La pandemia ci affligge ormai da un anno e ha sconvolto le vite di tutti nel mondo, fare questa considerazione sembra scontato, ma non lo è, visto che ancora stiamo subendo regole limitative della nostra libertà, della nostra umanità. Ci manca respirare liberi dalle mascherine, ci manca anche un abbraccio, un bacio, il contatto e soprattutto il contatto visivo, reale, del volto delle persone che amiamo e comunque con le quali ci siamo relazionati da sempre.
Ci manca la comunicazione non verbale, fatta dei gesti e delle “smorfie” che il volto assume quando siamo felici o quando proviamo disappunto, o qualsiasi altro sentimento/emozione. Toccarsi è fondamentale, quando un bimbo nasce, lo mettono sopra la pancia della mamma per stabilire un contatto/comunicazione indelebile attraverso l’odore e il calore.
Siamo esseri umani, siamo stati creati da Dio per amarci, per interagire, per pregare, per allenarci, per riunirci, per condividere, per godere di una gioia come un cinema, uno spettacolo teatrale, guardarsi, toccarsi, annusarsi, fare l’amore con gioia, essere entusiasti… invece siamo chiusi, distanziati, mascherati, la maggior parte impauriti, stressati, depressi, da questa pandemia che sta creando nuovi schiavi, nuove malattie e, soprattutto sta minando i nostri bambini e i nostri giovani.
Vedere i volti degli amici a metà, non poter andare in palestra, non poter baciare, nell’età in cui nascono gli amori, non potersi vedere e festeggiare, non poter andare a mangiare una pizza il sabato sera o andare in discoteca perché tutto è chiuso, soprattutto l’incombente idea che si possa morire intubati e isolati …idea che stressa noi adulti… ma per un bambino, per un giovane che si affaccia alla vita ha sicuramente un risvolto psicologico pesante, che ultimamente sfocia nel suicidio, perché fra i giovani e gli adolescenti sono in crescita i disturbi mentali associati ad irritabilità, ansia e sonno disturbato.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i suicidi si collocano al secondo posto tra le cause di morte nella fascia d’età 15-29 anni. Seconda causa di morte anche per i giovani italiani dai 15 ai 24 anni. Sui 4.000 suicidi l’anno registrati in Italia, riferisce ISTAT, oltre il 5% è compiuto da ragazzi sotto i 24 anni.
In Italia il primo a dare l’allarme è stato il Prof. Stefano Vicari, primario dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del nosocomio pediatrico romano Bambin Gesù, che intervistato dal collega de La Repubblica, ha affermato di aver “ notato un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico, che nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita e che dal mese di ottobre ad oggi, quindi dopo la prima ondata Covid, l’ospedale ha registrato un aumento dei ricoveri del 30% circa. Fino ad ottobre il 70% dei posti letto erano occupati ( 8 in tutto), oggi il 100%. Nel 2011 ci sono stati 12 ricoveri per attività autolesionistica, a scopo suicidario e non, mentre nel 2020 oltre 300, quindi quasi uno al giorno”.
Sono cifre enormi e il Prof. Vicari ha dichiarato a La Repubblica che la causa è dovuta alla pandemia che ha avuto come conseguenza la chiusura della scuola, che non deve essere vista esclusivamente come didattica, ma è un luogo di formazione del carattere dei giovani, in cui ci si prepara al mondo del lavoro e ci si afferma. I giovani che non possono avere più questo luogo di incontro con gli amici possono reagire negativamente o attraverso la violenza, di cui sono piene le cronache, o attraverso depressione e autolesionismo”.
Ovviamente non si deve attribuire la responsabilità solo alla chiusura della scuola, la famiglia deve essere presente più che mai in questa fase delicata dell’evoluzione dei figli adolescenti e giovani.
Un padre, una madre, non possono stare sempre attaccati al computer o per lavoro o sui social, ma devono rendersi conto che i loro figli hanno bisogno del dialogo, di interagire, di confidarsi, di avere supporto per non perdersi. E’ necessario che stiano accanto ai figli affinché non subiscano, senza un supporto psicologico di un adulto, il bombardamento mediatico dei social o della televisione che costantemente danno informazioni sullo status quo della pandemia, ma comunque sono sempre notizie allarmanti e ansiogene.
La Dottoressa Maria Pia Casini, neuropsichiatra infantile dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è stata intervistata su Radio Radicale il 29 gennaio u.s. in una puntata di “Lo Stato del diritto – i giovani e i social”, per sviscerare questo scottante argomento dei suicidi fra i giovani e gli adolescenti. La Dottoressa ha dichiarato che effettivamente c’è un aumento del 30% nel loro ospedale di casi di autolesionismo e suicidario in senso stretto.
Un adolescente su 4 fra i 12 e i 15 anni prova almeno una volta l’autolesionismo. Una parte intermedia nei pronto soccorso arrivano casi autolesivi più seri, fino a quest’ultimo periodo in cui sono aumentati i suicidi. Specifica inoltre che i casi di suicidio sono accompagnati da problemi psicopatologica maggiore, mentre i comportamenti autolesivi pur non essendo normali ma sono segno di una fragilità psicologica, i cui fattori comuni non sono ascrivibili ad una psicopatologia maggiore. In questo momento ci sono in atto cambiamenti sociali relazionali che hanno reso gli adolescenti più vulnerabili. I tempi sono difficili e la prospettiva sul futuro si è ristretta e la sensazione del futuro è breve a causa dei messaggi mediatici: il pianeta è sotto attacco a causa dell’azione dell’uomo, la pandemia e le varianti del COVID non danno ancora una speranza concreta di risoluzione del problema, la crisi economica che possibilmente investe anche la situazione familiare. L’adolescenza è un momento di evoluzione e cambiamento sia a livello psicologico che neurologico, ci sono cambiamenti radicali dell’equilibrio dell’individuo ed è esposto ad una grande turbolenza. Certo è sempre stato così, ma oggi c’è un’emergenza legata ai meccanismi di regolazione emozionale (capacità di regolare gli impulsi, di mettersi in connessione con gli altri, lettura delle proprie emozioni ecc.). L’osservazione clinica è che confrontando gli adolescenti di oggi, rispetto a quelli di dieci anni fa, si rileva che oggi la regolazione emozionale ha un serio problema questa generazione ha una grandissima difficoltà a modulare il dolore, modificando l’apprendimento individuale. Non si deve dimenticare che negli ultimi dieci anni sono aumentati i social media, a causa dei quali, la relazione immediata provoca processi di distorsione. Chi usa il social vede sempre la propria immagine e quindi manca l’empatia con l’altra persona e questo costituisce un limite all’esperienza. Si tende a proiettare il proprio sé sugli altri, come una figura gemella. Siamo in un momento di rivoluzione epocale, non si possono chiudere i social, la comunicazione passa da quei canali, quindi in questo momento si devono capire le distorsioni che si sono inserite attraverso questo nuovo modo di comunicare. Un ruolo importante lo devono svolgere i genitori, che non possono più controllare come un tempo i libri che leggono o il film che vedono, con i social si deve arrivare non al controllo ma alla condivisione. Un genitore non riesce a controllare Tic Toc 24 ore su 24, ma non deve reprimere, deve condividere gli interessi, le attività elementi che aprono spazio alla comunicazione. Ovviamente devono esserci degli elementi regolativi. La funzione genitoriale è importante per la regolazione degli impulsi. Fare i genitori oggi è difficile, il peso dei social oggi è direttamente proporzionale alla scomparsa di altre modalità di aggregazione, il futuro è sempre più ristretto, oggi è difficile trovare giovani che si vogliano dedicare alla politica. Negli anni 90 si aveva la sensazione che il potere individuale potesse cambiare quanto ci circondava, ora i problemi sono talmente enormi che inducono un senso di impotenza che ingenera la mancanza di desiderio di fare politica. E’ difficile oggi, con questa società, che si possa avere un grande ideale, ma questo manca ai ragazzi. Quindi chi ha una predisposizione genetica trasforma il disagio giovanile in una psicopatologia, quindi si assiste ad un fenomeno mondiale di aumento di problemi psichiatrici nell’adolescenza.
Questo perché gli adolescenti sono fragili, la plasticità cerebrale fra i 14 e i 20 è molto sensibile e gli interventi esterni possono modificare la struttura cerebrale, quindi sarebbe fondamentale un investimento di risorse in questa fascia di età, per ridurre il peso sulla cronicità in età adulta, che comporterebbe spese sanitarie notevoli. Già ci sono delle figure che lavorano a livello psicologico nelle scuole, ma gli si devono affiancare delle reti di intervento che lavorino a molti livelli, psicologici, a quelli medici psichiatrici ma anche di sostegno sociale che siano servizi di riferimento ai quali inviare i casi più gravi, sarebbero strumenti di prevenzione.
In conclusione si auspica che il legislatore possa intervenire per salvaguardare il futuro dei giovani e degli adolescenti che altrimenti impazzirebbero nella solitudine di uno schermo freddo.
di Francesca Caracò