I tre proconsoli Presidenti-commissari all’INPS, INPDAP e INAIL, mandati dal Governo alla conquista degli enti gestori della previdenza sociale, appena insediati, ne hanno proclamato con “orgogliosa sicurezza” una “gestione forte” per portare a termine in tempi brevi la loro ristrutturazione e per ridurne i costi (si veda per tutti l’intervista al Sole24ore del Commissario INAIL in data 5 ottobre).
L’occupazione del territorio previdenziale nei suoi punti chiave é garantita dall’assenza di ogni possibilità di verifica della congruità degli interventi governativi, preordinati per legge o preconfezionati nei così detti “piani industriali”, che verranno semplicemente presentati ai Sindacati, tutt’al più per qualche ritocco o aggiustamento; siamo, cioè, nella stessa scia del piano industriale Alitalia.
Quella dei piani industriali governativi é una subdola tecnica, che esclude a priori qualsiasi formazione di volontà condivisa tra gli interessi coinvolti o almeno lo sviluppo di un confronto tra di loro, essendo il prodotto di una decisione unilaterale.
Basta riflettere che in materia di protezione sociale, ancora oggi ad operazione di risparmio della spesa ormai definita nei modi e nei tempi, la scelta del sistema di amministrazione duale o diretta dei poli – gli enti oggetto dei piani industriali, come sono stati denominati – non é stata compiuta.
In altre parole, ancora nessuno sa quale sarà il modello di gestione e a chi verrà accollata la responsabilità dell’utilizzo delle risorse contributive, eppure si tratta della più rilevante opzione da esercitare, che non spetta certo unilateralmente al Governo ma al legislatore, che ha abdicato ai suoi poteri a favore dell’Esecutivo persino nella Commissione parlamentare di controllo, non pronunciandosi, mentre nella precedente legislatura la scelta venne rinviata.
L’orgogliosa sicurezza dei generali austriaci (ricordate il bollettino di guerra Diaz?)venne fermata nel 1918 dai fanti italiani, ma il compito dei tre proconsoli, se si riflette bene, non può nemmeno considerarsi a rischio di sconfitta, poiché il mandante-Governo é in possesso dell’arma segreta ricattatoria nei confronti dei lavoratori: l’aumento per legge della contribuzione previdenziale obbligatoria, se qualcuno dal fronte dei lavoratori si azzardasse a far fallire il già pianificato risparmio di spesa.
La domanda sorge spontanea: “ma, la contribuzione previdenziale non è retribuzione differita, cui i dipendenti rinunciano nell’attualità della prestazione lavorativa per prevenire, percependo una busta paga più leggera – e quanto più leggera – l’incertezza del futuro?”
E chi se non le organizzazioni rappresentative degli interessi collettivi coinvolti – le confederazioni sindacali – avrebbero titolo a deciderne, insieme ai datori di lavoro, la forma di gestione?
Niente di tutto ciò, purtroppo, é alla base dell’operazione chirurgica taglia-spese degli enti previdenziali, voluta con assoluta priorità sia dal Governo Prodi, sia da quello in carica e affidata ai tre proconsoli: ora, l’ordine deve essere da loro eseguito e prontamente!
La domanda resterà, dunque, ancora una volta senza risposta, mentre il discorso si sarebbe potuto allargare ad un confronto tra partiti, sindacati e imprenditori sulla questione pregiudiziale a qualsiasi riordino della protezione sociale in Italia.
E’ un problema che i sostenitori del “nuovo Welfare” si guardano bene dall’affrontare, come tutti i predecessori al potere, alle prese con uno Stato sociale inefficiente, sorretto da una Pubblica amministrazione sempre più costosa e distante dalle aspettative e dai bisogni dei cittadini: l’attuazione del sistema di sicurezza sociale previsto dalla nostra Costituzione, con la separazione delle funzioni e delle fonti di finanziamento dell’assistenza sociale, da reperire esclusivamente nelle entrate fiscali e dell’assicurazione sociale, sostenibile solo con la redditività di gestione della contribuzione previdenziale, che va rimessa alla responsabilità dei detentori degli interessi in gioco, lavoratori dipendenti e datori di lavoro.
Tutto ciò nel quadro della realizzazione dello “Stato delle autonomie” che esige un preciso progetto legislativo altamente condiviso di decentramento dei pubblici poteri (altro che federalismo fiscale!) con il riordinamento di tutte le strutture pubbliche, ad iniziare da quelle centrali, da sopprimere per costruire una “azienda statale corta” alleggerita della gestione di compiti e risorse facenti capo ad interessi collettivi e non della generalità dei cittadini.
Sulla sostenibilità della previdenza obbligatoria, sull’incongruenza del vigente sistema duale – Consiglio d’indirizzo e Consiglio d’amministrazione in ciascun ente – e sulle deleterie conseguenze da esso procurate alla gestione della previdenza obbligatoria, questo giornale ha già avuto modo di pronunciarsi sulla base di una semplice verifica, da addetti ai lavori, dei rapporti tra le due entità, unanimemente riconosciuti pessimi e causa della totale sovrapposizione di ruoli e carenza di effettivo controllo d’efficienza.
Inoltre, del sistema duale mutuato dal settore societario privato e introdotto negli enti previdenziali a scarico di responsabilità sindacali amministrative e penali all’epoca di Tangentopoli, “Panorama sindacale” ha denunciato la vera origine e il vero motivo per cui le Confederazioni sindacali maggioritarie continuano a “chiamarsi fuori” dalla gestione o comunque a non contrastare la loro messa al bando da parte della politica.
In questa situazione che appare immutabile e la cui responsabilità é da attribuire esclusivamente ai detentori del potere legislativo, chiamati ogni volta dal popolo a scegliere un nuovo modello di Stato che non vede mai la luce, gli ultimi governanti se n’escono con il federalismo fiscale e con la ristrutturazione degli enti previdenziali, nell’assenza totale di un disegno compiuto dell’architettura progettuale del “sistema Paese” al cui interno la protezione sociale, nei due sottosistemi assistenziale e previdenziale, dovrebbe essere collocata.
Per trovare chi sostenga le stesse nostre tesi bisogna uscire dai confini nazionali; é proprio di questa fine di ottobre la pubblicazione OCSE del “Rapporto su redditi, disuguaglianza e povertà” a base comparata mondiale.
Ebbene, mentre resta confermato che il nostro Paese é al vertice della graduatoria della disuguaglianza tra redditi di capitale e redditi da lavoro dipendente, dal Rapporto viene individuata anche la causa della distanza progressiva tra le classi sociali.
Il divario va crescendo perché non viene corretto da una politica redistributiva dello Stato attraverso la leva fiscale, ma utilizzando come fonte di risorse la contribuzione previdenziale, con la duplice conseguenza che l’erogazione delle pensioni, gravata da oneri assistenziali, non riesce ad essere garantita nel potere d’acquisto e i detentori di ricchezza prosperano sempre di più, alleggeriti come sono da oneri impositivi di riequilibrio delle condizioni di vita di tutti i cittadini e coperti dallo scudo dell’evasione e dell’elusione fiscale.
In questa situazione, che ripetiamo appare immutabile, i tre Commissari-proconsoli vinceranno la “battaglia dei poli” ma avranno perso, insieme al Governo e purtroppo all’Italia, la sfida della costruzione di una società civile più giusta.