I Padri fondatori della nostra Repubblica fornirono sagge e razionali risposte costituzionali ai problemi del mondo del lavoro e delle relazioni industriali, che il passaggio del Paese dal sistema corporativo fascista alla libertà economica aveva portato alla ribalta, a seconda guerra mondiale conclusa.
Le scelte dei costituzionalisti furono dettate da una concezione della società da ricostruire, la quale presupponeva la netta separazione della normativa tra rapporti politici e rapporti economici dei cittadini, tant’é che essa venne distinta nei Titoli III e IV della Carta.
La ragione di tale distinzione risiedeva proprio nell’idea fondamentale di una democrazia avanzata, in forza della quale la “rappresentanza politica” é legata al principio di maggioranza, tradotta nel criterio che tra i partiti – per mezzo dei quali i cittadini concorrono con metodo democratico a determinare la politica nazionale – si avvicenda al potere quello o la coalizione con più alto consenso al Governo del Paese, cioè una parte prevale sull’altra che costituisce l’opposizione, mentre la “rappresentanza sindacale” non può e non deve derogare dalla unitarietà.
In altre parole la volontà della generalità dei lavoratori può esprimersi solo non escludendo nessuna delle loro organizzazioni rappresentative dal processo formativo delle decisioni contrattuali e solo dopo si afferma la maggioranza.
L’articolo 39 della Costituzione, infatti, dopo aver affermato che “L’organizzazione sindacale é libera e ai sindacati non può essere imposto altro obbligo che un ordinamento interno a base democratica”, stabilisce che i sindacati “Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.”
Queste disposizioni restano trascurate nell’inconsistente ma interessata ricerca, che si trascina da oltre sessanta anni, di soluzioni rappresentative diverse da quella indicata dalla Costituzione, proprio a garanzia della parte più debole, che nel rapporto di lavoro per sua stessa natura resta – di fronte all’imprenditore e in ogni realtà produttiva – il prestatore di lavoro.
In ogni caso! E ha fatto proprio bene il Presidente della Repubblica a ricordarlo di recente ai “professorini” teorizzatori di un’impossibile evoluzione di libero mercato a favore di quest’ultimo.
Il legislatore ordinario ha prodotto sulla materia, in tale lungo periodo di vita parlamentare, solo sporadiche iniziative singole o di gruppo, non pervenute mai a decisione assembleare e i tanti Governi succedutisi al potere si sono ben guardati dal proporre la normativa di sostegno ad una regolazione dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori, che attuasse il dettato costituzionale.
Cerchiamo d’individuare la ragione di questa anomalia della nostra convivenza civile, che vincolando il mondo del lavoro italiano ad una condizione d’incertezza rappresentativa, genera solo un tafferuglio permanente tra opposte idee e propositi, oltre che ad essere certamente una delle cause principali della debolezza del nostro sistema produttivo.
E di questi giorni l’ennesima simulata baruffa tra imprenditori e confederazioni sindacali di colore divise tra il sì ed il no all’accordo sulla produzione di autoveicoli e su chi rappresenti la volontà maggioritaria.
Dopo una fase interminabile di forzata “unità sindacale ad organizzazioni plurime” tradottasi nella collusione di ciascuna di loro con un partito di riferimento, una volta verificatosi il tentativo di transizione verso la semplificazione del confronto politico sostanzialmente tra due coalizioni, l’unità fittizia delle Confederazioni sindacali di colore si è frantumata nell’impatto con la concretezza di una realtà del mondo del lavoro per proprio conto in evoluzione organizzativa.
Ma veniamo ad un possibile perché dell’ostinata proscrizione della rappresentanza sindacale “unitaria e proporzionale” e del controllo democratico delle organizzazioni portatrici degli interessi dei lavoratori così come furono disegnate con avvedutezza dai Costituenti.
Negli stessi anni del dopoguerra in cui la Costituzione nasceva e compiva i primi passi, si consumava la scissione dalla Confederazione Generale del Lavoro, ritenuta condizionata nei suoi fini ad un credo politico di sinistra.
In verità, nessuna delle posizioni sul ruolo, gli scopi e l’organizzazione dei sindacati risultò svincolata da un punto di riferimento ideale dei partiti politici ai due grandi sistemi ecomomico-sociali vincitori del conflitto mondiale, entrati in competizione con la guerra fredda e la “cortina di ferro”: la democrazia degli Stati Uniti d’America e il socialismo reale dell’Unione Sovietica.
Quest’attrazione delle organizzazioni sindacali italiane, colluse con i rispettivi partiti di riferimento, verso ideologie che caratterizzavano società ed economie estranee al nostro Paese, è stata fatale per il dettato costituzionale dell’articolo 39 cacciato nell’oblio.
A tale vuoto costituzionale le centrali sindacali italiane, nate dalle ceneri dell’unità, hanno conformato i propri comportamenti, concordando nell’ostracismo alla normativa sulla rappresentanza sindacale “unitaria e proporzionale” e sulla deriva partitica delle organizzazioni, sviluppatesi non solo oltre la caduta del Muro di Berlino, ma persistendo nell’ostinazione in una posizione ormai avulsa dalla società italiana sviluppatasi dopo Tangentopoli, la fine della Prima Repubblica e il cambiamento del quadro politico.
Questo blocco del disegno costituzionale sulla funzione sindacale rimane purtroppo inviolabile – solo il sindacalismo autonomo ne rivendica inascoltato la realizzazione – e allora che si fa sul versante sindacale, mentre Governo, Parlamento e imprenditoria restano alla finestra?
Resta sempre aperto il vano confronto tra CGIL e CISL/UIL sul “Documento unitario di riforma della rappresentanza sindacale per via pattizia” del 2008, certamente non ultimo di una serie infinita di “finte” diatribe, destinate all’unico “vero” mercato dei gonzi: quello dei lavoratori dipendenti italiani, relegato in coda nelle classifiche internazionali per efficienza e civile avanzamento.