5 ottobre 2021 Teachers at the heart of education recovery
Molti ricordano il dito che scorreva sul registro alla ricerca dell’interrogando di turno, alcuni le imitazioni più o meno riuscite, altri la propria notte prima degli esami, tanti forse i maldestri tentativi di marinare scuola e saltare i compiti in classe. Tutti però dovrebbero ricordare ed avere un debito di riconoscenza verso gli insegnanti, che ci hanno accompagnato dall’infanzia alla maggiore età. Probabilmente molti di noi conservano nel proprio cuore la memoria di una maestra, di un insegnante speciale, che ci ha dischiuso mente ed anima ad orizzonti più alti e nobili.
Dalla metà degli anni ‘90 si commemora la sottoscrizione delle Raccomandazioni dell’Unesco/ILO sullo status degli insegnanti che è il principale riferimento per i diritti e le responsabilità dei docenti su scala mondiale. Si tratta di un importante momento di riflessione sul ruolo chiave degli insegnanti in tutte le società, sulle sfide che affrontano quotidianamente, sulle difficili condizioni di lavoro cui sono spesso sottoposti.
Con l’adozione dell’Obiettivo 4 di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 della Nazioni Unite, ‘l’istruzione di qualità’, gli insegnanti vengono riconosciuti come soggetti chiave per l’attuazione dell’Agenda 2030 sull’educazione. Il loro impegno infatti è fondamentale per fornire un’educazione valida, efficace, equa ed inclusiva nonché opportunità di apprendimento per tutti, con l’obiettivo di incrementare il livello di alfabetizzazione globale e ridurre l’abbandono scolastico precoce. Tutto ciò contribuisce a migliorare la vita delle persone e a raggiungere lo sviluppo sostenibile.
Il tema celebrativo di quest’anno Teachers at the heart of Education Recovery pone l’accento sul ruolo centrale dei docenti per la ripresa dopo la crisi, che ha investito le scuole in tutto il mondo a causa della pandemia da Covid-19. Gli insegnanti sono stati sottoposti a grandi sfide e pressioni per trovare strategie e metodi alternativi per continuare con la didattica in una vera e propria situazione di guerra.
Il sostegno alla loro azione, soprattutto per i territori caratterizzati da forte disagio sociale e precarietà di condizioni economiche e di sicurezza, deve provenire non solo dalle istituzioni ma da tutta la comunità, che deve ravvisare nel lavoro degli insegnanti il principale sostegno, dopo la famiglia, per la crescita sana, critica e armonica delle nuove generazioni e per nuove opportunità di evoluzione anche per gli adulti.
Un libro, testimonianza del cruciale e difficile ruolo del maestro, è Diario di una maestrina. Come ebbe a riconoscere Tullio de Mauro, tra i numerosi e straordinari libri che la scuola ci ha dato, questo testo di Maria Giacobbe ci riporta in un mondo lontano, forse ancora presente nelle periferie del mondo, quando alfabetizzare i bambini era un’impresa quasi impossibile. Maria Giacobbe è una scrittrice nuorese, poco conosciuta ai più, sebbene le sue opere abbiano conseguito importanti riconoscimenti di critica e premi letterari come il Premio Viareggio e la Palma dell’Unione Donne Italiane, in particolare per quest’opera di esordio che risale al 1957. Ultranovantenne Maria Giacobbe continua a dedicarsi alla scrittura, si pensi alle opere più recenti come Memorie della farfalla (2014), e a farsi promotrice del dialogo tra culture. L’autrice infatti, trasferitasi in Danimarca dagli anni ’60, ha partecipato attivamente alla vita culturale danese ed è qui molto conosciuta e apprezzata. La lettura delle sue opere, a partire dalla riflessione autobiografica, apre uno squarcio su storie ormai rimosse ma che sono all’origine dei cambiamenti occorsi non solo nella società sarda ma in tutta quella nazionale dal secondo dopoguerra, quando si misero in moto le forze della modernizzazione, dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione sostenuta.
La maestrina, come veniva apostrofata con moto di scherno dai suoi amici, nasce in una famiglia benestante ma atipica e spesso malvista: il padre, ingegnere, la madre, proprietaria terriera, sono attenti ed amorevoli nei confronti dei loro figli, ma anche fieramente antifascisti. Il non adeguarsi allo spirito del tempo, come il rifiuto della tessera del partito fascista, ha delle conseguenze drammatiche sulla famiglia. Dino Giacobbe non trova più lavoro e i proventi delle terre sono appena sufficienti al mantenimento. Il padre della scrittrice decide, con la condivisione della moglie Gabriella, di andare in Spagna a combattere per la repubblica, espatriando clandestinamente e rimanendo separato per un intero decennio. I problemi economici spingono Maria a lasciare il Liceo Classico e conseguire il diploma magistrale, che le possa consentire di lavorare ed essere indipendente. Si apre così per Maria Giacobbe una fase di esperienze, che la mettono in contatto con un mondo che le sarebbe rimasto sconosciuto, ma che la stimolano all’azione e anche all’attività giornalistica e saggistica. L’esperienza dell’insegnamento che Giacobbe traduce nel suo Diario, non è solo un affresco neorealistico della società patriarcale, rurale e antica sarda che viene a scontrarsi con le regole e i modelli del nuovo Stato italiano. Nell’opera, e questo la rende pertinente ed interessante ai fini del discorso sul ruolo degli insegnanti, la maestra registra la preoccupazione, il desiderio di poter contribuire in modo sostanziale al cambiamento e al miglioramento delle condizioni dei suoi alunni. Ma emerge anche il rispetto e la ricerca di forme di comunicazione, per trovare collaborazione con i genitori. La maestrina usa fantasia, sensibilità, attenzione, caparbietà per vincere le resistenze anche del mondo scolastico e conquistare i cuori dei suoi ragazzi per spingerli ad andare oltre il mondo limitato e di poche prospettive in cui si muovono.
Maria Giacobbe affronta con intraprendenza ed entusiasmo il tirocinio di insegnamento in terre difficili, comuni considerati “selvaggi” come Fonni, Oliena, Bortigali, Orgosolo. Le scuole sono fatiscenti, le aule gelide senza vetri alle finestre, i paesi non hanno fogne né acquedotti, le amministrazioni non forniscono neppure gli strumenti come l’inchiostro. Le classi in cui si trova ad insegnare Maria Giacobbe, poco più che ragazzina, sono numerose e spesso sia gli adulti che i bambini sono afflitti da malattie come il tracoma che colpisce gli occhi fino alla cecità. Pochi sono i bambini fortunati che mangiano sufficientemente, ovunque vi è rachitismo, tubercolosi, tigna, malaria ed è quasi ricco chi può coprirsi negli inverni rigidi e nevosi dell’interno del nuorese. Le bambine frequentano poco la scuola perché impegnate nell’”aggiudu”, cioè in lavoretti presso famiglie benestanti per ottenere del cibo per sé e la famiglia. In terra di pastorizia la maestrina Maria, scopre che i bambini non bevono latte ma non si arrende ad un mondo così duro e con passione accompagna i suoi alunni, riflettendo che tutti sono protagonisti di un cambiamento che li vedrà diventare uomini e donne nuovi.
Maria Giacobbe, ne Il Diario di una Maestrina, ricorda la piccola Agnese, che incantata dalle storie con le quali intrattiene e fa sognare i suoi alunni, un giorno esclamò – Come vorrei essere figlia della maestra! –
In quell’esclamazione vi era tutto il desiderio, sia pure confuso, dice la scrittrice, di appartenere a quella civiltà che la maestra rappresentava, nella quale oltre i sentimenti violenti, che erano l’essenza della vita che i bambini vivevano, vi era posto anche per le piccole cose gentili.
Va celebrato e sostenuto questo ruolo degli insegnanti, che ancora non è venuto meno e che si pone come cruciale, di portare pace, dialogo, ottimismo, oltre che conoscenza in tutti i contesti e soprattutto in tutte le periferie esistenziali della nostra epoca.
di Rosaria Russo