«Cosa c’entra la notte con il sonno?» si chiedeva John Milton nel suo “Il Como”. È una domanda che, probabilmente senza le stesse ambizioni poetiche, si saranno posti anche i circa 2,5 milioni di lavoratori (dati Eurispes) che svolgono lavoro notturno in Italia nei più svariati settori di attività: sanità, vigilanza, logistica e metalmeccanica, turistico/alberghiero, etc.
È noto che lavorare durante il periodo notturno può essere condizione di stress per l’organismo e comprometterne lo stato di salute: «lavorare in modo continuativo nel periodo notturno si accompagna ad una ‘desincronizzazione’ dei ritmi biologici, sociali e familiari, che, come indicano diversi studi in letteratura, può aumentare l’insorgenza di problemi di salute».
Lo ricorda l’INAIL nella recente pubblicazione Lavoro notturno e salute riproduttiva, nella quale l’Istituto evidenzia come gli ultimi studi condotti in materia dimostrano che anche la funzione riproduttiva può subire un danno dall’esposizione protratta al lavoro notturno.
Infatti, alcuni processi fisiologici sono sincronizzati ai ritmi circadiani, dunque in larga parte regolati dall’alternanza luce/buio, e questa sincronizzazione incide sui livelli di melatonina: alterazioni di questi equilibri comportano variazioni ormonali e cellulari.
Recenti studi mostrano come una modifica dei ritmi circadiani, in particolare sulla popolazione femminile, possa andare ad incidere sui livelli, oltre che della melatonina, anche degli ormoni sessuali. Si ipotizza, così, «una soppressione della funzione ovarica potenzialmente dipendente dal lavoro notturno, e questo può contribuire indirettamente allo sviluppo di tumori ormone-dipendenti, oltre a una irregolarità nel ciclo mestruale significativamente maggiore».
In particolare gli studi condotti sula popolazione femminile hanno messo in luce l’insorgere di alterazioni mestruali tanto più consistenti quanto maggiore è l’anzianità lavorativa. Tali alterazioni possono contribuire ad allungare i tempi di attesa nel concepimento, possono condurre ad una menopausa anticipata ed all’insorgenza della sindrome dell’ovaio policistico.
Le indagini sulla popolazione maschile, invece, presentano esiti meno univoci. Alcune indagini identificano nella ridotta qualità del sonno notturno un possibile rischio per la qualità del liquido seminale e per la funzione erettile; «questi dati però, secondo le indicazioni degli stessi ricercatori, richiederebbero ulteriori conferme epidemiologiche e biochimiche».
Il lavoro notturno si inserisce pienamente nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e questi ultimi studi non fanno che confermare il fatto che tale attività lavorativa può rappresentare uno specifico rischio professionale la cui gestione richiede determinate accortezze .
Secondo l’INAIL «l’organizzazione del lavoro gioca, quindi, un ruolo centrale nella gestione del rischio da lavoro notturno e nell’adozione di turni e tempistiche che consentano di minimizzare i possibili rischi per la salute e la sicurezza».
È ovvio che devono essere chiare al datore di lavoro le misure di prevenzione e protezione che possono andare a ridurre le alterazioni circadiane e quindi possibili eventi avversi.
In particolare gli elementi da considerare per la valutare tali rischi sono (fra i tanti): genere, età, lunghezza e frequenza del turno, numero di notti consecutive, modalità di inserimento dei giorni di riposo, presenza di turni nel weekend, etc.
Con riguardo agli interventi compensativi, invece, questi possono consistere in: riduzione delle ore di lavoro notturno, incremento del numero dei riposi compensativi, messa a disposizione di appositi spazi/ stanze per brevi riposi, passaggio periodico o stabile al lavoro diurno dopo qualche anno, etc.
Fondamentale, poi, il ruolo del medico competente che dovrà valutare lo stato di salute del lavoratore ed accertare l’idoneità dello stesso al lavoro notturno, conducendo visite preventive, visite periodiche almeno ogni 2 anni e visite in caso di condizioni di salute incompatibili con lo svolgimento dell’attività notturna.
di M. Davide Sartori