AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA ?

È proprio il nostro Bel Paese, un Paese in cui non si fa fatica a ricercare contraddizioni cercando sia tra le parole, le affermazioni teoriche, sia tra i fatti, cioè i comportamenti concreti.

Accade così che rovesciando l’invito della nota commedia musicale di Garinei e Giovannini, ad “aggiungere un posto a tavola..”, alcune organizzazioni sindacali, segnatamente CISL, UIL, Confsal e la ipercinetica UGL, decidano e chiedano di sedersi da sole al tavolo.

Si, quello di contrattazione con le POSTE ITALIANE Spa.

Non è certo la prima volta. Contro questa scelta, come avvenuto in passato anche in molti degli Enti del c.d. Parastato, si sollevano le rimostranze delle altre sigle: CISAL e CGIL.

L’azienda, avendo come obiettivo il raggiungimento del maggior grado di convergenza e di condivisione delle scelte probabilmente favorito, o più favorito, dalla massima partecipazione al confronto delle organizzazioni rappresentative dei lavoratori, si sottrae all’invito: si rifiuta di istituire un “tavolo separato”.

Ed è così che, richiamando l’incipit, questa volta non sono le organizzazioni escluse a contestare il comportamento di un’Amministrazione o di un’Azienda, ma sono quelle “escludenti”, che ricorrono al Giudice del Lavoro per chiederne la condanna per comportamento antisindacale.

Il Giudice, come pure potrebbe, non si limita a respingere il ricorso di CISL, UIL e “compagnia bella”, motivandone il rigetto con le motivazioni succitate, e cioè apprezzando un comportamento della parte datoriale indirizzato alla ricerca del maggior consenso e della massima condivisione nell’ambito della stessa controparte sindacale.

Argomenta la decisione, il Giudice, ricordando la validità e l’attualità di un sistema di relazioni sindacali/industriali ispirato al pluralismo, impiantato sulla correttezza dei comportamenti e sulla pari dignità di tutti i protagonisti.

Fino al punto, prosegue il Giudice, che pur nel rispetto di dinamiche che possono sfociare in posizioni antagonistiche, queste non debbano comportare la marginalizzazione delle minoranze.

C’è poi un “buffetto” finale ai ricorrenti quando si definisce la loro pretesa di sottrarsi all’unitarietà del confronto – scaturita da divisioni e lacerazioni interne alla componente sindacale – “concettualmente antitetica” con quanto la metodologia negoziale richiede e cioè un approccio congiunto alle tematiche finalizzato ad avviare e, nella speranza, ricomporre i conflitti.

È, questa sentenza, un piccolo sprazzo di luce in un cielo livido.

Basta citare il comportamento anche dell’attuale Governo che, in assenza cronica di regole sulla rappresentatività, escluse quelle vigenti per il Pubblico Impiego, sceglie i suoi interlocutori sindacali o fa scegliere agli stessi altri compagni di viaggio, magari come portaborse.

La sentenza, infatti, non risolve e poco potrà sugli enormi problemi legati ad un sistema delle relazioni industriali e sindacali messo in discussione ed in parte anche demolito dai tanti troppi attacchi portati al Sindacato in questi ultimi anni e da quelli che sembrano continuamente in “rampa di lancio”.

Ascoltando tante delle nuove proposte di cambiamento nel e del Mondo del lavoro, infatti, sembra di percepire il rischio che scelte reazionarie possano prevalere sulle riforme pur necessarie al Sistema Paese.

E poi, così, come se non bastasse doversi difendere dagli attacchi esterni, quelli della controparte datoriale, sia essa privata (vedere ad esempio il caso FIAT), sia pubblica (vedere gli effetti nefasti sulla contrattazione delle norme del desaparecido Brunetta..), si aggiunge la necessità di guardarsi da coloro che pure dovrebbero rappresentare gli stessi interessi quelli, con un nostro slogan che abbiamo usato, usiamo e useremo a lungo, dei lavoratori e di nessun altro.

Condividiamo, in conclusione, il contenuto della sentenza citata.

Auspicheremmo, però, maggior coraggio e coerenza da parte delle altre sigle rappresentanti dei lavoratori, non solo da quelle soccombenti nel caso in esame, ma anche dalla CGIL, pronta a contestare e predicare contro la sua esclusione dai tavoli di confronto – vuoi per i tentativi di altre organizzazioni, vuoi per scelta della parte datoriale (ripetasi esempio FIAT) – ma così poco attenta a difendere la collegialità e la contestualità del confronto, rivendicate dalle organizzazioni sindacali autonome e non praticate a Palazzo Chigi.