L’art. 200, ultimo comma, del codice di procedura penale prevede che “Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 (quelle sul segreto professionale) si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione.
Tuttavia, se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.” L’art. 256 del codice di rito aggiunge che il titolare di segreto professionale (tra i quali i giornalisti iscritti all’albo) a fronte della richiesta di acquisizione documentale disposta dall’autorità giudiziaria, previo rilascio di dichiarazione scritta, possa astenersi dal consegnare quella documentazione che rivelerebbe la propria fonte; anche in questo ultimo caso, però, vige la limitazione prevista dall’art. 200, vale a dire che se o qualora il giudice ritenga che tali documenti siano indispensabili per accertare il reato, il giornalista possa essere obbligato a esibirla. In teoria la tutela del segreto professionale è accordata solo ai giornalisti professionista, tuttavia una sentenza del 2017 della Corte d’Appello di Caltanisetta, facendo propria la linea interpretativa della Corte Europea di Diritti dell’Uomo (CEDU), la ha riconosciuta pure in favore dei pubblicisti (www.agi.it/regioni/sicilia/giornalisti_sentenza_segreto_professionale_anche_ai_pubblicisti-1505828/news/2017-02-17/), prosciogliendo dall’imputazione di favoreggiamento i due giornalisti pubblicisti per non aver ottemperato all’ordine del magistrato, opponendo correttamente il segreto professionale concernente le proprie fonti. Un precedente importante, che finalmente riconosce la tutela della professione giornalistica, pure quando questa ultima sia svolta in modo non esclusivo.
di Paolo Arigotti