Quando il contribuente instaura un giudizio dinanzi al giudice tributario intraprende, come in tutti i procedimenti giudiziari, un iter che può concludersi con una sentenza a lui favorevole o sfavorevole.
Nel caso in cui sia sfavorevole, l’amministrazione finanziaria potrà continuare a far valere la pretesa tributaria con la riscossione anche in corso di causa ex art. 68 del dlgs. 546/92; nel caso, invece, in cui la sentenza sia favorevole e definitiva, l’ordinamento mette a disposizione due strumenti per la relativa esecuzione: il procedimento di esecuzione forzata, disciplinato nel titolo secondo del libro terzo del codice di procedura civile, e il giudizio di ottemperanza ex art. 70 del dlgs. 546/92.
Nell’esecuzione forzata, quanto disposto dalla Commissione tributaria (provinciale o regionale) viene fatto valere nei confronti dell’amministrazione inadempiente con atto di precetto e successivo pignoramento, che si conclude con l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati.
Nel giudizio di ottemperanza, invece, è la stessa Commissione che ha emanato la sentenza a provvedere alla sua esecuzione, previo ricorso da parte del contribuente.
Infatti, decorso il termine per l’adempimento o, in mancanza, il termine di trenta giorni dalla messa in mora a mezzo ufficiale giudiziario, il collegio giudicante adotta con sentenza i provvedimenti che avrebbe dovuto adottare l’amministrazione inadempiente.
In alternativa, nomina un proprio componente o un commissario ad acta affinché siano questi ad emanare, entro un congruo termine, i provvedimenti attuativi necessari.
Sorge a questo punto una domanda: il contribuente può esperire entrambi i suddetti rimedi per una maggior tutela della propria posizione creditoria nei confronti dell’ente impositore?
A favore della cumulabilità e contestualità dei due procedimenti si è pronunciata la Corte di Cassazione la quale, dopo un lungo dibattito dottrinale, con la sentenza n.358 del 2004, ha affermato che “l’esecuzione forzata ordinaria secondo le norme del codice di procedura civile e l’esecuzione in sede tributaria secondo il giudizio di ottemperanza sono mezzi di tutela concorrenti e cumulabili, che possono essere esperiti anche contestualmente affinché la pretesa creditoria sia attuata.”
Secondo i giudici di legittimità, quindi, il contribuente, nel caso ottenga dalla Commissione tributaria una pronuncia a lui favorevole, potrà avvalersi anche simultaneamente di entrambi i rimedi per ottenere così la massima tutela nel più breve tempo possibile.
Di conseguenza all’amministrazione finanziaria non rimarrà altro che proporre: in caso di esecuzione forzata, opposizione all’esecuzione (qualora contesti il credito che ne è alla base) o opposizione agli atti esecutivi (qualora contesti la regolarità formale del titolo e dei vari atti esecutivi); in caso di sentenza di ottemperanza, ricorso in Cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento.
Michele Pierluigi Massa