Donato Bramante nacque a Fermignano, presso Urbino, nel 1444.
Nel magico ambito artistico urbinate la sua formazione fu estremamente ricca.
Ferveva in quegli anni la costruzione del Palazzo del duca Federico da Montefeltro, il quale chiamò per la decorazione alcuni fra i maggiori artisti dell’epoca .
Fu così che il giovane Donato si trovò a frequentare e assorbire la maestria di talenti del calibro di L.eon Battista Alberti, Piero della Francesca, Luciano Laurana, Melozzo da Forlì.
In quel clima irripetibile, tipico del primo Rinascimento italiano, si fertilizzava l’anima del Bramante, in un fluire senza soluzione di continuità di competenze e abilità che spaziavano dall’architettura alla pittura, passando dal disegno.
In seguito l’artista fu a Milano, presso la Corte di Ludovico il Moro, ed ebbe rapporti strettissimi con Leonardo.
Nei primi anni del ‘500 fu a Roma, sotto papa Giulio II, e realizzò i suoi indimenticabili progetti architettonici.
Morì nel 1514, proprio a Roma.
Ma fermiamoci al 1490, in Lombardia, quando la grande abbazia di Chiaravalle incarica Bramante di realizzare un dipinto su tavola: il Cristo alla Colonna.
Questa è l’unica opera pittorica attribuita a Donato Bramante che ci sia giunta.
Siamo di fronte a un Gesù che appare in tutta la sua realtà, inquadrato in uno sconvolgente primo piano a mezzo busto.
Intuiamo dietro di lui un ambiente vasto, appena suggerito da una finestra e dalla colonna cui il corpo è legato, decorata con motivi preziosi.
La luce domina il dipinto e si coniuga con la costruzione illusionistica dello spazio.
Oltre la finestra occhieggia un paesaggio con rocce e acque.
La luce penetra all’interno, si appoggia sul davanzale e su un calice d’oro lì poggiato, che sembra “trafitto” dalla chiglia di una nave di passaggio.
I nostri occhi percorrono il corpo di Gesù, quel torace, il collo con la corda, il colorito, i muscoli, la pelle su cui affiora la struttura possente, le vene, fatte di velature sovrapposte, e le carni compresse dalla corda sul braccio sinistro.
Il corpo è perfetto nelle proporzioni e nelle tensioni.
Barba e capelli catturano particolari riflessi che si raccordano con la dolorosa corona di spine e il chiaro sguardo del Cristo, grondante di sofferenza e timore, rivolto all’esterno del quadro, verso un “fuori” malinconicamente solitario e insondabile.
I critici rinvengono l’influenza di Leonardo nella descrizione delicatissima dell’incarnato, dei particolari anatomici, dei dettagli che fanno richiamo anche all’arte fiamminga.
Il viso del Cristo ci trasmette una particolare emozione, quando notiamo le leggere lacrime trasparenti che nascono negli occhi profondi e cristallini, in un’espressione di dolore misurato che diventerà una caratteristica prettamente rinascimentale nelle rappresentazioni della sofferenza.
Il dipinto è esposto nella Pinacoteca di Brera, a Milano.
di Maria Cristina Zitelli