Se si vuole far salva la buona fede dell’Esecutivo di Mario Monti, c’é solo da prendere atto che l’ascesa al Governo dei professori e dei tecnici competenti sotto la bandiera della “crescita, equità e rigore” non é sfuggita al tranello che attende ogni politico novellino chiamato dal popolo alla gestione della cosa pubblica ed in particolare a fare le leggi.
Ci riferiamo all’insidia della burocrazia ministeriale, che approfitta di ogni occasione per accaparrare incarichi e funzioni dirigenziali, individuate con scaltrezza e motivate dalle solite peculiari ed eccezionali “esigenze” che, nel caso del SuperINPS, più eccentriche di così non potrebbero essere.
Può anche darsi, però, che vi sia un’alternativa più sottile e clandestina all’ingenuità – pur se competente – del noviziato governativo e cioè l’intento di frammischiare nella prevista riforma del welfare, la previdenza obbligatoria con l’assistenza sociale.
Il boccone é più che ghiotto per i sostenitori – politici o professori che siano – dello Stato assistenziale di marca anglosassone ma in salsa italiana, che prese le mosse nel lontano1978 con la soppressione degli enti di assistenza malattia, la nascita del Servizio Sanitario Nazionale e la confluenza di tutta la contribuzione nella Tesoreria Unica.
La previdenza è alimentata dall’entrata certa e consistente di una parte della retribuzione dei lavoratori dipendenti – che si aggiunge tra l’altro alla ritenuta IRPEF alla fonte – e non é quindi necessaria una raffinata competenza per tecnicizzare e legalizzare un’atavica malversazione degli accantonamenti previdenziali dei lavoratori, destinandoli al finanziamento di un’assistenza sociale onnicomprensiva.
Lo scopo potrebbe essere, dunque, quello di realizzare – con la compensazione della carenza delle risorse fiscali, drenate da un’invincibile evasione di altre classi sociali non gravate dalla ritenuta stessa – un Super-Ministero del Welfare arraffa tutto, all’insegna di un’indigenza distribuita discrezionalmente dal soccorso Divino dello Stato Sociale.
In altri termini, non una “Previdenza” assicurativa dei lavoratori, cui garantire prestazioni adeguate, ma una “Provvidenza” sociale con buona pace dell’equità del sistema contributivo conclamato dalla Ministra del Lavoro.
E’ probabile che tra non molto avremo modo di vederne delle belle sull’evoluzione guidata verso la povertà pensionistica, già avviata nel nostro Paese.
Ma per il momento, fermiamo l’attenzione sulle disposizioni del decreto legge “Salva Italia” all’articolo 21 (Soppressione di enti o organismi) del Capo III (Riduzione di spesa – Costi degli apparati),
– comma 1: l’INPDAP e l’ENPALS sono soppressi dal 6 dicembre 2011, data di entrata in vigore del decreto e le relative funzioni sono attribuite all’INPS, che succede agli enti soppressi in tutti i rapporti attivi e passivi;
– comma 2: le risorse umane, strumentali e finanziarie sono trasferite all’INPS, la cui dotazione organica é incrementata da un numero di posti corrispondente alle unità di personale di ruolo in servizio presso gli enti soppressi. I due posti di direttore generale degli enti soppressi sono trasformati in altrettanti posti di livello dirigenziale generale INPS, con conseguente aumento della dotazione organica dell’Istituto incorporante;
– comma 5: i posti corrispondenti all’incarico di componente del Collegio dei sindaci dell’INPDAP di qualifica dirigenziale di livello generale sono così attribuiti:
a) in considerazione dell’incremento dell’attività dell’INPS, i due posti in rappresentanza dei Ministeri del lavoro e dell’Economia incrementano il numero dei componenti del Collegio dei sindaci dell’INPS;
b) due posti in rappresentanza del Ministero del lavoro e tre posti in rappresentanza del Ministero dell’Economia sono trasformati in posizioni dirigenziali di livello generale per “esigenze” di consulenza, studio e ricerca dei Ministeri stessi e le rispettive dotazioni organiche ne vengono conseguentemente incrementate, concorrendo alla rideterminazione con norma interpretativa (sic!) delle percentuali di posti fissate dalle disposizioni di legge sulla dirigenza pubblica;
– comma 6: per le medesime “esigenze” e per assicurare un’adeguata rappresentanza degli interessi, cui corrispondevano le funzioni istituzionali degli enti soppressi, il CIV dell’INPS é integrato di sei rappresentanti;
– comma 8: deve essere realizzata una riduzione dei costi complessivi di funzionamento relativi all’INPS e agli enti soppressi non inferiore a 20 milioni di Euro nel 2012, 59 milioni nel 2013, nonché 100 milioni annuali dal 2014 e i relativi risparmi sono versati all’entrata del bilancio dello Stato e devoluti all’ammortamento del titoli di debito nazionale;
– comma 9: per assicurare il conseguimento degli obiettivi di razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa e di riduzione dei costi, il Presidente dell’INPS – la cui durata in carica é differita – promuove le più adeguate iniziative, riferendone periodicamente ai Ministeri del Lavoro e dell’Economia.
I commenti potrebbero essere feroci sulla destinazione e l’entità dei risparmi di spesa e sulle disposizioni, verosimilmente dettate senza avere disegnato nemmeno uno schema progettuale concludente di riorganizzazione delle strutture, ma regolamentando solo un’operazione di aggregazione dell’esistente, con la banale migrazione degli addetti e accrescendo con una drittata i posti dirigenziali…poi ci penserà il proconsole della Repubblica Mastrapasqua, Presidente dell’INPS, debitamente prorogato.
Dalla vicenda ci limitiamo a trarre due conclusioni: intanto e da subito il “rigore” rafforza e incrementa la dirigenza invece di ridurla funzionalmente e tra non molto, con la riforma dell’assistenza, i risparmi della contribuzione previdenziale – che dovrebbero essere patrimonio intangibile di ciascun lavoratore per la vecchiaia – finiranno probabilmente nel calderone delle entrate dello Stato.
Esso ne farà quel che vorrà, dall’assegno agli indigenti privi di ogni contribuzione, che dovrebbero essere sostentati esclusivamente dalla fiscalità generale, fino alla prestazione previdenziale a 70 anni con l’accumulo magari di 45 anni e oltre di versamenti obbligatori, raccolti con la rinuncia dei lavoratori dipendenti ad un terzo della retribuzione e coartati, invece, da pensionati all’indigenza.
Non sarebbe fuor di luogo invitare i professori universitari al Governo a rileggersi gli insegnamenti di Franco Modigliani sui Fondi per la gestione del risparmio previdenziale e di Massimo Severo Giannini sul decentramento amministrativo degli apparati per realizzare un disegno dello “Stato delle autonomie” che é, invece, mancato e così sono nate nel nostro Paese le Regioni, con le conseguenze che stiamo scontando.
Anche il battesimo del SuperINPS dimostra che, fatta l’Italia centocinquanta anni fa, ognuno continua a farsi i fatti propri, a cominciare dalla dirigenza dei Ministeri del Lavoro e dell’Economia.
E per il futuro prossimo venturo? Todos caballeros con l’assegno sociale dello Stato!
Un bel programma, in attesa del ritorno al potere della politica.