Anche quest’anno, come un copione che si ripete immancabilmente all’indomani dell’approvazione di ogni manovra, il Coni e più in generale il mondo sportivo si trova a dover «rifare i conti ».
O meglio ad attendere i conti del ministro dell’economia, per conoscere quale sarà l’ammontare effettivo del «budget» che il governo vorrà concedere per finanziare lo sport italiano.
Si prevedono tagli…. Come sempre.
È giusto, in tempo di crisi, che tutti facciano sacrifici e dunque anche lo sport non può sfuggire alle politiche di «rigore», di «austerità» imposte da una situazione economica di estrema fragilità, che si riflette nell’instabilità degli andamenti delle borse e nei giudizi «autorevoli» delle agenzie di rating. Eppure qualche considerazione aggiuntiva risulta opportuna. Il tema è questo: cosa rappresenta lo sport in Italia, a livello culturale, sociale e anche economico?
Domanda che sottende a un ulteriore interrogativo: il finanziamento dello sport deve essere inteso quale spesa ovvero quale investimento?
Per quanto concerne l’aspetto sociale/culturale, su cui la bibliografia è comunque sterminata, vorremmo solo citare, per le sue qualità di «sintesi », un inciso inserito nella premessa alla piattaforma unitaria per il rinnovo del Ccnl Coni e Federazioni sportive, dove si definisce lo sport: «Una palestra di vita insostituibile per tutti i cittadini: un’esperienza formativa unica, dove l’individuo apprende l’importanza dell’impegno, della lealtà, del sano agonismo, coniugando la valorizzazione delle qualità individuali con il necessario rispetto delle capacità di tutti.
Lo sport insegna l’arte di essere uomini». D’altra parte, anche prescindendo dagli aspetti educativi e formativi (di questi tempi si può tagliare su tutto, cultura e istruzione compresi, salvo poi «meravigliarsi» di come vengano a mancare per le nuove generazioni riferimenti e modelli culturali sani), non può sottacersi anche sul ruolo dello sport rispetto al sistema economico.
Sono migliaia le imprese che ruotano intorno a questo mondo: nei settori dell’abbigliamento, dell’impiantistica, dell’edilizia, nel settore sanitario, nella comunicazione, nel settore dell’istruzione e della formazione.
E centinaia di migliaia sono i lavoratori, dipendenti e autonomi, impegnati nelle attività di tali settori.
Per non parlare poi dei riflessi sulle economie locali e nazionale in occasione delle grandi manifestazioni sportive a carattere internazionale (Olimpiadi, Mondiali, Europei ecc.) ogniqualvolta l’Italia venga prescelta quale Paese ospitante.
Il finanziamento dello sport, in definitiva, benché non comporti direttamente un risultato di «profitto» in termini di maggiori entrate, produce comunque «indirettamente» un effetto volano sull’economia, con conseguenti effetti positivi in termini di crescita, sviluppo e occupazione.
Purtroppo, è ormai prassi corrente, oggi si tende a ragionare quasi esclusivamente in termini di effetti diretti sulla spesa, mentre si sottovaluta l’altro elemento, il cui rapporto con il debito costituisce il parametro fondamentale su cui vengono giudicati i sistemi economici: il pil. Ben più utile sarebbe per il paese, nel momento in cui si rendono necessarie politiche di rigore, adottare, invece, la giusta prospettiva per giudicare in termini più sistemici quali costi e spese debbano considerarsi realmente improduttivi e quali invece rappresentino degli investimenti, ferma restando, ovviamente, la massima attenzione nei confronti di eventuali male gestioni e sprechi Altrimenti si rischia di gettare il bambino con l’acqua sporca.