La tutela infortunistica in caso di infezione da Covid 19 in occasione di lavoro, regolata dall’art. 42 (comma 2) del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 prevede che, nei casi di accertamento del rapporto causale, il medico rediga ed invii telematicamente all’Inail il certificato di infortunio, al fine di attivare la tutela del lavoratore. Quest’ultima copre non soltanto la malattia vera e propria, ma si estende al periodo di quarantena e/o di isolamento domiciliare fiduciario. Beneficiari della tutela sono i lavoratori dipendenti e assimilati, nonché le altre categorie protette dalla disciplina antinfortunistica, nel rispetto delle vigenti disposizioni normative (D.P.R. n. 1124 del 30/6/1965, decreto legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, etc.).
La quantificazione del fenomeno virulento avviene pur sempre a titolo provvisorio, non foss’altro perché le rilevazioni fatte dall’Inail riguardano solo i lavoratori assicurati (restano fuori categorie importanti come i medici di famiglia o liberi professionisti ed i farmacisti), il che spiega la non corrispondenza con i dati diramati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), unitamente all’ovvia considerazione che le rilevazioni effettuate, specialmente nel corso della cosiddetta prima ondata, risentono dell’eccezionalità del fenomeno, che ha preceduto la prima circolare INAIL sull’argomento datata 3 aprile (n. 13), senza contare – purtroppo – che in una prima fase ci sono state notevoli difficoltà dovute all’aumento considerevole dei decessi. In tal senso, il monitoraggio preso in esame sarà suscettibile di integrazioni e consolidamenti successivi.
Il report pubblicato dall’Istituto si compone di una scheda nazionale e ventuno regionali, consentendo così un maggiore dettaglio.
Partiamo dagli elementi più significativi: 66.781 sono le denunce pervenute al 31 ottobre scorso, con una concentrazione temporale maggiore nei mesi di marzo (41,9%) ed aprile (27,4%), che da soli assommano circa il settanta per cento dei casi. Un calo progressivo si è registrato nei mesi di maggio (5,7), giugno (1,2, al pari di quello di febbraio), luglio (0,8), agosto (1,2) e settembre (1,4). In decisa controtendenza, il dato di ottobre il quale, con il 17,7% delle denunce totali, palesa un riacutizzarsi del fenomeno, che ha visto un aumento di 12.653 denunce rispetto alla rilevazione fatta al 30 settembre. Emerge, pertanto, come dopo una fase di rallentamento durante i mesi estivi (imputabile anche alla fruizione delle ferie), il mese di ottobre registri una recrudescenza del fenomeno e, purtroppo, 13 decessi in più rispetto al monitoraggio di settembre (quattro verificatisi a ottobre), pari a circa un terzo del totale degli infortuni mortali rilevati da inizio anno.
Sul fronte del rapporto di genere spicca la percentuale delle donne contagiate (69,7%), rispetto agli uomini (30,1%), mentre l’età media del contagio è di 47 anni per entrambi i sessi, in linea con i dati diffusi dall’ISS, per quanto nell’ultimo mese l’età media paia attestarsi sui 47 per le donne e scenda a 46 per i colleghi maschi.
La fascia di età maggiormente interessata è quella compresa tra i 50 e 64 anni (43,1%), segue quella dei 35-49 anni (36,4), 18-34 (18,4) e gli over 64 (2,1).
Parlando dei dati sulla mortalità, sono 332 le denunce con esito mortale dovute a Covid 19, con circa un terzo dei decessi avvenuto a marzo ed aprile; le vittime sono soprattutto uomini (83,7%), compresi nelle fasce 50-64 anni (70,8%) e over 64 (19%), con un’età media dei deceduti di 59 anni.
I cittadini italiani sono la grande maggioranza dei contagiati (84,7%), mentre la percentuale degli stranieri si attesta sul 15,3%, con una netta predominanza delle donne (8 su 10); le nazionalità più colpite sono la rumena, la peruviana, l’albanese e l’ecuadoregna. Le vittime sono prevalentemente italiane (88,9%), rispetto ad un 11,1% di stranieri. Le province in cui sono avvenuti più decessi, invece, sono quelle di Bergamo (11,4%), Milano (8,1%), Brescia (7,5%), Napoli (6,3%), Cremona (5,4%) e Roma (4,2%).
La distribuzione territoriale dei contagi vede la prevalenza del Nord-Ovest (53,1), seguita dal Nord-Est (22,3), Centro (13,2), Sud (8,3) ed Isole (3,1). Le province più colpite sono Milano, Torino, Brescia, Bergamo, Roma e Genova. Milano e Napoli registrano il maggior numero di contagi professionali nel mese di ottobre.
Tra le categorie maggiormente esposte al rischio si segnalano gli operatori sanitari ed i lavoratori che prestano la loro attività a contatto con il pubblico. La grandissima parte delle denunce afferiscono i settori di industria e servizi (98,1%), mentre sono 1.259 quelle che hanno colpito le gestioni per conto dello Stato, l’agricoltura e la navigazione. Come inevitabile, i settori di sanità e assistenza sociale hanno un peso considerevole (69,8% delle denunce) e contano il 21,6% dei casi mortali. Gli altri settori colpiti sono i servizi di supporto alle imprese (vigilanza, pulizia e call center), il manifatturiero (tra cui gli addetti alla lavorazione di prodotti chimici e farmaceutici, stampa, industria alimentare), le attività dei servizi di alloggio e ristorazione e il commercio all’ingrosso.
Facendo un raffronto temporale tra le tre fasi (primo lock-down, fase estiva, seconda ondata), i settori della sanità, assistenza sociale e amministrazione pubblica, vedono un andamento altalenante, con una diminuzione delle denunce nella seconda fase e una risalita nella terza.
Al contrario, in altri comparti (p. es. alloggio e ristorazione, trasporti), per effetto della graduale ripresa delle attività dopo la fine del primo lock-down, i casi di contagio sono aumentati nelle prime due fasi e si sono ridotti nella terza, con una recrudescenza nel mese di ottobre, pur diminuendo l’incidenza sul totale. In controtendenza il commercio che registra una crescita progressiva nelle tre fasi considerate, passando dall’1,4% della prima al 3% della seconda ed infine al 3,5% della terza.
Nelle attività professionali interessate spicca quella dei tecnici della salute (39,3%) con una netta prevalenza degli infermieri (83%), seguita dagli operatori socio-sanitari (20%), dai medici (10,1%), dagli operatori socio-assistenziali (8,4%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari, come ausiliari, portantini e barellieri (4,6%). Le altre categorie coinvolte sono quelle degli impiegati amministrativi (3,4%), degli addetti ai servizi di pulizia (2%), dei dirigenti sanitari (1,1%) e dei conduttori di veicoli (1,0%). La recrudescenza del fenomeno per le professioni sanitarie, che si era progressivamente ridotta nelle prime due fasi, è resa evidente dalla recente risalita dei numeri.
Al contrario, esercenti e addetti nelle attività di ristorazione, addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia o artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari hanno registrato una riduzione nell’ultimo periodo.
di Paolo Arigotti