Scarpette rosse i dati dei femminicidi

I primi femminicidi noti alla storia sono stati quelli operati contro due Sante siciliane vergini e martiri del cristianesimo: S. Agata, patrona di Catania e S. Lucia, patrona di Siracusa.

Entrambe le Sante subirono torture a causa della loro scelta di consacrare la loro verginità a Gesù Cristo, S. Agata subì l’asportazione dei seni e fu bruciata viva, a S. Lucia cavarono gli occhi dalle orbite che ricrebbero miracolosamente e alla fine fu uccisa con un pugnale alla gola. In particolare, di S. Lucia sono a noi pervenute le sue scarpette rosse. Per questo motivo le scarpette rosse indicano le vittime di femminicidio.

L’ORDINAMENTO ITALIANO

L’ordinamento italiano non prevede l’ipotesi di femminicidio come ipotesi di reato autonoma ma solo come circostanza aggravante. Nel 2013 è stato emanato un apposito provvedimento decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119: c.d. “legge contro il femminicidioche ha apportato diverse modifiche al codice penale, infatti, tra le motivazioni dell’emanazione della Legge è quella di rispondere normativamente al “susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza a danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato”.

Resta sempre un omicidio e come tale viene trattato, ma essendo, come sopra detto una circostanza aggravante, non definisce la fattispecie di femminicidio, ma disciplina e rafforza l’azione rivolta a contrastare e prevenire la violenza di genere che racchiude al suo interno varie categorie di condotte criminose: l’omicidio, i maltrattamenti, lo stalking, le percosse, le lesioni, ecc., accomunati dal contesto e dal soggetto passivo, la donna, cui sono diretti. Chi commette un qualsiasi abuso su una donna in stato di gravidanza si vedrà aumentata la pena.

Lo stesso accade se la violenza sessuale è commessa nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza.

La normativa sul femminicidio, contiene il concetto culturale di violenza di genere, è un’espressione che descrive il fenomeno con riferimento alle sue basi empirico-criminologiche, ponendo in risalto la posizione o il ruolo dell’autore.

La definizione giuridica del femminicidio stabilisce che esso rappresenta “Qualsiasi forma di violenza esercitata sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne la soggettività sul piano psicologico, simbolico, economico e sociale, fino alla schiavitù o alla morte”.

I FEMMINICIDI DALL’INIZIO DEL 2020

Quattordici sono finora state le vittime in Italia dall’inizio del 2020, dodici a gennaio e due a febbraio.

Questo l’elenco delle scarpette rosse di quest’anno, sperando che, in attesa della pubblicazione di questo articolo, non si allunghi ulteriormente.

Il 5 gennaio due sono state le prime donne uccise:

La prima, Carla Quattri Bossi, 90 anni, il suo assassinio è stato effettuato per motivi di denaro ad opera di un giovane bulgaro di 22 anni, con lei è morta dopo due giorni di agonia, a causa delle ferite riportate a causa dei colpi di bastone del marito Salvatore Plumari di 90 anni;

La seconda, Concetta Di Pasquale, al culmine di una violenta lite scoppiata per futili motivi nella loro abitazione di Mascali in provincia di Catania. La donna prima di spirare ha detto ai carabinieri che subiva violenze da 50 anni ma che non aveva mai trovato il coraggio di denunciare il marito.

Il 9 gennaio, Fausta Forcina, 67 anni, è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco, insieme al marito Giuseppe Gionta, per mano del cugino Pasqualino Forcina, per motivi economico finanziari dovuti ad un’eredità. Il colpevole si è poi suicidato.‍

Il 21 gennaio, la polacca Maria Stefania Kaszuba, 51 anni, è stata ritrovata morta il 21 gennaio 2020 in un appartamento del complesso Palladio della zona Stadio di Verona. A segnalare il corpo senza vita della vittima è stato un nordafricano di 41 anni, che si è costituito in mattinata alla questura di Genova sostenendo di aver ucciso una donna nella notte tra domenica 19 e lunedì 20 gennaio. Il delitto sarebbe maturato in seguito a una furiosa lite. La vittima sarebbe stata presa a pugni in faccia, andando a sbattere contro un termosifone dell’abitazione.

Il 24 gennaio Ambra Pregnolato, 40 anni, è stata trovata morta nel primo pomeriggio del 2020 nella sua abitazione di Valenza in provincia di Alessandria. A scoprire il corpo senza vita, riverso a terra, è stato il marito di rientro dal lavoro. L’uomo ha allertato i soccorsi che successivamente sono giunti sul posto, tentando di rianimare la vittima che, però, era già deceduta.

Il delitto è stato perpetrato da Michele Venturelli, disoccupato di 46 anni. L’uomo ha poi tentato il suicidio. Secondo la confessione resa agli investigatori i due da circa un anno avevano una relazione extraconiugale il Venturelli voleva che lei si separasse dal marito. La donna però non aveva intenzione di lasciare il coniuge e questa decisione avrebbe portato il quarantaseienne ad aggredire mortalmente la signora Ambra. Venturelli con un martello, tenuto nel proprio zaino, per colpire la vittima. Il reo è stato accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.

Il 27 gennaio, il corpo di Francesca Fantoni, 39 anni, è stato trovato a Bedizzole in provincia di Brescia. La donna si era allontanata da casa nel tardo pomeriggio del precedente 25 gennaio. In serata è risultata scomparsa e poco dopo la sua famiglia, non riuscendo più a mettersi in contatto con lei, ne aveva denunciato la sparizione.

Il corpo della trentanovenne presentava segni di violenza. Nelle ore successive è stato fermato un sospettato, Andrea Pavarini, 31 anni, amico della vittima e già noto alle forze dell’ordine per episodi passati di molestie sessuali. L’uomo era stato ripreso da una telecamera di videosorveglianza la sera in cui è avvenuto il delitto con una felpa che è stata poi trovata, nella sua abitazione, sporca di sangue e fango. Nell’interrogatorio di fronte agli inquirenti, il trentunenne ha inizialmente respinto le accuse dichiarandosi estraneo alla vicenda. Successivamente i militari lo hanno condotto in carcere con l’accusa di omicidio volontario.

Il 29 gennaio, durante l’udienza di convalida del fermo, Pavarini ha confessato il delitto di fronte al giudice per le indagini preliminari, senza però fornire un movente. Dall’esame autoptico è emerso che la donna è stata violentata prima di essere uccisa. Nel corso dell’aggressione, è stata colpita al volto, poi strangolata.

Il 29 gennaio 2020 un altro femminicidio: Rosalia Garofalo, 52 anni, è stata trovata morta la sera del nella sua abitazione di Mazara del Vallo in provincia di Trapani. La donna aveva numerosi lividi, ecchimosi e tumefazioni sul corpo trovato sul letto matrimoniale e i medici che le hanno riscontrate le hanno ricondotte ad un violento pestaggio. L’autopsia ha rivelato che le percosse erano state ricevute anche tre giorni prima dell’uccisione. Il marito della vittima, che aveva dato l’allarme, non si è dichiarato responsabile del decesso della coniuge, ma ha ammesso di averla picchiata perché, a suo dire, la tradiva. La donna aveva presentato in passato denunce per maltrattamenti nei suoi confronti e minacce nei confronti dei propri framiliari, pertanto, la procura di Marsala ha disposto il fermo nei confronti del marito Frassillo. Ora è in carcere in attesa di giudizio.

Il 30 gennaio un’altra vittima: Fatima Zeeshan, 28 anni, originaria del Pakistan, è stata ritrovata morta nell’alloggio in cui risiedeva a Versciaco, frazione di San Candido in Val Pusteria, provincia di Bolzano.

La donna era incinta e insieme a lei ha perso la vita anche il bambino che aveva in grembo. Quando è stata trovata i medici hanno notato vare ecchimosi sul corpo, segni di una violenta aggressione a colpi di calci e pugni. La morte è avvenuta per asfissia e soffocamento. Il compagno, suo connazionale, Mustafa Zeeshan, col quale divideva l’appartamento, è in stato di fermo con l’accusa di omicidio pluriaggravato.

Venerdì 31 un venerdì nero: tre femminicidi nella stessa giornata!

  1. Rosalia Mifsud, 48 anni, e sua figlia Monica Diliberto, 27 anni, sono state uccise a colpi di pistola da Michele Noto, 27 anni, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio 2020 a Mussomeli in provincia di Caltanissetta. ‍

La ventisettenne aveva deciso di interrompere la relazione con il quarantottenne. Noto si era recato presso l’abitazione delle due donne per un chiarimento, ma aveva portato con sé una pistola con la quale ha sparato e successivamente si è suicidato. L’altro figlio di Rosalia, scampato alla strage perché non era in casa, avvertito dal fidanzato di Rosalia, che non riusciva più a mettersi in contatto con la vittima, è accorso nell’appartamento facendo la tragica scoperta.

  1. Speranza Ponti, 50 anni a Carrabuffas, zona periferica della città di Alghero in provincia di Sassari.

La donna, era scomparsa dal precedente mese di dicembre. Il rinvenimento è avvenuto in seguito all’interrogatorio del convivente Massimiliano Farci, 53 anni. Dopo ore di colloquio di fronte agli inquirenti, ha ammesso l’occultamento del cadavere della compagna sostenendo che lei si sia suicidata il precedente 6 dicembre, indicando agli agenti il luogo dove ne aveva nascosto la salma. La procura di Sassari non si è convinta della versione dell’uomo, e ha disposto il fermo con l’accusa di omicidio volontario, nonché dei reati di occultamento di cadavere, furto e utilizzo indebito di carta bancomat. Il cinquantatreenne non era nuovo al crimine dell’omicidio, infatti era in regime di semilibertà, infatti, era già stato già condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio nel 1999 dell’imprenditore Roberto Baldussi, originario di San Sperate (Sud Sardegna). In tale regime di semilibertà aveva avuto la possibilità di convivere di giorno con la vittima e di gestire con lei una pizzeria ad Alghero, mentre la sera dormiva in carcere. Il femminicidio è avvenuto per interesse in quanto la donna aveva venduto da poco un appartamento con il ricavato del quale l’assassino voleva eseguire lavori di ristrutturazione della pizzeria, per questo motivo, dopo averla uccisa, le ha rubato il bancomat e ha prelevato 5mila euro, successivamente ha inviato messaggi a parenti e amici di lei con il suo cellulare al fine di depistare le indagini. L’uomo continua a sostenere la sua innocenza e il suicidio della compagna, ma il Giudice delle indagini preliminari non gli ha creduto e ha convalidato l’arresto.

  1. Laureta Zyberi, 43 anni, di origini albanesi, è stata trovata morta nella casa dove lavorava come colf a Genova. Il datore di lavoro della donna ha ritrovato al rientro della sua abitazione il corpo della donna accoltellato, e, accanto a lei Eduart Zyberi, il marito cinquantaquattrenne gravemente ferito, per tentativo di suicidio con la stessa arma. Dopo un’operazione complicata è stato salvato. L’uomo ha confessato che ha ucciso la moglie dopo un violento litigio, ma non ha fornito la motivazione. Il giudice ha confermato il fermo.

6 febbraio 2020 Anna Sergeevina Marochkina, 32 anni, architetto di origini russe, e il marito Andreas Trabuio Raae Pedersen, 39 anni, grafico danese, sono stati trovati morti nella loro abitazione a Piossasco in provincia di Torino.

Un vicino, che ha sentito la donna urlare ha dato l’allarme, ma, quando sono arrivati i soccorsi due cadaveri erano stesi sul pavimento, con diverse ferite da taglio. Accanto a loro il coltello dell’aggressione, ad opera del marito, che poi ha rivolto l’arma verso se stesso suicidandosi. La motivazione la richiesta di separazione della donna e la lite furiosa derivante dalla non accettazione dell’uomo.

15 febbraio 2020 Zdenka Krejcikova, 41 anni, è stata uccisa con un coltello dal compagno Francesco Baingio Douglas Fadda, suo coetaneo, all’interno di un bar di Sorso in provincia di Sassari, nel quale la donna, per sfuggire alla furia assassina, si era rifugiata. Testimoni inermi le figlie gemelle di 11 anni della donna, nate da una precedente relazione.

A seguito delle ferite gravissime, la vittima e le due bambine sono state caricate in auto dall’assassino e trasportate fino ad Ossi, sempre in provincia di Sassari, a casa di un conoscente, a pochi passi dalla guardia medica.

Soccorsa dal personale sanitario del posto non è riuscita a salvarsi.

La vittima aveva già subito maltrattamenti dal compagno e lo aveva denunciato. L’uomo, che a seguito di ciò ha avuto un divieto di avvicinamento, era un pregiudicato con precedenti penali legati alla droga e alla truffa.

Il giorno del delitto aveva già importunato la vittima che aveva chiamato i carabinieri che avevano fatto visita in casa. I militari al telefono gli hanno intimato di non avvicinarsi alla donna, ma il criminale si era solo allontanato dall’abitazione, e, quando i carabinieri sono tornati in caserma, si è ripresentato alla donna e l’ha coinvolta nei tragici eventi che ne hanno determinato la morte.

Il 20 febbraio il giudice ha convalidato il fermo e l’assassino si è scusato con la famiglia della vittima, confessando il delitto e dichiarando che la sua intenzione non era quella di ucciderla, tant’è vero che l’ha portata, come sopra detto, nell’abitazione del conoscente vicino alla guardia medica, dove si era recato personalmente per farla soccorrere al più presto. Ciò non toglie che il giudice che ha convalidato il fermo ha disposto la custodia cautelare in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla relazione affettiva.

LA STATISTICA

Dall’ “Inchiesta con analisi statistica sul femminicidio in Italia” a cura di Fabio Bartolomeo Ministero della giustizia – Direzione generale di statistica e analisi organizzativa, si evince che le donne uccise dagli uomini, costituiscono, a vedere i numeri, un vero e proprio massacro, ogni anno, in Italia si verificano circa 150 casi. (157 nel 2012, 179 nel 2013, 152 nel 2014, 141 nel 2015, 145 nel 2016), un totale di circa 600 omicidi negli ultimi quattro anni. Significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna.

Il termine femminicidio, appunto, vede la luce agli inizi degli anni 90 e significa omicidio della donna, in quanto donna, perpetrato dall’uomo. Si ritenne di dare questo nome a tale tipologia di omicidio, per dare rilievo al fenomeno sociale dilagante, rendendo nota la tipologia dell’omicidio, al fine di rendere visibile il fenomeno.

L’Inchiesta con analisi statistica sul femminicidio in Italia” ha raccolto “le evidenze statistiche (e le storie) raccolte dalla lettura di oltre 400 sentenze di omicidio di donne emesse tra il 2012 e il 2016, qualunque sia stato l’esito e il rito processuale seguito dagli uffici giudiziari che hanno inviato la documentazione. In ragione della possibile differenza temporale tra il momento in cui è stato commesso l’omicidio e il dibattimento, i fatti raccontati risalgono al periodo 2010-2015. Istintivamente si può pensare che i femminicidi siano una quota significativa ma non prevalente degli omicidi di donne. I dati offrono un quadro sconvolgente. Su 417 sentenze esaminate, 355 sono classificabili come femminicidio, che rappresenta l’85% dei casi”.

“Dall’analisi delle sentenze si evince che nell’87,9% dei casi il rapporto tra autore e vittima è di uno a uno. Il 9,1% dei casi ha evidenziato un autore con più vittime (molto spesso sono i figli minori), mentre il 12,1% delle sentenze riguarda episodi con più autori a danno di una o più vittime”.

“Sono quasi sempre gli uomini a uccidere le donne. Nell’ 88,5% dei casi l’autore del reato è un uomo e la vittima è una donna. In una piccola percentuale dei casi, due su cento, è successo che una donna fosse uccisa da un’altra donna. Emerge poi che nel 9,2% dei casi gli autori fossero in complicità uomini e donne a danno di altre donne. Infine, nel 9,5% dei casi, a fronte di uno o più autori del reato, le vittime sono più di una, inclusi uomini (il che include anche la categoria dei figli maschi della vittima). Nel complesso, gli uomini si ritrovano tra gli autori nel 98% dei casi”.

L’Inchiesta con analisi statistica sul femminicidio in Italia, prosegue focalizzando il profilo “primitivo” circa le modalità dell’omicidio. Non siamo solo in presenza di esecuzioni rapide con arma da fuoco, ma di veri e propri ammazzamenti a seguito di colluttazioni corpo-a-corpo in cui l’uomo sfoga una rabbia inaudita. L’arma prevalentemente utilizzata è il coltello, che richiama all’ambito domestico, all’uso del mezzo che si trova più a portata di mano nel momento del raptus. Nel 40,2% dei casi le donne vengono colpite ripetutamente e comunque quasi mai con soli uno o due colpi mortali, con arma da punta e taglio (coltelli da cucina, pugnali) per poi essere spesso anche soffocate con le mani o il braccio. Nel 9% dei casi la vittima è aggredita e uccisa senza uso di armi, con pugni, calci e testate e poi strangolata o soffocata. Nel 15,5% dei casi, la donna è colpita e uccisa con oggetti di varia natura: martelli, accette, picconi, bastoni, spranghe e Inchiesta sul femminicidio 6 Fabio Bartolomeo Ministero della giustizia rastrelli impiegati brutalmente e ripetutamente sulla vittima fino a renderla esanime, a fracassarle il cranio.

L’analisi dell’esito processuale rivela una mano dei giudici molto pesante sulla pena comminata e un numero di condanne superiori alla media del settore penale generico. Infatti, come dimostra la tabella, all’86,4% delle condanne, prevalentemente superiori ai 20 anni di reclusione, va sommata più della metà delle assoluzioni in quanto a carico di soggetti teoricamente colpevoli ma incapaci di intendere e volere o non imputabili al momento del fatto.

Per quanto concerne un altro rapporto statistico, quello dell’EURES, su “Femminicidio e violenza di genere in Italia” il nostro Bel Paese non è per le donne. La violenza di genere cresce ancora: nel 2018 sono state 142 le donne uccise (+0,7%), 119 in famiglia (+6,3%), 94 nei primi dieci mesi del 2019, e, non si è mai registrata una percentuale così alta di vittime femminili (40,3%). ‘Gelosia e possesso’ sono ancora il movente principale (32,8%). In aumento anche le denunce per violenza sessuale (+5,4%), stalking (+4,4%) e maltrattamenti in famiglia (+11,7% nel 2018).

I dati dell’Istat specificano che sono 538 mila le donne vittime di violenza fisica o sessuale da ex partner anche non convivente. In questo gruppo sono 131 mila le separate o le divorziate. Il 65,2% delle donne separate e divorziate aveva figli al momento della violenza, che nel 71% dei casi hanno assistito alla violenza (il 16,3% raramente, il 26,8% a volte e il 27,9% spesso) e nel 24,7% l’hanno subita (l’11,8% raramente, l’8,3% a volte, il 4,7% spesso). Un quinto (24,4%) delle separate o divorziate si sono recate presso le forze di polizia per denunciare la violenza, ma nel 60% dei casi non hanno firmato il verbale.

L’ASPETTO PSICOLOGICO

Il 37% delle donne, purtroppo, dopo aver abbandonato il partner, nonostante la violenza subita tornano a convivere con lui. Per quale motivo? Quali sono gli aspetti psicologici che le inducono a tornare e a subire nuovamente, a volte fino a morire, le violenze? Sono masochiste?

Secondo gli psicologi, sono molteplici le motivazioni della mancata ribellione della donna. Senso di colpa, timore dell’abbandono e mancanza di sostegno esterno sono le motivazioni principali. Molto spesso gli aggressori riescono a rimandare la responsabilità della violenza sulla donna che ne è vittima: se tu fossi più complice, se tu non fossi sempre arrabbiata, se tu mi lasciassi in pace quando sono nervoso. Queste sono alcune delle frasi collegate agli atti di violenza, pertanto le donne si sentono in colpa di non aver saputo gestire la crisi, sentono di aver provocato il comportamento violento a causa dei loro inadempimenti, quindi si attivano a soddisfare tutte le richieste dell’uomo per non scatenare la sua ira e riuscire a dimostrare di essere adeguata e giusta. Difronte agli scatti d’ira dell’altro diventano responsabili delle sue reazioni. Il che scatena il senso di inadeguatezza, il sentirsi colpevole e di portare la relazione alla distruzione. Generalmente le donne che hanno vissuto con un padre violento si innamorano di uomini violenti.

Inoltre, le vittime di violenza spesso trovano difficoltà nel ricevere aiuto, non trovano il supporto parentale, a volte gli amici e i parenti stretti le giudicano colpevolizzandole di voler distruggere la famiglia.

Manca anche il supporto sociale e istituzionale, quindi, la donna che subisce violenza si sente sola e impaurita dalle continue minacce del compagno, marito, che non riescono a prendere l’iniziativa di fuggire, anche perché sentono di non avere concretamente vie di fuga. Nel pensare sociale è ancora fortemente radicata, sia che si parli di violenza sessuale che di quella familiare, l’idea che la vittima ‘non è vittima’. Si dà per scontata una sua responsabilità nello scatenare la reazione dell’aggressore.

E’ un vero problema sociale e anche se le leggi sono adeguate, mancano le strutture che creino supporti psicologici a livello del servizio sanitario nazionale, in modo che tutte possano accedervi per poter essere educate al distacco definitivo senza paura di restare da sole.

A volte essere sole è molto meglio, rispetto ad avere un compagno che ti lascia nella solitudine della violenza!

di Francesca Caracò