Le relazioni tra la Russia di Putin e la Cina grande potenza del XXI secolo sono di grande attualità. Se gli americani, in astratto, possono temere un’alleanza militare russo cinese, vari elementi sembrano fugare questo scenario e di seguito cercheremo di spiegarne le ragioni. Un patto di questo tipo implicherebbe, difatti, abdicare a quote di sovranità nazionale, sia da parte di Mosca che di Pechino, ed è estremamente improbabile che questo avvenga, semplicemente perché nessuna delle due potenze ne avrebbe la benché minima intenzione.
In premessa, diciamo subito che nessuno dei due paesi, storicamente, ama particolarmente il vicino. Non dimentichiamo che tra le ragioni storiche permangono radicati e reciproci razzismi reciproci, senza contare che la resistenza all’imperialismo americano (un mondo incentrato sul gigante americano) non può costituire da solo un collante sufficiente per un’alleanza militare, per quanto forte possa essere percepito il timore della strapotenza di Washington. Ad avviso di molti osservatori, inoltre, l’alleanza russo cinese non è l’unica alternativa plausibile, non potendo escludersi anche un ravvicinamento tra Russia ed USA, proprio in funzione anticinese. Allo stato attuale, sul versante squisitamente militare, è vero che la Russia sta supportando la Cina con risorse e tecnologie, ma il divario tra le forze di Mosca e l’esercito di liberazione del popolo resta molto rilevante, e tale resterà perlomeno per un altro decennio.
Nel frattempo, i cinesi diplomaticamente sopportano una certa dose di paternalismo russo, per beneficiare di quelle risorse delle quali hanno disperatamente bisogno. Negli ultimi anni diverse esercitazioni militari comuni hanno coinvolto russi e cinesi, come le manovre Vostok-2018 (per la verità meno importante di come è stata presentata, ma pur sempre il primo esempio di esercitazione cinese in territorio russo), ricognizione del mar di Giappone o il gioco di guerra Centr-2019, una simulazione di un conflitto tra grandi potenze per il controllo del cuore d’Eurasia, con reparti di varie altre nazionalità (kazaki, tagiki, kirghizi, indiani e pakistani, oltre che russi e cinesi ovviamente). Si parla già di un nuovo accordo militare tra Mosca e Pechino, al posto di quello obsoleto del 1993, mentre sul terreno strategico ci sono le intese del 2001 (in scadenza nell’anno in corso). Queste ultime prevedono (art. 9) che in caso di «minaccia agli interessi di sicurezza» o rischio di «aggressione» a una parte, Pechino e Mosca «stabiliranno immediatamente contatti e consultazioni per eliminare tali minacce».
Come dicevamo un punto nodale per il rinnovo degli accordi è la comune avversione verso la minaccia del «democratismo totalitario» statunitense, il timore di un mondo governato dalla superpotenza americana, pur senza escludere del tutto – almeno da parte di Mosca – di prendere in considerazione l’altro pericolo: l’incremento della potenza cinese (e su questo pericolo cerca di far leva il partito trasversale statunitense favorevole ad una rinnovata intesa con Mosca).
Un altro timore che appartiene ad ambienti dell’amministrazione statunitense sarebbe l’avvicinamento tra russi e tedeschi, basato sullo scambio tra tecnologia di Berlino e arsenali nucleari di Mosca, qualora l’ostilità coi russi subisse un’attenuazione. A livello politico globale, pur nella differenza degli assetti politici interni, è chiaro che russi e cinesi possano vedere nell’intento americano di espandere il modello democratico una minaccia ai rispettivi regimi, e questo rappresenta sicuramente un altro fattore di coesione: tanto nel caso russo che cinese la fine del regime coinciderebbe con la fine stessa del rispettivo modello di stato.
Tenuto conto che la politica è spesso più forte degli ideali (e dei dissapori) è innegabile che i rapporti tra Mosca e Pechino si fanno, anche per tale ragione, sempre più stretti, come dimostrano i dodici incontri tra Putin e Xi Jinping degli ultimi anni e varie visite ufficiali (l’ultima del presidente cinese a Mosca del giugno 2019, in occasione della quale è stato ribadito un partenariato strategico complessivo in una nuova èra). Non si parla, attenzione ai termini (in questo caso la forma è sostanza) di alleanza, preferendo espressioni meno impegnative. Le due parti vogliono tenersi le mani libere, per cui si ricorre a termini neutri, come cooperazione o partnerariato rafforzati. Preliminarmente, le due parti hanno messo fine alle vecchie dispute territoriali: l’accordo sull’isola di Heixiazi (2008), in tal senso, è l’ultimo di una serie di accordi su questioni di frontiera le cui trattative erano iniziate già negli anni Novanta.
Non appare, invece, verosimile lo scenario di una nuova guerra fredda, con russi e cinesi da un lato ed americani dall’altro: per smentire basterà rilevare il rapporto alle spese militari e PIL (esiguo rispetto ai tempi della guerra fredda) e la dimensione essenzialmente strategica, e non bellica, delle azioni congiunte russo cinesi di cui si è fatto cenno. Per gli osservatori geopolitici, l’intesa di massima è dovuta alla consapevolezza del comune avversario (gli USA) e della conciliabilità delle sfere di interesse: in tal senso Pechino sostiene Mosca in Siria e Medio Oriente e la Russia accoglie l’idea di una sola Cina (compresa Taiwan), così come le due parti concordano nel voler scongiurare una ulteriore espansione della Nato verso est. Il sostegno cinese si è rivelato particolarmente importante per Mosca nella fase di isolamento vissuta dalla Russia dopo l’annessione della Crimea, ed anche questo ha contribuito a rafforzare la cooperazione. Il partnerariato, inoltre, favorisce i due vicini, non dovendosi preoccupare di invasioni o azioni di forza nelle aree di confine, consentendo loro di concentrare la loro attenzione su altri versanti (come quello mediorientale per i russi).
Resta il fatto, però, che la Cina non ha mai riconosciuto la sovranità russa sulla Crimea (senza però aderire alle sanzioni), e ancora oggi Pechino intrattiene ottime relazioni con l’Ucraina, dimostrazione che non fanno difetto scelte autonome e potenziali ragioni di dissidio. Presentato in questi termini, il partnerariato (ma non alleanza) russo cinese sembrerebbe assumere più che altro la veste di un’unione d’interesse. Molti analisti occidentali ne sono convinti, per una serie di ragioni. Tolte le ragioni storiche di cui abbiamo accennato, si nota come faccia difetto qualunque substrato ideologico (pensiamo al principio democratico che cementa l’alleanza occidentale), senza tacere delle posizioni anticinesi che non fanno difetto alla intelligencija russa. Ulteriori dissapori potrebbero scaturire dai flussi migratori cinesi verso le remote (e spopolate) aree dell’estremo oriente (Siberia), anche se per il momento, per la verità, si tratta di movimenti relativamente modesti (interessando massimo 12 milioni di cinesi), tra l’altro integratisi all’interno di comunità autonome e senza mire espansionistiche o egemoniche. Casomai più problematico per le relazioni bilaterali il fatto che Mosca venda (molte) armi a India e Vietnam, che non sono certi paesi amici di Pechino.
Il vero problema resta però il fatto che un patto d’unità fondato non tanto per qualcosa, ma contro qualcuno (gli americani) non ha solide basi e non permette di scongiurare conflittualità attuali o potenziali, al massimo sopirle, ma la domanda è fino a quando? È possibile affermare con certezza che in una prospettiva di scontro armato con gli USA, che vedesse coinvolta una delle due nazioni, l’altra si schiererebbe al suo fianco o privilegerebbe altre scelte? I legami russo cinesi non sono importanti neanche sotto il profilo economico e commerciale. L’interscambio commerciale ed economico è a senso unico. Mosca fornisce equipaggiamento militare, energia, materie prime, idrocarburi (più prodotti alimentari dopo la guerra commerciale con gli USA e tecnologie per la telefonia mobile), Mosca importa elettrodomestici, abbigliamento ed elettronica. La Cina è il primo partner commerciale della Russia, ma la Russia è per la Cina solo il decimo; verso gli Usa, al contrario, la Cina esporta quasi un quinto del suo PIL. L’interscambio di 90 miliardi di dollari nel 2018 ha riguardato solo il 2% del commercio cinese con il mondo (l’11% per la Russia).
Gli investimenti sono a senso unico (dalla Cina): 1,5 miliardi nel 2017, per un totale di 13,5 miliardi, ma soprattutto il commercio sino americano supera di gran lunga quello tra Mosca e Pechino. Perfino sotto la presidenza di Trump i rapporti commerciali sono stati intensi, costellati da accordi a breve termine, per quanto le dichiarazioni del precedente presidente americano (contro la globalizzazione e la presunta concorrenza sleale di Pechino) abbiano sicuramente indotto i cinesi a intensificare i rapporti economici con Mosca. Ciò non toglie che il rapporto economico con gli USA, specialmente dagli ultimi decenni del Novecento, ha avuto un peso determinante per favorire la crescita cinese: Pechino resta consapevole della rilevanza delle sue relazioni economiche con gli americani per meglio tutelare i propri interessi. A penalizzare gli investimenti cinesi in Russia anche la scarsa propensione tecnologica di Mosca (settore militare a parte) ed il fatto che i russi non accettano che proprie compagnie (pubbliche o private) possano cadere in mani straniere.
Al contrario, non emergono problemi per lo sviluppo dei rapporti sino russi dalla creazione dell’Unione euroasiatica (una sorta di nuova comunità economica e strategica tra la Russia e le repubbliche ex sovietiche) e il progetto cinese della nuova via della seta (un corridoio economico tra occidente ed estremo oriente), in quanto i due progetti non sono in contrasto da loro, non nell’immediato per lo meno (ma nel lungo periodo è difficile dirlo). Tra l’altro il transito per la Russia agevolerebbe e ridurrebbe i tempi per gli spostamenti per la nuova via della seta, attraverso la creazione di una nuova ed importante rete infrastrutturale ferroviaria. Una visione di fondo distante si può riscontrare circa l’attuale assetto mondiale. Mosca spera di rovesciarlo, essendo una potenza insoddisfatta e revisionista. Pechino vuole solo raddrizzarne la componente ingiusta e inadeguata perché da quel sistema trae grande beneficio per il proprio sviluppo.
Come si può intuire, pur non mancando i punti di convergenza e la volontà di mettere da parte i dissapori, restano una serie di elementi e fattori che, specie nel lungo periodo, potrebbero ledere un rapporto mai formalizzato, specie se o qualora i vantaggi dell’intesa fossero superati dagli aspetti negativi, risvegliando una sorta di sfiducia reciproca mai veramente sopita. Per dissuadere Putin da un eccessivo avvicinamento a Pechino preme il presidente francese Emanuel Macron, mentre l’ex segretario di stato americano Henry Kissinger (fautore dell’avvicinamento tra Pechino e Stati Uniti negli anni Settanta) spingerebbe per non rovinare le relazioni del suo paese con la Cina.
Le frizioni tra Washington e Pechino sulle presunte responsabilità cinesi sulla diffusione del coronavirus potrebbero avvantaggiare i russi, fornendo loro nuove leve nel rapporto con entrambe le potenze. Indubbiamente la crisi ucraina e l’isolamento internazionale di Mosca che ne è seguito ha avuto il suo peso nell’avvicinamento tra le due potenze, come la comune visione multipolare (volta a dare vita ad un nuovo equilibrio mondiale, non incentrato sulla sola potenza americana) ed una comune preoccupazione verso lo slogan americano, fatto proprio a partire dalla fine dello scorso secolo, per l’esportazione del modello democratico occidentale, visto come fumo negli occhi dalle classi dirigenti russe e cinesi. L’avvicinamento tra le due nazioni sembra trovare sostegno nell’opinione pubblica, se si guarda ad alcuni recenti sondaggi, secondo i quali oltre la metà dei russi interpellati parla della Cina come una nazione amica ed alleata.
Quel che è certo è che si sta delineando una intesa strategica russo-cinese volta a limitare l’influenza americana attraverso misure congiunte di carattere militare, politico ed economico in diverse parti del mondo, con Mosca che supporta il progetto cinese di divenire la terza potenza nucleare del pianeta, oltre a fornirgli risorse per la difesa missilistica ed antiaerea. Pechino è avvantaggiata dal fatto di non avere, come gli americani, spese da sostenere per basi all’estero, tanto è vero che gli americani da tempo esercitano forti pressioni sugli alleati europei per ottenere un loro maggiore impegno e liberare risorse. A livello di crescita la Cina viaggia molto più rapidamente della Russia: se nel 1992 il PIL di Pechino era di poco inferiore a quello del vicino, nel 2017 lo supera di ben otto volte. Quel che potrebbe stabilizzare l’intesa potrebbe essere, unitamente alla definizione dei rapporti bilaterali con gli USA, la divisione dei settori d’interesse: quello militare la Russia, quello economico per i cinesi, se o fin quando a Pechino non interesserà estendere la propria influenza e penetrazione ad altri ambiti (politici e militari).
Sul terreno militare l’abisso tra la spesa americana e quella cinese (732 contro 261miliardi di dollari), rispettivamente prima e seconda a livello planetario, evidenzia un certo trend, per quanto ambedue stacchino di parecchio la Russia (ferma a “soli” 65.1, al quarto posto dopo l’India). Gli scenari futuri sono difficilmente prevedibili: un mondo bipolare (americano e cinese)? Oppure un recupero delle relazioni tra Mosca e Washington? Un’alleanza formale tra Russia e Cina, invece, appare meno plausibile, non foss’altro per la mancanza di volontà dei russi di essere relegati al ruolo di fratello minore di fronte alla crescita inarrestabile del fu impero celeste.
Un ruolo decisivo potrebbe essere giocato dall’Europa nel recuperare le relazioni con Mosca, senza più spingerla – magari per mancanza di alternative – nelle braccia di Pechino.
di Paolo Arigotti