Gli Usa e il piano per uscire dal conflitto in corso nella striscia di Gaza

Nel contesto attuale del Medio Oriente, gli Stati Uniti, guidati dal Segretario di Stato Antony Blinken, hanno delineato un piano per stabilizzare la Striscia di Gaza, questo piano è stato presentato di recente al summit del G7 a Tokio e segna un punto di svolta significativo nelle dinamiche regionali, soprattutto alla luce della recente offensiva militare di Israele contro Hamas.

L’approccio americano, fortemente radicato nella realpolitik, prevede che Israele concluda rapidamente le sue operazioni militari e che cerchi di coinvolgere nelle proprie operazioni contro Hamas il minor numero di civili. L’obiettivo è prevenire un’ulteriore escalation del conflitto che potrebbe diffondersi in altre aree del Medio Oriente. Allo stesso tempo, è evidente una crescente insoddisfazione nei confronti di Hamas all’interno della Striscia di Gaza. I leader di Hamas, protetti nei loro bunker o all’estero, sembrano aver iniziato a perdere le simpatie di quella parte della popolazione palestinese che soffre le conseguenze dirette della risposta militare israeliana.

In questo contesto, il piano degli Stati Uniti appare come una risposta multilivello. Da una parte, c’è una condanna senza riserve degli attacchi di Hamas, riconosciuto come organizzazione terroristica e quindi escluso da ogni possibile negoziato. Dall’altra, si riafferma il diritto di Israele all’autodifesa, come sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, gli USA esortano Israele ad esercitare moderazione, per proteggere al massimo la popolazione civile di Gaza, che attualmente paga l’attacco del 7 ottobre effettuato dall’organizzazione terroristica con migliaia di morti e feriti.

Il piano prevede una tregua immediata per facilitare l’afflusso di aiuti umanitari, seguita dal ritiro dei militari israeliani. La gestione della Striscia di Gaza dovrebbe passare ad un organismo sovranazionale, potenzialmente sotto l’egida dell’ONU, sebbene questa proposta richieda il consenso di attori globali come Russia e Cina.

Un altro elemento cruciale del piano è il rinnovato ruolo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) nella gestione dei territori palestinesi. Nonostante le sue passate inefficienze e le accuse di corruzione, l’Anp è vista come un attore chiave nel processo di unificazione della Cisgiordania e di Gaza. Questo potrebbe richiedere un periodo di transizione sotto il controllo delle Nazioni Unite, per stabilizzare la situazione e permettere l’emergere di una nuova leadership palestinese più efficace e legittima.

L’obiettivo finale è rilanciare i negoziati di pace basati sugli Accordi di Oslo, che contemplano la soluzione dei “due popoli, due Stati”. Questo rappresenta una deviazione netta dalla politica dell’amministrazione Trump, che aveva favorito l’emarginazione dei palestinesi. La proposta di Blinken di avviare negoziati, anche in presenza di forze militari israeliane in Gaza, sottolinea l’urgenza e l’importanza di trovare una soluzione pacifica e duratura al conflitto.

In conclusione, il piano USA per Gaza rappresenta un tentativo audace di riequilibrare le dinamiche di potere nella regione, cercando di costruire un futuro più pacifico e stabile. Tuttavia, la sua realizzazione dipenderà dalla volontà e dalla cooperazione di molteplici attori regionali e internazionali, in un contesto che rimane complesso e imprevedibile.

di Massimiliano Merzi