Indagine “Il lavoro femminile tra soddisfazione, criticità e voglia di cambiamento”
La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro il 7 marzo scorso ha divulgato i risultati di uno studio sui livelli di occupazione del lavoro femminile, realizzato su un campione di 1000 occupati, sulla base dei dati forniti dall’Inps.
Nel corso dell’anno 2022, il lavoro femminile è stato protagonista di un inedito dinamismo, che, malgrado il permanere delle criticità che caratterizzano da sempre l’occupazione delle donne nel nostro Paese, dà il segnale di qualche cambiamento.
La crescita, infatti, nel numero delle assunzioni (+21,4% nei primi 9 mesi) è stata più consistente di quella maschile (+13,9%), raggiungendo la cifra record di 2 milioni e 616 mila. La creazione di nuove opportunità occupazionali ha determinato anche una maggiore mobilità interna al mercato. Al contempo più di 642 mila donne hanno lasciato volontariamente il proprio lavoro (+21,5% rispetto al 2021) per lo più a tempo indeterminato (54%). Il dato è significativo se si considera che solo nell’ultimo anno il fenomeno è aumentato del 29,1%, risultando più marcato rispetto agli uomini, tra i quali le dimissioni sono cresciute del 18,6%.
Il dinamismo riscontrato nel 2022 sembra destinato ad accentuarsi se, come emerge dall’indagine, il 55,7% delle donne dichiara di voler cambiare lavoro; il 38,7%, pur volendolo, non ha ancora intrapreso azioni in tal senso; il 12,6% è attivamente alla ricerca di un nuovo lavoro e il 4,5% lo ha cambiato negli ultimi due anni.
Di non facile individuazione sono i molteplici fattori all’origine del nuovo fenomeno che vede le donne per la prima volta protagoniste più degli uomini, non solo per il nostro mercato del lavoro. Le donne partono da un livello di soddisfazione per la loro condizione occupazionale inferiore rispetto agli uomini. Pesano fattori oggettivi come la maggiore precarietà, i divari retributivi, il doppio ruolo, ma anche soggettivi, relativi alle attese che ogni donna ripone rispetto al proprio lavoro e alla propria realizzazione professionale.
Le donne risultano meno soddisfatte rispetto agli uomini (dichiara un livello molto basso o basso il 25% delle prime contro il 18,8% dei secondi), ma individuano fattori del tutto specifici, più legati alle prospettive di crescita che alla retribuzione.
Il welfare aziendale, come insieme di prassi, benefit e strumenti in grado di valorizzare dipendenti e collaboratori, rappresenta un elemento scarsamente presente, rispetto al quale le donne, più degli uomini, lamentano forte insoddisfazione (49,4%).
La voglia di cambiamento, che è l’elemento più tangibile rilevato dall’indagine, trova altre ragioni al di là della scarsa soddisfazione per il lavoro attuale. C’è una spinta al cambiamento che nasce dalla voglia di rimettersi in gioco, di trovare nuove strade che siano di stimolo al rinnovamento, personale prima che professionale. Tale fattore ha trovato un’ulteriore spinta nella dinamicità dell’ultimo anno; il 20,6% afferma, infatti, che a spingere verso un nuovo lavoro è stata principalmente la creazione di nuove opportunità.
Il desiderio di migliorare la propria vita è il catalizzatore della ricerca di un nuovo posto di lavoro. È indicativo che tra i fattori irrinunciabili del nuovo impiego, accanto al miglioramento retributivo, il 50,6% delle donne indichi il raggiungimento di un migliore equilibrio psicofisico, valore guida del cambiamento. A confronto, la sicurezza data da un lavoro stabile è considerata una condizione molto più rinunciabile, messa sullo stesso piano della soddisfazione per i contenuti e la crescita professionale. Per le donne inoltre sembra contare in misura più rilevante la condivisione degli obiettivi e dei valori aziendali. Di contro tra i principali aspetti che concorrono a rendere le donne più appagate, vi sono al primo posto l’autonomia e la responsabilità. Segue la realizzazione professionale, da intendersi come l’interesse e la passione per la propria attività. Meno positiva è la valutazione sulle relazioni aziendali, con superiori e colleghi.
Per il 22,1% delle donne del campione studiato, sarebbe fondamentale trovare un lavoro vicino casa, o che comunque consenta di ridurre i tempi di spostamento rispetto agli attuali; per il 20,4% sarebbe importante un ambiente di lavoro più “accogliente”; una quota simile punta ad una maggiore flessibilità organizzativa.
Protagoniste del cambiamento, le donne sembrano interpretare forse più degli uomini le trasformazioni in atto nel lavoro, portando una visione più dinamica.
I settori, in cui si registra il maggior numero di dimissioni femminili, sono in molti casi anche quelli dove si è registrata una maggiore dinamicità delle assunzioni. Ciò suggerisce che la scelta di cambiare sia avvenuta in un contesto dinamico e di opportunità crescenti, che potrebbe aver favorito la transizione occupazionale delle donne.
Oltre un terzo (38,6%) delle donne che hanno lasciato il lavoro era occupata nel commercio e nelle attività turistiche, settore che ha concorso, nei primi nove mesi del 2022, al 40,1% delle assunzioni. Segue il settore terziario avanzato, ovvero le attività professionali, scientifiche e tecniche: in quest’area è avvenuto il 28,5%delle nuove assunzioni femminili e il 23,2 % delle dimissioni. Anche le attività legate a servizi di PA, difesa, istruzione e sanità sono state caratterizzate da un’accentuazione del turnover.
A livello geografico il Nord Ovest è stato nei primi mesi del 2022 il mercato del lavoro più dinamico per le donne, contribuendo al 28,2% delle nuove assunzioni e a ben il 34,6% delle dimissioni volontarie. La sola Lombardia ha raccolto quasi un quarto delle dimissioni femminili.
Per quanto riguarda le modalità di ricerca di un nuovo lavoro, le donne tendono a muoversi su canali formali: il 41,8% utilizza l’autocandidatura, tramite invio o presentazione di curriculum vitae presso le aziende; una quota più bassa di lavoratrici attiva le proprie conoscenze (24,1%) o utilizza il passaparola (20,3%).
di Rosaria Russo