Dal Nord al Sud d’Italia innumerevoli sono le feste organizzate in onore di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio, in cui ricorre la data della morte. Tutti gli eventi sono accomunati dall’accensione di grandi falò, che assumono nomi diversi da “focara”, “fucarone” o “focarone”, da “fucarazzo” ai “pagghiara”. Il nucleo della tradizione è proprio l’accensione di un fuoco sacro che avrebbe tanto una finalità purificatrice dai mali e dalle tenebre, dal gelo e dall’isolamento dell’inverno, quanto lo scopo magico di riscaldare la terra, favorendo il ciclo della rinascita e del ritorno della primavera. L’accensione del falò nel mondo contadino e pastorale infatti era un antico rito di passaggio dalla duplice valenza. Si voleva bruciare l’anno vecchio e sostenere e vivificare con le fiamme la luce, quando le tenebre sembravano sopraffare il Sole nel suo cammino annuale. Dall’altro lato la fertilità della terra, la produzione di buoni raccolti era assicurata dal rito purificatore e fecondatore dello spargimento delle ceneri sui campi, prodotte dai falò.
La figura del Santo sussume in sé, come spesso in molte tradizioni cristiane, gli aspetti di divinità protettrici pagane, eco di miti o riti propiziatori precristiani.
Il Santo proveniva dall’Egitto, dove sarebbe nato a Coma a metà del III secolo dopo Cristo, da una ricca famiglia di agricoltori. Dopo la morte dei genitori, donati i suoi beni ai poveri, scelse la vita da eremita nel deserto, dove secondo la tradizione il demonio lo tormentava e lo tentava nel suo cammino verso la santità, assumendo le più disparate forme bestiali. Come prima configurazione e anticipazione di vita monastica cristiana, vari seguaci si riunirono intorno a lui per essere guidati e sostenuti nella vita eremitica. Già in vita a lui ricorrevano, attratti dalla sua fama di santità, pellegrini e bisognosi da tutto l’Oriente. Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria che ne fu discepolo e amico, è la fonte principale della sua storia, avendone scritta la biografia. Per mantenere raccoglimento, preghiera e solitudine, Antonio ricercò un luogo più remoto e lo trovò sulle montagne del Pispir, presso una fortezza abbandonata, infestata dai serpenti ma con una fonte sorgiva, ove rimase per più di vent’anni. Morì nel deserto della Tebaide, nell’Alto Egitto, dove terminò la sua vita da ultracentenario.
Nella tradizione iconografica Sant’Antonio è raffigurato da eremita, con ai piedi sempre un maialino e spesso circondato da animali domestici, con la campanella ed il bastone da eremita a forma di T, la tau ultima lettera dell’alfabeto ebraico che allude alle cose ultime.
Una leggenda popolare, che collega tutti i suoi attributi iconografici, racconta che il Santo si recò all’inferno per salvare alcune anime dal diavolo. Il suo maialino, creando scompiglio fra i demoni, gli permise di accendere il suo bastone da eremita con il fuoco infernale e di portarlo fuori insieme alla bestiola. In tal modo Sant’ Antonio Abate, come Prometeo cristiano, avrebbe donato il fuoco accendendo una catasta di legna.
Nella tradizione popolare e cristiana nel giorno della sua memoria liturgica, il 17 gennaio, si portano a benedire gli animali domestici. Fin dall’epoca medioevale infatti il santo veniva invocato come patrono dei macellai e dei contadini, degli allevatori e protettore degli animali di casa. Questo forse perché i suoi seguaci dal maiale ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe. Sant’Antonio era considerato un potente taumaturgo, capace di guarire le malattie più terribili. Altre credenze popolari, che si ritrovano in tutta Italia, ritengono che il Santo aiuti a trovare le cose perdute, per cui lo si invocava.
Tra le feste che si tengono tra il 16 e il 17 gennaio, notevole è la Focara di Nuvoli in Salento, forse la più grande del bacino del Mediterraneo, con l’accensione di una gigantesca pira alta 25 metri e larga 20, realizzata con 70 mila fasci di vite, cui viene dato fuoco secondo precisi rituali. La Lombardia è una delle regioni in cui più si festeggia Sant’Antonio. Solo nel sudovest milanese il 17 gennaio vengono accesi falò in 12 Comuni. I fuochi sono protagonisti anche ad Ottana, Sorgono, Samudeo e molti altri Comuni sardi. A Mamoiada, in provincia di Nuoro, il giorno di Sant’Antonio anticipa il Carnevale. I falò che illuminano le varie piazze, fanno da quinta alla sfilata delle tradizionali maschere dei Mamuthones e Issohadores, che danzano attorno al fuoco e creano uno dei più suggestivi e ancestrali spettacoli della terra sarda. In Sicilia a Troiana, vengono costruiti falò in tutti i quartieri della cittadina chiamati “pagghiara”. In Abruzzo a Fara Filiorum Petri, dalle contrade partono in processione le “farchie”, imponenti fasci cilindrici di canne, legate con rami di salice rosso, alti 7-9 metri e del diametro di circa un metro. Vengono portati nella piazza antistante la chiesetta dedicata al Santo, eretti a forza di braccia ed incendiati, tra canti rituali ed incitazioni. Quando le fiamme avvolgono le alte colonne di canne e raggiungono la sommità, esplodono anche i mortaretti nascosti in cima, contribuendo ad alimentare le grandi torce e l’atmosfera festosa popolare.
In Campania la festa celebrata a Macerata Campania il 17 gennaio è una delle più singolari della regione. Giovani, adulti, anziani e bambini, trasversalmente quindi tutta la popolazione, preparano in vista della celebrazione, gli enormi “carri di Sant’Antuono”, che sfilano numerosi per le strade del paese. Sui carri prende posto la battaglia di pastelessa, ossia una particolare orchestra composta da circa 50 esecutori, percussionisti detti bottari, diretta dal capo battaglia nella veste di maestro. Gli strumenti utilizzati sono tini, botti, falci, comuni attrezzi della terra, che per l’occasione vengono percossi dagli oltre 1000 bottari presenti, assumendo una nuova funzione musicale. Si tratta di una tradizione di origine millenaria, che fa della musica di Sant’Antonio, un rito ed un ritmo apotropaico, eseguito allo scopo di allontanare il male. La musica dei bottari deve scacciare il demonio e, rinnovandosi di anno in anno, svolge il suo ruolo di identità e coesione popolare.
Nel Porticciolo di Pastena, in provincia di Salerno, si accende la “Vampa” in onore di Sant’Antonio Abate. Come una sorta di Capodanno sul lungomare si lasciano e si accendono le cose vecchie per fare spazio a quelle nuove. A Nusco (Av) si svolge la Notte dei Falò, anche qui vengono cippi accesi in vari punti del borgo, con canti e balli.
Suggestivo alle porte di Viterbo, nello splendido Borgo di Bagnaia, il Sacro Fuoco che viene animato nella piazza principale. Il Focarone accende la cittadina di musica e balli, anticipato e seguito nei giorni precedenti e successivi da giochi popolari e prelibatezze culinarie. A Nepi anticamente vi era il “trasporto della Tronca”: possenti buoi maremmani si facevano carico di grandi tronche che andavano ad alimentare il “grande focarone” del Santo Eremita. Il corteo di bovi e bovari era preceduto da una sfilata di cavalli e cavalieri. Ancora oggi la tradizione si mantiene viva ed enormi tronchi e cataste di legna hanno preso il posto delle tronche, alimentando il fuoco comunitario.
di Rosaria Russo