L’8 marzo è la festa della donna ma nonostante sia doveroso e importante ricordarlo, è una ricorrenza che dovrebbe far riflettere relativamente alla sempre più diffusa percezione nel nostro Paese che il sesso femminile non trovi adeguata protezione all’interno della nostra società, data la continua e triste sequenza di femminicidi.
Dai media, soprattutto nei dibattiti in tv si punta sempre il dito, come causa principale di queste violenze, sul patriarcato, inteso come substrato sociale della mascolinità tossica, ma in base a certe statistiche non è possibile fare questo sillogismo: cioè patriarcato uguale (o molto probabile) femminicidio.
La cultura patriarcale effettivamente è presente nell’inconscio collettivo della nostra società, ma in realtà questa può essere dimostrata solo nei maltrattamenti “meno gravi”, perché altrimenti non si spiegherebbero certi dati di femminicidi che nei Paesi più evoluti nei diritti umani e nella parità di genere (Lettonia, Lituania, Germania, Francia), sono molto più preoccupanti rispetto all’Italia.
Occorre quindi stare attenti ad un utilizzo non appropriato sul piano lessicale per descrivere le cause di certi problemi sociali, in quanto i dati empirici qui sopra evidenziati descrivono realtà più complesse, dove se si utilizzasse come unico schema di riferimento causale la cultura maschilista, si opterebbe di conseguenza per soluzioni inadeguate.
Infatti, i maschi in queste società più evolute hanno, come le femmine, pieni diritti, soprattutto i giovani, non concepiscono delusioni come quella sentimentale, perché questo è l’ambito dove infatti c’è meno protezione dalla famiglia, dagli amici e dalla scuola, quindi nei casi di fallimenti amorosi, alcuni (certo non tutti, ma solo i più vulnerabili) reagiscono in forme estremamente violente, non accettando, a differenza delle femmine, la possibilità di fallibilità.
Le soluzioni a livello di prevenzione sono varie e non semplici da attuare, però si può tentare di sensibilizzare la cultura giovanile già nelle scuole, rendendo obbligatorie nelle ore di educazione civica lezioni di affettività e rispetto della donna, oltre ad intervenire con leggi ad hoc sui social per non far passare messaggi devianti.
Andrebbero poi potenziati i centri di ascolto, che esistono già, ma se operassero in modo più capillare e con approccio sinergico con i tribunali e le forze dell’ordine, ovviamente coinvolgendo anche quanto più possibile le donne già oggetto di primi segnali di maltrattamenti, si potrebbero sicuramente abbassare i livelli delle violenze di genere.
La cultura maschilista e patriarcale influenza ancora i comportamenti in varie modalità, dalle semplici molestie per strada, sul lavoro o anche nelle scuole, senza dimenticare poi che nell’ambito domestico solo nel 1981 si è abrogata una vergognosa legge sul delitto d’onore e ancora come conseguenza di questo retaggio culturale ci sono sempre le difficoltà delle lavoratrici madri nelle progressioni in carriera, soprattutto nel settore privato, dove i livelli apicali sono ancora appannaggio degli uomini.
Tale mentalità è presente anche tra i custodi della legalità, i giudici, infatti capita ancora di rintracciarla in alcune aberranti sentenze di condanna dell’imputato in siffatte motivazioni, attenuanti di reati di stupro “condizionati da un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile, forse derivante da un deficit educativo e comunque frutto di una concezione assai distorta del sesso”, inqualificabile residuo culturale di patriarcato, letto neanche troppo in filigrana nell’assurda motivazione.
Nel 1977 in anni di contestazioni femminili, Edoardo Bennato scrisse una bellissima canzone sulla condizione femminile, “La fata”, dedicata a tutte le donne, di cui si riporta un passo emblematico: “farà per te qualunque cosa e tu sorella e madre e sposa e tu regina o fata tu non puoi pretendere di più”; sì invece, la donna può e deve pretendere di più, e che questo messaggio possa diventare un monito alla società e il destino femminile possa essere nelle mani non di fate o regine ma delle donne, con l’aiuto degli uomini.
di Antonino Lo Giudice