La ricerca dell’autenticità in un mondo dominato dall’ipocrisia, il bisogno di idealità e di libertà in una società che riduce gli individui alla loro funzione sociale e i pensieri a merce.
Prodotto principalmente da Michael Mills (con incursioni di Deriansky, Underwater e Talpah) e anticipato dai singoli Dita cotte, Tre Parole e Samo, è uscito l’11 giugno Chiaro, il nuovo album di Deepho per peermusic Italy. Senza alcuna preoccupazione verso le regole del mercato e con l’unica esigenza di mettere a fuoco uno stile assolutamente personale, Deepho ha composto dodici pezzi che suonano come una traccia unica, un viaggio musicale fulmineo e senza tappe intermedie che, in poco meno di mezzora, riassume gli ultimi due anni di vita del giovanissimo rapper di Parma.
Due anni passati fra la ricerca di uno studio di registrazione e la monotonia del turno di lavoro, trascorsi a esibirsi in concerti pagati pochissimo e a mangiare panini congelati ma anche – anzi, soprattutto – a vivere la propria vita insieme alla crew (Nic Paranoia, Deriansky, Giò Cassano, Bruno Raciti, Michael Mills), dormendo quattro ore a notte, ritrovandosi in uno scantinato allagato dopo quattro giorni di riprese video, ascoltando Slauson Malone e Mike Jenkins, Flume e Slowthai, King Krule e Kid Kudi ma anche N.A.I.P., Elio e le Storie Tese e Fabri Fibra. Chiaro è “la libertà, gli ideali, le notti leggere, la lotta negli occhi di chi ti assomiglia e la distanza dal mondo che ti circonda, il sesso e l’amore. ‘Chiaro’ è sia uno schiaffo che un abbraccio: diciamo che è uno di quegli schiaffi dati nella speranza di abbracciarsi a fine litigata”.
La quotidianità di provincia narrata con un fraseggio ipnotico e ossessivo, cantata con voce alterata e dilatata, suonata utilizzando strumenti e campionatori come fossero giocattoli. Il sapore dell’avanguardia trasfigurato in un universo sonoro. Tra i sax “free jazz” e le filastrocche lisergiche di A pensar male, le citazioni di Love, Death & Robots (serie animata per adulti targata Netflix) in una traccia “aliena” come Zima blue, la mitragliata di rime in apertura della psichedelica Dita cotte. Rumorismo claustrofobico e percussioni sghembe caratterizzano due brani come Tre Parole e Samo, quest’ultima omaggio al primo Basquiat e alla street art delle origini. Poi vanno fatti risaltare i suoni da videogame e la voce indemoniata nelle due tracce divertissement Dipo telefono casa e Skit Talpah. Con il lamento sincopato di Brutto, il senso di alienazione di Non mi va e il malinconico tuffo nell’introspezione di 21, l’ascoltatore si ritrova travolto da un vorticoso turbinio di stimoli musicali che si chiude (prima di ripartire con la bonus track Cosa ti chiedi) con Outroz: 55 secondi fra archi e atmosfere da un night club frequentato dai giocattoli (quelli cattivi) di Toy Story.
Concepito in parte durante il lockdown, Chiaro è il disco di un artista che urla al mondo la propria ansia sociale, la ricerca frenetica del proprio posto nel mondo, il rifiuto di un Sistema e la difficoltà di individuarne l’alternativa in modo preciso. Una sorta di autoritratto che inevitabilmente diventa affresco di una generazione, quella che con la pandemia ha perso tanto ma che anche nel “mondo di prima” non è che avesse granché, oltre il benessere apparente.
“È la voce di chi sa di aver tutto ma si sente come se non avesse niente, di chi sa di essere genuino, trasparente ma di vivere in un mondo che non gli permette di rimanerlo” commenta Matteo Di Felice, vero nome di Deepho, classe 1997.
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di Eleonora Marino