Nel nostro Paese non c’é Governo che non s’impegni a “lottare contro qualcosa” per raggiungere un obiettivo che é destinato, purtroppo, o a non essere raggiunto, in quanto isolato da un contesto progettuale che non nasce per atavico comportamento dei cittadini a difesa dell’esistente , o anche se conseguito non risulta determinante nell’avanzamento economico e sociale dell’Italia, la quale rimane irrimediabilmente confinata agli ultimi posti nelle classifiche mondiali delle nazioni civili.
Risalendo agli anni ’30 del secolo scorso, fallirono due obiettivi propagandistici del Regime fascista allora imperante: quello grottesco della lotta contro le mosche – vinsero queste ultime e ci volle il DDT dei vincitori della seconda guerra mondiale a liberarcene – e quello velleitario della battaglia del grano, che portò l’Italia, nemmeno dieci anni dopo, a dipendere per l’approvvigionamento delle derrate dal mercato estero, a causa dell’abbandono delle campagne da parte dei coltivatori.
Oggi, con la decantata lotta ai fannulloni – ben orchestrata dai media ma sempre più vaga nella resa di efficienza nel pubblico impiego – si vorrebbe risolvere il problema della riforma della Pubblica amministrazione, che ha le sue lontanissime radici in cause ben più difficili da individuare ed eliminare per l’impegno costruttivo da esse imposto a chi volesse tentare di realizzarla.
La verità é che ogni iniziativa resta avulsa da qualsiasi disegno di riforma strutturale – volutamente omessa dai governi e dai legislatori che li esprimono – in quanto il sistema politico non riesce più ad elaborare alcun progetto, ma si accontenta di rincorrere l’adesione della maggioranza dell’elettorato, schierata a difendere le rendite di posizione, tra le quali spicca quella insita nel sistema fiscale.
In tale quadro, il meccanismo di raccolta del consenso si rivela la sola cosa veramente efficace: si lancia uno slogan ad effetto sicuro e a tempo debito – in genere breve – si mistificano i risultati elaborati da prezzolati manipolatori di dati e sondaggi d’opinione per cantare frettolosamente una vittoria effimera.
Effimera, perché alla fine tutto resta come prima; ed é così, perché altrimenti non si parlerebbe ancora e sempre delle stesse riforme, ancora e sempre da fare: oltre la riforma fiscale, quella della pubblica amministrazione, quella previdenziale, quella della giustizia, quella della rappresentanza politica e così via.
A sostegno di quanto abbiamo detto, valga l’esempio di un’iniziativa in corso d’opera, riferita alla sostenibilità del sistema previdenziale, di cui si nega la necessità di riforma, ma che si dichiara di voler perseguire con la lotta senza quartiere ai falsi invalidi civili.
Di questa battaglia dei nostri giorni vogliamo occuparci facendo i conti della serva, da semplici cittadini che seguono le cose della politica e dell’economia con il pieno diritto di esprimere il proprio pensiero, forse tecnicamente impreciso, ma animato dalla volontà di capire le questioni che coinvolgono la nostra vita di lavoratori dipendenti o in pensione, al di là della bagarre mediatica che le accompagna.
Sono convergenti le recenti dichiarazioni del Ministro del Lavoro e del Presidente dell’INPS: di riforme la previdenza sociale italiana – essi affermano – non ha bisogno, i conti sono in ordine, con l’introduzione dei coefficienti di trasformazione per adeguare le prestazioni all’allungamento di vita, la spesa é sotto controllo, ma si deve procedere comunque a ridurla.
Si chiamano a raccolta i mass media e si indicano i nuovi obiettivi di lotta: l’accorpamento degli enti erogatori e la lotta ai falsi invalidi civili, quest’ultima certamente apprezzabile nei suoi fini moralizzatori, ma non altrettanto condivisibile negli strumenti apprestati e nei risultati prevedibili .
Tralasciamo i presunti risparmi di spesa vagheggiati da un bel po’ di anni sul riordino degli enti previdenziali, tanto le risorse sono state in ogni caso assicurate.
Infatti, comunque andranno le future “case del Welfare” – immaginate dal Ministro del Lavoro per fagocitare le risorse della previdenza sociale in una gestione esclusivamente statalistica – a decorrere dal 1° gennaio 2011 l’aliquota contributiva pensionistica dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti, che supera già ora il 32% (una percentuale tra le più elevate del mondo per pensioni tra le più basse d’Europa) sarà incrementata dello 0,09%, con buona pace della conclamata inderogabilità di una riduzione del cuneo contributivo.
Se lo meritano un ulteriore sacrificio economico i lavoratori dipendenti, chiamati a finanziare con il proprio salario differito le pensioni a carattere assistenziale degli invalidi civili, le quali dovrebbero invece essere poste – per dettato costituzionale – a carico di tutti i cittadini con le entrate fiscali?
Certamente no, ma prima di trarre conclusioni, soffermiamoci sulla natura e sulla consistenza della strenua lotta governativa ai falsi invalidi, per valutarne la ricaduta sulla sostenibilità del sistema previdenziale:
– i pensionati INPS sono 14 milioni (di cui 10 milioni da lavoro dipendente) con una spesa annua di 173 miliardi di euro, cui lo Stato partecipa per 83 miliardi, mentre i restanti 90 miliardi provengono dalla contribuzione previdenziale;
– le pensioni per invalidità civile sono due milioni e seicentomila, cioè solo una parte dei trattamenti erogati dall’INPS, per una spesa complessiva annua di 16 miliardi di euro, una spesa individuale annua di 6.155 euro e mensile di 475 euro, cui corrisponde un assegno mensile netto di 257 euro;
– le verifiche condotte nell’anno 2009 sono state 200 mila ed hanno prodotto la revoca di 30 mila pensioni, pari al 15% delle verifiche;
– al termine del programma fissato per l’anno 2012 e per complessive 700 mila verifiche programmate, il risultato atteso é di 105 mila revoche, per cui le pensioni d’invalidità si dovrebbero ridurre da 2.600.000 a 2.495.000, anche se bisognerà attendere il sicuro contenzioso giudiziario che ne scaturirà, per vedere il risultato finale;
– la spesa annua per invalidità civile si ridurrebbe di 646.275.000 euro (6.155 per 105.000) e cioè da 16 miliardi a 15 miliardi e 354 milioni, con un risparmio di spesa pari allo 0,4%, mentre la spesa pensionistica complessiva di 173 miliardi si ridurrebbe dello 0,003,7%, salvo errori.
Lasciamo a chi ha seguito il nostro modesto conto della serva il commento sull’esito della lotta contro le invalidità civili “abusive” e la sua effettiva incidenza sulla sostenibilità del sistema previdenziale che sarebbe “sotto controllo” e non avrebbe bisogno di riforme, perché vorremmo arrivare ad un’altra nostra modesta ma amara conclusione.
“Contestualmente” – come si dice – ad un risparmio di spesa di 646 milioni di euro derivante dalla lotta ai falsi invalidi sul totale di una spesa pensionistica di 173 miliardi, si gravano – come si è visto – i lavoratori dipendenti di un aumento della ritenuta sulla busta paga dello 0,09% la cui misura, applicata alla raccolta contributiva per anno di 90 miliardi, la dice lunga su chi nel nostro Paese assicura la sostenibilità del sistema previdenziale.
Nei fatti, a prescindere dalle lotte mediatiche governative a risultati risibili anche se di nobile scopo, sono i soli lavoratori dipendenti con il peso smisurato di trattenute previdenziali, che al termine della vita attiva assicureranno loro pensioni già da un pezzo programmate sempre più esigue.
I perdenti sono loro e con essi l’equità di uno Stato che, sbandierando obiettivi a forte impatto sulla pubblica opinione ma d’improbabile resa, trova il pretesto per raccogliere nuove entrate consistenti e sicure, “non mettendo le mani nelle tasche” di tutti i cittadini, ma solo di una parte di essi, mentre l’altra mantiene il privilegio di non contribuire al finanziamento della spesa per l’assistenza sociale.
Amara conclusione: le mosche vincitrici della grottesca lotta per la riduzione della spesa previdenziale sono gli evasori fiscali e questa volta…non è nemmeno all’orizzonte un provvidenziale “liberatore” munito di DDT!