La violenza sulle donneinizia dalle parole, dal linguaggio, le stesse cronache giornalistiche, a volte non utilizzano un linguaggio etico e di rispetto nei confronti delle vittime. IFemminicidi, sono spesso riportati dagli organi di stampa come “raptus di follia”, “dramma della gelosia” o espressioni simili, a mano di chi, a volte viene descritto come una brava persona, un lavoratore, in preda alla gelosia. E’ frequente, dunque, leggere articoli di giornali in cui si concedono a questi assassini tutte le attenuanti possibili, senza che venga riportata alcuna parola sulla vittima, che a volte viene ricoperta di accuse infamanti da cui non può più neanche difendersi. Nessun riferimento viene fatto sul vero movente, che è la cultura del possesso. Non va meglio quando le notizie di femminicidi sono riportate attraverso i social media, dove spesso viene fomentato quello che viene chiamato l’hate speech, con il risultato di veicolare certi stereotipi che comportano come conseguenza quella di accusare le donne aggredite di “essersela andata a cercare”.
E’ importante il ruolo svolto dai giornalisti che hanno la funzione di informare. La redazione di articoli non rappresenta un atto neutro, si scrive una storia, con una struttura, un punto di vista ed un valore ben precisi. I media hanno una grande responsabilità nell’influenzare l’opinione pubblica e dovrebbero essere i primi a smetterla di colpevolizzare le donne vittime di violenza, poiché ciò continua ad alimentare la disparità tra uomini e donne.
Un piccolo passo in avanti è stato fatto recentemente con l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti del nuovo articolo 5 bis “Rispetto delle differenze di genere” del Testo Unico dei Doveri del Giornalista, in vigore dal 1° gennaio 2021, sull’uso del linguaggio nei casi di violenza di genere. La finalità è che nell’ambito dell’attività di informazione si eviti la spettacolarizzazione della violenza e si usi un linguaggio rispettoso nei casi di violenze di genere, al di là dell’orientamento sessuale delle vittime. L’articolo introdotto, pone l’accento sulla gravità dell’uso di narrazioni scorrette, purtroppo ancora troppo diffuse e invita quindi a usare un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole e ad attenersi all’essenzialità della notizia e alla continenza.
Una comunicazione attenta al genere può essere un prezioso contributo per l’abbattimento di certi stereotipi. A ciò non deve sottrarsi la comunicazione pubblica per l’importante funzione che è chiamata a svolgere, in quanto può assumere un ruolo fondamentale nella promozione di cambiamenti culturali, nel diffondere una cultura capace di valorizzare le differenze, contrastare discriminazioni e pregiudizi legati agli stereotipi di genere e promuovere messaggi, che favoriscano cambiamenti in comportamenti, mentalità e stili di vita. La comunicazione pubblica, oltre ad incentivare il mutamento socioculturale assume una rilevanza strategica nello sforzo di promuovere e sviluppare, non soltanto una comunicazione istituzionale attenta al genere, bensì una vera e propria cultura attenta al genere.
Le campagne di comunicazione vanno accompagnate, prestando particolare attenzione alla complessità dei processi educativi e di socializzazione e coinvolgendo in una logica di network istituzioni formali e informali. In questa direzione, molte amministrazioni pubbliche si sono attivate con l’adozione di linee guida, finalizzate ad una comunicazione pubblica attenta al genere (Regione Emilia Romagna, Comune di Milano, Comune di Torino, per fare qualche esempio).
Pertanto, l’auspicio è che le istituzioni, i media, le organizzazioni complesse e, le pubbliche amministrazioni, adottino congiuntamente una comunicazione che consenta la concreta realizzazione di una cultura attenta e sensibile al genere.
di Franca Terra