Il 10 settembre, nell’incantevole cornice del Museo e Real Bosco di Capodimonte a Napoli, si è aperta una mostra dedicata all’artista napoletano Vincenzo Gemito, su progetto del direttore Sylvain Belleger e di Christophe Leribault, direttore del Petit Palais di Parigi, dove si è già svolta una prima esposizione in onore di Gemito.
Il grande successo riscosso dalla mostra di Parigi dal titolo “Gemito. Le sculpteur de l’âme napolitaine”, la prima fuori dall’Italia dopo la morte, ha restituito al grande artista di fine dell’Ottocento quella fama internazionale, che a suo tempo aveva goduta, proprio durante l’Esposizione universale parigina del 1878. Gemito aveva stretto amicizia in Francia con i grandi artisti dell’epoca come Meissonnier e Rodin.
L’allestimento, curato da Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano, offre al pubblico 150 opere, mostrando anche un aspetto più intimista, i due grandi amori della sua vita, la francese Mathilde Duffaud e la napoletana Anna Cutolo.
Possiamo ammirare nel percorso espositivo, suddiviso in nove sezioni tematiche e che segue un criterio cronologico, sculture, dipinti e disegni. La maggior parte delle opere sono del Museo di Capodimonte, ma molti sono i prestiti dalla Collezione Intesa Sanpaolo-gallerie d’Italia Palazzo Zevallos Stigliano, dal Polo Museale della Campania, dal Museo d’Orsay di Parigi, dal Getty Museum di Los Angeles, dalla GMA-Galleria d’Arte Moderna e dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, ed inoltre da molte raccolte private.
Quella di Gemito fu una vita all’insegna della miseria, della gloria e della follia, che lo avvicinano al destino di artisti come Camille Claudel, Van Gogh e Antonin Artaud.
Un’artista non separabile dalla sua città, dove ebbe i natali nel 1852. Abbandonato dalla madre nella ruota dell’Annunziata, fu adottato da una famiglia povera, crescendo tra le strade di Napoli, insieme agli scugnizzi, che saranno un soggetto da Gemito molto amato.
Non ebbe una formazione accademica, i suoi maestri furono artisti “ribelli” come Giovan Battista Amendola, Ettore Ximenes, Achille d’Orsi. Tante le suggestioni che Vincenzo Gemito trasse dalla tradizione dei presepi di San Gregorio Armeno, ma anche dalla frequentazione delle sculture del Museo Archeologico di Napoli. Entrò da giovane nello studio dello scultore Emanuele Caggiano e, diventato allievo di Stanislao Lista e Domenico Morelli, realizzò una serie di busti di personaggi illustri tra i quali Morelli, Verdi e Michetti. Conquistò così quella fama, che gli guadagnò da parte del re Umberto I la commissione della statua in marmo di Carlo V per la facciata del Palazzo Reale di Napoli.
Furono proprio le difficoltà per portare a termine questo incarico prestigioso, che era avulso dalla sua poetica e per il quale realizzò solo il modello in gesso, che concorsero a provocargli un grave esaurimento nervoso. I successivi vent’anni furono segnati da ricoveri, deliri, digiuni, con l’alternarsi di fasi di quieto lavoro a fasi di follia. Gemito, ripresosi agli inizi del ‘900, attraversò ancora momenti di grande creatività, circondato da mecenati e ammiratori fino alla morte nella sua amata città nel 1929.
La mostra sarà visitabile fino al 15 novembre.
di Eleonora Marino