In questi tragici eventi che la vita ci riserva, si rischia quasi sempre di scivolare nella retorica, nella commossa commemorazione di una persona, indugiando sui suoi pregi morali ed umani.
Io, oggi, vorrei tentare di parlare di Franco, dell’uomo sindacalista, dell’amico fraterno che è stato per il sottoscritto, soprattutto negli ultimi quattro lustri.
Franco è stato un protagonista della vita sindacale nostrana e lo è stato particolarmente nel settore di sua competenza, ragionando ed agendo sempre in funzione di interessi più allargati all’intero mondo del lavoro, nonchè agli aspetti politici ed economici del paese, nelle varie ripetute emergenze che si sono man mano delineate.
Ricordo i suoi inizi, paralleli ai miei, la “cosiddetta” gavetta fatta da entrambi. L’entusiasmo, la passione giovanile, la motivazione ideale, la convinzione nel fare e nel pensare, la giusta dose di sincera faziosità. Tutti elementi questi, che hanno caratterizzato la nostra attività sindacale.
Eravamo avversari, convinti ognuno che la ragione era dalla propria parte. Ci siamo combattuti anche aspramente, ma lo abbiamo fatto sempre in perfetta buona fede e consapevoli delle capacità intellettuali, umane e morali dell’altro.
Abbiamo vissuto alternativamente momenti esaltanti, ma spesso anche per fatti interni alle nostre rispettive organizzazioni, abbiamo anche sofferto le sconfitte patite, l’abbandono di quelli che reputavamo essere amici leali. Ma proprio in quei momenti neri, è nata la nostra amicizia. Sia Lui che il sottoscritto non accettavamo la sconfitta dell’altro da parte di forze esterne.
Tutto questo ha fatto scattare senza alcun tentennamento una fortissima reciproca stima e solidarietà, nonché una sorta di società di mutuo soccorso. Ciò che non era nelle possibilità dell’uno, veniva esercitato dall’altro senza scambi prestabiliti, senza riserve mentali. Pian piano siamo diventati alleati ed è cresciuto il reciproco sentimento di amicizia fraterna.
E’ da queste vicissitudini che ho conosciuto veramente il lato umano e morale di Franco. Ho capito che dietro alcuni suoi atteggiamenti intolleranti, che amava assumere in alcune circostanze, si nascondeva un cuore tenero, romantico e nostalgico.
Tra di noi si era instaurato una tale conoscenza dei nostri difetti e piccoli pregi che rendeva piacevole il nostro dialogo. Sapevamo e ci raccontavamo fatti e misfatti personali, familiari, intimi.
Ridevamo insieme delle nostre debolezze, ci confessavamo spesso le nostre preoccupazioni, le nostre paure, soprattutto quelle relative ai figli; ci scambiavamo impressioni politiche, giudizi sulle persone del nostro mondo sindacale, non ci risparmiavamo, soprattutto, le reciproche amarezze patite nelle rispettive organizzazioni.
Ogni tanto ci riprendevano i pruriti ed i rigurgiti giovanili e mi divertiva provocare una sua classica frase “Non hai capito un c…, adesso ti spiego io come stanno le cose e ciò che posso fare per affrontarle e provare a risolverle”. Ed è in questi frangenti che Franco si scatenava in lunghi monologhi, spaziando su tutto e tutti. Apprezzavo quasi sempre quello che diceva, ma non rinunciavo mai a contestargli qualcosa nei metodi che voleva utilizzare. Quando la mia provocazione raggiungeva livelli a lui insopportabili, se ne usciva con un’altra proverbiale affermazione: “Premesso che siete tutti teste di c…, punto”, per poi proseguire con lunghi discorsi sulle sue intuizioni, idee propositive e soluzioni alternative a quelle esistenti, o a quelle che gli avanzavo. Alcune volte, a distanza di tempo, ammetteva che forse anche qualche mia idea o suggerimento era da prendere in seria considerazione. In effetti mi stimava e mi voleva bene, ma non gli andava troppo che gli altri lo intuissero.
Nel suo lavoro era bravo, perspicace, attento, pignolo, arguto, ironico e cinico al momento giusto.
Era anche una bella penna, alcune volte particolarmente velenosa. Gli dicevo che la caricava con il cianuro, anziché con l’inchiostro.
E’ stato un uomo che ha sempre creduto in quello che diceva e faceva. In alcune determinate circostanze recitavamo una parte, tanto che da soli ci eravamo coniati i soprannomi di Robert De niro e Al Pacino, anche se in Al Pacino intravedevamo più la figura di uno dei Presidenti di Ente di Ricerca.
E’ STATO UN GRANDE MEDIATORE. DA LUI HO IMPARATO MOLTO, SOPRATTUTTO A CONTENERE L’IMPULSIVITÀ, AD INDIVIDUARE LE DEBOLEZZE DELLA CONTROPARTE E A SFRUTTARLE ASTUTAMENTE PER OTTENERE QUANTO PIÙ POSSIBILE A FAVORE DEI LAVORATORI.
In questo ultimo mese ha tentato con tutte le sue forze di realizzare con il Padreterno il più difficile dei compromessi, il contratto possibile, la mediazione più dignitosa : sopravvivere!!!
Ci ha messo tutto il cuore , la mente ed il corpo. Purtroppo non ce l’ha fatta a siglare questo ultimo indispensabile contratto individuale!
Parlando spesso delle nostre paure, riguardanti soprattutto la morte ci scherzavamo su. Ci ripetevamo spesso, dopo le sue operazioni ed i miei infarti, che lassù due rompipalle come noi non li voleva nessuno, anche perché sicuramente avremmo lì organizzato un sindacato delle anime.
Caro Franco, prepara tutto per quando arriverò anche io, forse stavolta faremo finalmente quel sindacato unico di cui spesso abbiamo discusso, senza tessere, senza colori, senza condizionamenti di sorta.
Vigila su tutti noi che rimaniamo quaggiù, anche perché senza di Te, saremo più teste di c… del solito.
Dio Ti benedica e benedica Tua moglie ed i Tuoi figli, che Ti rimpiangono. Arrivederci dal Tuo fraterno amico Pino.