (Scuola, Ricerca, Università, Accademie e Conservatori), Sanità e Funzioni Locali (Regioni ed Autonomie locali), più un quinto Comparto, quello dei dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per i lavoratori e per i loro rappresentanti, questa riforma ha comportato diversi problemi.
I più complessi e numerosi riguardano proprio le Funzioni Centrali, dove sono confluiti tutti i dipendenti di amministrazioni molto diverse tra di loro.
Tutti i Ministeri (anche diversi tra loro, come il Ministero delle Finanze ed il Ministero della Difesa), le Agenzie Fiscali (Agenzia delle Entrate – Agenzia delle Dogane e Monopoli) l’INPS e L’INAIL, l’ACI, l’Ente Strumentale alla Croce Rossa Italiana (in liquidazione coatta amministrativa), gli Ordini Professionali, i Collegi dei Professionisti, l’ENAC ed altre amministrazioni ancora. Tutte realtà lavorative tanto complesse quanto diverse tra loro per storia, per inquadramento professionale (nodo dolente e punto di criticità), per funzioni e tante altre sfumature. L’aver “costretto” queste diversità in un unico CCNL, oltre ad aver appiattito peculiarità e ricchezze e svilito non poche “mission aziendali”, hanno obbligato tutti i lavoratori ed i loro rappresentanti (le Organizzazioni Sindacali) a fare i conti con numeri e realtà diverse. La prima e più importante è quella relativa ai numeri, la dura legge della sopravvivenza sindacale: non si siede al tavolo di confronto con la Pubblica Amministrazione chi non dimostra di avere almeno il 5 % della rappresentanza dei dipendenti riferiti a quel Comparto. Tra parentesi, non si siede al tavolo di confronto politico con il Governo quella Confederazione Sindacale, che non dimostri di avere almeno la rappresentatività di cui sopra in almeno due dei citati Comparti Pubblici.
Con non poca malizia da parte dei Governi via via succeduti, che avendo a noia il dover parlare con tutti questi Sindacati (quindi con i lavoratori stessi!), hanno pensato quindi di ridurne forzosamente il numero, riunendo in un unico “contenitore” tutti i dipendenti della P.A., obbligando così il mondo sindacale del pubblico impiego ad una piccola rivoluzione. Dato per certo che per i lavoratori è fondamentale ed importante che le proprie istanze siano adeguatamente rappresentate al tavolo negoziale, indipendentemente dalla storia di ogni singola O.S. e dalle modalità con le quali essa si interfaccia con i lavoratori, di conseguenza tutte le Organizzazioni Sindacali hanno la necessità assoluta di rientrare nei parametri, previsti dalle norme per poter essere sedute al tavolo negoziale. Ma quando, per fare un esempio, un Sindacato è “rappresentativo” in un Comparto di 45mila dipendenti, potrebbe non esserlo più se il Comparto arriva a 340mila. Questo è successo per esempio nell’ex Comparto Enti Pubblici non Economici, quando è stato inserito nel Comparto Funzioni Centrali. Se alcune sigle non hanno avuto questi problemi numerici, altre dovevano riorganizzarsi o morire. E quindi si sono cercate e trovate partnership, quasi dei matrimoni d’interesse, con la speranza che l’amore appiani tutte le specificità.
Consentite un’annotazione: l’articolato costituzionale definisce “libera” l’associazione sindacale. La nascita del primo Sindacalismo Autonomo avviene nel 1955 in INAIL e poi in INPS, come libera risposta di alcuni lavoratori, che non si riconoscevano (o non si riconoscevano più) nelle Organizzazioni Sindacali allora presenti. Nel corso del tempo nacquero poi altri soggetti sindacali. Ma indipendentemente dalle critiche al mondo sindacale nel suo complesso, dove nel tempo si è imputata alle varie sigle una sorta di “mutazione genetica”, a chi per una co-gestione continuativa del potere insieme ai vari potentati di turno, a chi per delle rilevanti rigidità ideologiche, ritenute obsolete e poco rispondenti alle esigenze nel tempo mutate, a chi per il basso profilo ed un cabotaggio ridotto in termini di proposte ed iniziative, dobbiamo tenere a mente la responsabilità “individuale” delle sigle sindacali.
Ricordiamoci che non esiste, né mai è esistito, il Sindacato Unico, quell’essere mitologico cui a volte lavoratori distratti fanno riferimento (il sindacato ha permesso questo, il sindacato ha fatto quest’altro…). Ciascun soggetto sindacale ha e deve avere la diretta responsabilità di quello che ha fatto e firmato, ognuno ricorda e presenta la propria storia, i propri ideali, il proprio modo di rappresentare i lavoratori, tutti decidono liberamente (o quasi) quanto la politica dei partiti possa o meno indirizzare e determinare quelle scelte proprie delle dinamiche contrattuali, dai rapporti con le amministrazioni a quelli con i propri iscritti. Ingenue generalizzazioni ed indistinte attribuzioni di responsabilità fanno solo il male di quel sindacalismo vero, libero, passionale, quella modalità autentica di rappresentare il mondo del lavoro. Ognuno poi scelga pure liberamente, ma fatevi un favore, scegliete un Sindacato che rappresenti i lavoratori, e nessun altro.
di Paolo Calì