Finanziamenti umanitari: base di donatori troppo ristretta e fondi in stallo

Secondo una nuova analisi del finanziamento umanitario, i fondi disponibili si sono in gran parte ridotti a livelli pre-pandemici, nonostante i bisogni di emergenza e gli aiuti umanitari abbiano raggiunto massimi storici, con il drammatico aumento delle emerge umanitarie, in gran parte dovute alla pandemia di Covid-19. Il rapporto sull’assistenza umanitaria globale pubblicato alcuni giorni fa, analizza i dati annuali del finanziamento internazionale degli aiuti di emergenza registrando la loro provenienza e la loro destinazione. I numeri del 2021 mostrano come la spesa si sia stabilizzata dopo il Covid-19, anche mentre i bisogni umanitari aumentavano alle stelle.

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Secondo il gruppo di analisti dei dati di Developmemt Initiatives, autori del rapporto, le statistiche mostrano che il finanziamento umanitario sia cambiato “molto poco” negli ultimi anni nonostante l’imperativo di cambiamento richiesto a livello internazionale per affrontare la pandemia, i nuovi conflitti e la crisi climatica.

Inoltre, gli autori del rapporto hanno sottolineato come “la base dei donatori su cui poggia il sistema sia poco affidabile e precaria”, questo sta portando i finanziamenti allo stallo.

Una conclusione che non sorprende per un settore come quello degli aiuti che si è abituato a carenze di finanziamento incolmabili: il fabbisogno umanitario è aumentato e i fondi disponibili non stanno al passo con i bisogni.  Da un lato, secondo i calcoli del rapporto il valore dell’assistenza umanitaria internazionale ha raggiunto una cifra stimata di 31,3 miliardi di dollari nel 2021. Ma i finanziamenti sono cresciuti solo del 2,6% tra il 2018 e il 2021, molto al di sotto della crescita annuale del 10% vista prima di allora.

Il sistema di finanziamento internazionale è ancora costruito attorno ai governi donatori (per lo più occidentali). Tra i maggiori donatori pubblici di assistenza umanitaria internazionale nella classifica dei primi dieci paesi troviamo gli Stati Uniti, la Turchia, Germania, Istituzioni Europee, Regno Unito, Giappone, Svezia, Canada, Emirati Arabi e Olanda. Un gradino sotto troviamo l’Italia, all’undicesimo posto tra i donatori, con 665 milioni di dollari nel 2021 (un aumento del 23% rispetto al 2020) –corrispondenti allo 0,03 del PIL.

Livelli elevatissimi hanno raggiunto gli appelli di emergenza sostenuti dalle Nazioni Unite (almeno 41 miliardi di dollari quest’anno, prima dell’invasione russa dell’Ucraina) e i funzionari che operano nel settore degli aiuti umanitari si aspettano enormi carenze di fondi per i prossimi anni, mentre costi e finanziamenti crescono ancora di più. Solo la metà degli appelli sono stati finanziati dalle Nazioni Unite nel 2020 e nel 2021 e il divario cresce rapidamente.

I maggiori donatori di aiuti sono lo stesso gruppo centrale di governi donatori e il denaro viene in gran parte incanalato attraverso la stessa ristretta cerchia di agenzie delle Nazioni Unite e grandi Organizzazioni Non Governative internazionali bypassando la società civile locale.

Nel 2021, la maggior parte dei fondi rintracciabili è passata attraverso organizzazioni multilaterali, ONG e il movimento della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. I donatori internazionali non si sono mai avvicinati al rispetto delle promesse di finanziamento diretto, ma nel 2021 il settore è tornato ai minimi degli ultimi cinque anni: solo l’1,2% dell’assistenza umanitaria internazionale è andata direttamente alle Organizzazioni Non Governative locali.

Si sono registrati maggiori progressi su altri impegni di riforma. L’uso degli aiuti in denaro – fornendo denaro contante anziché beni – ha continuato a crescere (fino a circa un quinto del valore dell’assistenza umanitaria internazionale). Così ha fatto la proporzione del finanziamento pubblico complessivo dato ai fondi comuni gestiti dalle Nazioni Unite (circa il 6 per cento), che tendono a indirizzare più finanziamenti ai gruppi locali.

C’è stato, invece, un incremento dei fondi per la prevenzione dei disastri. I finanziamenti allo sviluppo per la riduzione del rischio di catastrofi stanno crescendo, riflettendo una più ampia attenzione alla prevenzione, stimolata in gran parte dalla perenne carenza di aiuti e dalla crisi climatica.

Il rapporto ha rilevato che l’assistenza ufficiale allo sviluppo stanziata per la riduzione del rischio di catastrofi (DRR) – l’ampia dottrina che spinge a prevenire le crisi prima che scoppino – ha registrato un “aumento significativo”, passando da 1,6 miliardi di dollari nel 2018 a 2,4 miliardi nel 2020.

È probabile che tale tendenza continui, poiché i legami tra sviluppo a lungo termine e aiuti di emergenza a breve termine sta diventando sempre più evidente: per tale motivo i ministri degli esteri del G7 quest’anno hanno promesso di utilizzare i loro fondi per rendere “il sistema umanitario il più possibile capace di prevedere le emergenze”.

di Eleonora Marino